di Stefano Alamari
[da RelazioniInternazionali]
Come altri Stati del Medio Oriente, la repubblica libanese è nata al termine della I guerra mondiale dalla dissoluzione dell’Impero ottomano. In particolare, essa fu la diretta conseguenza dell’Accordo Sykes-Picot del 1916 fra Gran Bretagna e Francia, con il quale le due nazioni si attribuivano le rispettive zone d’influenza in Medio Oriente al termine del vittorioso conflitto: all’Inghilterra l’Iraq, la Palestina e la Transgiordania, alla Francia l’area corrispondente ai futuri Stati di Siria e Libano. Oltre all’accordo Sykes-Picot, durante la guerra ci furono altri accordi tra le potenze dell’Intesa per la spartizione delle spoglie dell’Impero ottomano giudicato ormai sull’orlo del collasso.
Eccone l’elenco: l’Accordo di Costantinopoli (marzo 1915) fra Gran Bretagna, Francia e Russia che attribuiva a quest’ultima Costantinopoli e la costa occidentale del Bosforo, il mar di Marmara e i Dardanelli, la Tracia a sud della linea Midye-Enez e la punta nord-occidentale dell’Asia Minore; il Trattato di Londra (aprile 1915) che prometteva all’Italia, quale compenso per l’entrata in guerra, una congrua porzione della sezione mediterranea dell’Anatolia adiacente alla provincia di Adalia (ora Antalia). Il Trattato di Londra fu integrato nel 1917 dall’accordo di St.-Jean-de Maurienne fra Gran Bretagna, Francia e Italia per conciliare le pretese francesi e italiane. In realtà, sia l’Accordo di Costantinopoli che il Trattato di Londra furono poi vanificati dal trionfo delle rivoluzioni bolscevica e kemalista.
Molti studiosi hanno messo in discussione la razionalità dell’edificazione di uno Stato libanese per due ordini di problemi. Il primo di natura geografica, in quanto il Libano costituisce il naturale sbocco della Siria sul Mediterraneo (Beirut dista da Damasco poco più di 100 Km), situazione questa ulteriormente evidenziata dalla cessione nel 1937 da parte della Francia (che aveva il mandato sulla Siria) alla Turchia della regione di Alessandretta (Iskenderum) e Antiochia (Antakya). Ciò spiega l’accentuata attenzione sempre dimostrata dal governo di Damasco nei riguardi della situazione politica del Libano. D’altra parte, è evidente l’importanza strategica del Libano, da sempre (anche dopo l’apertura del Canale di Suez) terminale delle attività commerciali dei paesi del Mediterraneo con quelli del vicino e lontano Oriente. Ciò ha determinato la concentrazione nell’area di grandi ricchezze e la trasformazione di Beirut in uno dei più importanti centri finanziari del Mediterraneo. L’esplosione nel secondo dopoguerra delle attività commerciali connesse con lo sfruttamento delle risorse petrolifere del Medio Oriente non ha fatto che accentuare tale situazione.
Il secondo problema connesso con l’esistenza stessa dello Stato libanese è di natura religiosa in quanto il suo territorio è un arcipelago di fedi: per parte cristiana, maroniti, ortodossi, uniati, armeni e cattolici mentre i musulmani sono presenti con sunniti, sciiti e drusi. La presenza di queste minoranze religiose è stata determinante nel corso della storia per la funzione stessa svolta dall’area nelle attività commerciali tra i paesi del Mediterraneo con quelli dell’oriente. Le differenze religiose, strumentalizzate dai paesi interessati al controllo del paese, hanno dato luogo a lunghe e sanguinose guerre civili iniziate già prima della nascita dello Stato libanese.
