Vittorio Morfino, Incursioni spinoziste. Causa, tempo, relazione (Milano, Mimesis, 2006, pp.235)
da il manifesto, 15 agosto 2006
E’ una fortuna che nessuno abbia ancora avuto il cattivo gusto di dichiarare l’avvento di un «rinascimento di Spinoza», anche se in Italia continuano a moltiplicarsi libri, convegni, tesi di laurea e un certo fascino diffuso per il filosofo olandese. Spinoza non è mai stato arruolato e, di conseguenza, abbandonato da un partito, dalle masse o semplicemente dagli specialisti. Dopo il «secolo grande e terribile», il Novecento, oggi non viene riscoperto proprio da «nessuno».
Al contrario di quanto purtroppo accade a Marx da qualche tempo.
A nessuno infatti passerebbe per la testa che una rinnovata analisi filologica dell’opera di Spinoza possa scatenare le fantasie di una riscossa contro un mondo ingiusto. Non solo perché essa sia più impervia di quella del filosofo di Treviri, e non consente facili analogie con il presente, ma perché lo studio dei pensatori materialisti dovrebbe avvertire che raramente la teoria offre una chiave universale capace di imbandire la tavola per la rivoluzione.
L’indice di serietà di un libro su uno dei principali autori della tradizione materialista sta nello schiarire il cielo da ogni velleitarismo politico e teorico. Per chi crede che Spinoza – per non dire Marx – abbia inteso la teoria innanzitutto come il campo di battaglia contro altre teorie, segno che la teoria è sempre prodotta dalle contingenze storiche, da uno scontro, da una polemica, e che alla storia vanno strette la camicia di forza della teleologia o del finalismo, una lettura interessante è quella del libro di Vittorio Morfino Incursioni spinoziste. Causa, tempo, relazione (Mimesis, pp.235, € 16).
La ragione è evidente, basta scorrere i suoi primi tre saggi. Quello di Spinoza è ancora un pensiero che serve a muovere guerra contro le immagini consolidate del pensiero occidentale. Morfino scardina ad esempio l’immagine classica che la storia della filosofia ha dato di Spinoza. Quella cioè di una filosofia improntata all’idea che Heidegger aveva della storia dell’«Essere» e che oggi, dopo un trentennio di penetrazione nelle nostre università, mantiene ancora la testa nelle classifiche del gradimento accademico.
Nella ricostruzione fornita dal filosofo tedesco, scrive Morfino, sono presenti tutti i pregiudizi che hanno flagellato per secoli la ricezione dello spinozismo. Panteista, irrazionale, mistico è il pensiero spinozista nel quale, parola di Hegel e di Schelling, non esiste riflessione ma solo immediatezza; non esiste il lavoro del negativo ma solo la cieca necessità delle cose; non esiste storia ma solo teologia. In Heidegger, poi, come Cartesio, e più di Leibniz, Spinoza altro non sarebbe che un pensatore dell’anima occidentale, fautrice del nichilismo.
Morfino sostiene esattamente il contrario. Spinoza è la rottura con il nichilismo. Egli nega l’esistenza di essenze estranee (l’anima, l’essere, Dio e molto altro ancora) all’esperienza mondana e alla sua storia. Per lui non vi sono che eventi prodotti da una trama di relazioni tra individui, dall’intreccio delle causalità immanenti della storia, e dall’assenza di direzione degli incontri dai quali scaturiscono le condizioni per costruire la storia.
E’ una prospettiva che si fa interessante quando, verso la fine del libro, Morfino riprende gli ultimi scritti di Louis Althusser. Si tratta dei testi «maledetti», scritti dal 1982 in poi, quando il filosofo francese usciva dal fondo oscuro in cui la sua mente era precipitata dopo l’omicidio della moglie. Testi trascurati che Morfino, animatore di riviste ma anche di collane editoriali, ha saputo valorizzare negli anni Novanta proponendo la loro traduzione in Italia. In questi testi Spinoza viene inserito in una «corrente materialista» che risale a Lucrezio e si allunga sino a Machiavelli e Marx. Althusser pensava questa storia «altra» della filosofia proprio in opposizione a quella descritta da Heidegger, per non parlare di quella sulla bocca di tutti i marxisti-leninisti ortodossi ed eretici del Novecento, il cui marxismo – scriveva – «è una forma trasformata e mascherata di idealismo».
Spinoza-Machiavelli-Marx. E’ questa la triade maledetta indicata da Althusser nell’«altra» storia del materialismo che non serve solo a dimostrare che un altro mondo è possibile, ma che in questo mondo non esiste nessuna garanzia per nessuno. Questo perché esso naviga in un «vuoto» abbacinante: di valori, di fondamenti, di direzione, dove è necessario – con duro realismo – irrompere nella congiuntura politica e teorica e invertirne il senso.
Ma il vuoto della congiuntura è un drago difficile da domare. Perché ogni congiuntura matura per una trasformazione politica e sociale è sempre sospesa all’aleatorietà degli eventi. E può anche accadere che, una volta raggiunta una conquista (una rivoluzione, e persino lo stato sociale) la si perda nel breve giro di una generazione. Quella «crisi del marxismo», denunciata da Althusser alla fine degli anni Settanta, è oggi più attuale che mai perché è diventata crisi della politica tout court: incapace di fermare l’evento e di darsi una filosofia della storia; di consolidare le aperture politiche e sociali di una particolare congiuntura.
Il tragico alternarsi degli eventi sulla scena della politica, constatato in maniera rapsodica dall’ultimo Althusser, non sembra lasciare nel libro di Morfino alcuna traccia di scetticismo o di fallimento. Al contrario, alla fine della sua lettura ci si chiede se il costruttivismo politico dell’ontologia delle relazioni – una tesi già molto diffusa in Europa, a iniziare da Etienne Balibar nel suo ultimo libro su Spinoza Il transindividuale (Ghibli) – non sia un modo per credere materialisticamente in questo mondo. E di non tradirlo intonando l’inno crepuscolare del come eravamo che sembra ormai diventato l’unico modo per essere riconosciuti materialisti e di «sinistra», oggi.