Occorre dire che l’embrione di uno Stato libanese esisteva già all’inizio del XIX secolo in quanto il sultano di Costantinopoli concedeva una larga autonomia agli emiri Sihab, signori del Monte Libano. Fu un problema religioso a provocare la prima guerra civile: a seguito della conversione al cristianesimo maronita dell’emiro Basir II, nel 1834 scoppiò un conflitto fra maroniti e drusi in conseguenza del quale, anche per le pressioni dei paesi europei, il Monte Libano fu diviso in due unità amministrative, una maronita ed una drusa. Da quel momento i rapporti fra le unità religiose divennero sempre più competitivi fino a sfociare nel 1860 nella cruenta guerra civile fra gli affittuari maroniti ed i proprietari terrieri drusi. Per porre fine al massacro la Francia, tradizionalmente protettrice dei cristiani maroniti, sbarcò un contingente militare a Beirut che invase la roccaforte drusa nel Sùf. Il problema del Libano fu allora affrontato dalle potenze europee riunite in conferenza a Parigi al termine della guerra di Crimea: fu decisa la creazione del “Sangiaccato” (provincia autonoma) del Libano con un governatore cristiano scelto dal Sultano assistito da un consiglio a maggioranza maronita eletto su base confessionale (4 maroniti, 3 drusi, 2 greco-ortodossi, 1 sunnita, 1 sciita). Il Sangiaccato (Piccolo Libano), posto sotto la protezione di Gran Bretagna, Francia, Russia, Prussia, Austria e Italia, comprendeva solo parte dell’attuale repubblica libanese, essendone esclusi Tripoli, Tiro, Sidone e la valle della Beqaa.
Al termine della I Guerra mondiale, durante i negoziati di pace di Parigi, sulla base dell’Accordo Sykes-Picot i francesi inviarono un contingente militare a Beirut e posero sotto il proprio diretto controllo tutta la fascia costiera da Tiro alla Cilicia. Essi incontrarono l’aperta ostilità degli arabi che rifiutavano la nuova forma di colonialismo camuffata da mandato e che invece, galvanizzati dalle imprese dell’emiro Faysal il quale, assieme ad Allenby, aveva combattuto i turchi dalla Mesopotamia fino a Damasco, vagheggiavano un’unica unità statale araba. Nel 1919 i sostenitori di Faysal organizzarono ovunque possibile le elezioni in Siria ed un Congresso Generale Siriano, riunitosi a Damasco, chiese l’indipendenza per la Siria e l’Iraq, la cancellazione dell’Accordo Sykes-Picot e della Dichiarazione Balfour nonché l’abolizione del sistema mandatario. Successivamente l’8 marzo 1920 il Congresso Generale Siriano votò una risoluzione che proclamava l’indipendenza della Siria (che comprendeva anche la Palestina) e l’autonomia del Libano. Nel contempo un’analoga assemblea irakena proclamò l’indipendenza dell’Iraq.
Francia e Gran Bretagna, tuttavia, rifiutarono le due risoluzioni e convocarono il Consiglio Supremo della Società delle Nazioni che il 5 maggio 1920 annunciò la sua decisione secondo cui la Siria sarebbe stata divisa in due mandati francesi (Libano e Siria) ed uno britannico (Palestina) e l’Iraq sarebbe rimasto sotto mandato britannico. I mandati furono ufficialmente approvati dal Consiglio della Società delle Nazioni nel luglio 1922 e divennero effettivi nel settembre 1923. La reazione armata dell’emiro Faysal fu facilmente sbaragliata dalle truppe francesi che il 25 luglio 1920 entrarono a Damasco.
Sulla scorta delle decisioni della Società delle Nazioni, il 31 agosto 1920 il generale Gouraud, comandante del corpo di spedizione francese, proclamò la nascita del “Grande Libano” comprendente il precedente Sangiaccato del Monte Libano, la pianura della Beqaa e le città costiere di Tripoli, Tiro e Sidone. La superficie del Libano passava così da 4.500 a 10.400 Kmq. mentre il panorama religioso risultava completamente sconvolto. I maroniti, che nel Piccolo Libano costituivano più di tre quarti della popolazione, scendevano ora al 31%. Le percentuali delle altre minoranze religiose risultavano le seguenti: greci ortodossi 14%, greci uniati 7%, sunniti 22%, sciiti 18%, drusi 7%, altri 1%.
La Francia esercitò il suo mandato sul Grande Libano con una politica di promozione e rafforzamento dei cristiani maroniti, tradizionalmente filo francesi, a danno degli arabo musulmani. Questo nonostante che la già esigua maggioranza dei maroniti fosse destinata ad erodersi a causa della bassa natalità e dall’accentuata tendenza all’emigrazione. Nel 1926 Parigi impose al Libano una costituzione redatta dopo affrettate consultazioni con i libanesi stessi. Essa prevedeva un parlamento bicamerale e un presidente. I seggi in parlamento ed i dicasteri sarebbero stati distribuiti sulla base dell’appartenenza religiosa. Il presidente era maronita, il primo ministro sunnita, il presidente della camera dei deputati sciita. A greco ortodossi e drusi era assicurato un dicastero. Tuttavia il presidente, rimanendo in carica sei anni ed avendo il diritto di scelta del primo ministro, godeva di ampi poteri cosicché ai maroniti veniva garantito il predominio nel panorama politico-sociale del paese. Secondo molti studiosi la causa prima delle successive guerre civili che sconvolsero il Libano deve essere individuata nella non bilanciata distribuzione dei poteri prevista dalla costituzione sostanzialmente imposta dai francesi nel 1926.
Negli anni fra le due guerre mondiali il Libano beneficiò degli interventi della potenza mandataria per l’organizzazione della macchina statale e burocratica. Rifacendosi all’efficiente e collaudato modello francese, fu introdotto un moderno sistema amministrativo, furono organizzate le dogane e introdotto un moderno sistema catastale. Furono poste, insomma, le premesse per la lievitazione della prosperità del paese, specie nel settore dei commerci e dei servizi nel quale operavano congiuntamente cristiani e musulmani. Questo tuttavia non attenuò in alcun modo l’attitudine anti francese dei libanesi e la loro aspirazione all’indipendenza. Si formò, in particolare, un forte movimento antifrancese in seno alla comunità maronita che indusse il governo di Parigi a proporre un trattato franco-libanese che prevedeva l’indipendenza del Libano con un consiglio franco-libanese responsabile della politica estera oltre alla permanenza di basi militari francesi in Libano. Il trattato, subito approvato dal parlamento libanese, non fu però mai ratificato dai governi francesi di destra che fecero seguito al fronte popolare.
Nel 1940, a seguito della sconfitta francese ad opera delle armate tedesche, il Libano (assieme alla Siria) passò sotto il controllo del governo di Vichy che ordinò ai suoi rappresentanti a Beirut di collaborare ovunque possibile con i tedeschi. Ciò provocò la reazione di Londra, per la quale il controllo dei due Paesi aveva una importanza strategica essenziale nello scacchiere Medio orientale, e nel giugno 1941 un esercito misto costituito da truppe della Francia libera del generale De Gaulle ed inglesi attaccarono e sconfissero le truppe di Vichy. Emersero tuttavia contrasti fra Gran Bretagna e Francia sul futuro del Libano. Londra aveva infatti accettato di aiutare il generale De Gaulle contro le truppe di Vichy a patto che fosse resa piena indipendenza al Libano. In questi termini si espresse a Londra il generale Catroux, rappresentante di De Gaulle, prima dell’inizio delle operazioni. Di diverso avviso era invece il generale De Gaulle che riteneva prematuro concedere la piena indipendenza al paese e si proponeva di rendere invece operante e rafforzare il Trattato del 1936. Questo contrasto rinfocolò i sentimenti antifrancesi dei libanesi i cui leader cristiani e musulmani nel 1943 si accordarono su un “Patto Nazionale” in base al quale il Libano sarebbe rimasto uno Stato indipendente all’interno delle frontiere esistenti, ma avrebbe perseguito una politica estera araba indipendente. In altre parole, i maroniti accettavano di allentare i legami con la Francia mentre i musulmani rinunciavano al disegno di un Libano parte di una grande unità statale araba. Le elezioni politiche diedero la vittoria ai sostenitori del “Patto” ed il nuovo governo propose di eliminare dalla costituzione la norma sul mantenimento del mandato francese sul Libano. Le autorità francesi reagirono arrestando il presidente e numerosi membri del governo, ma la sollevazione popolare, le potenze mondiali e, soprattutto, un ultimatum britannico costrinsero i francesi a ritornare sulle loro posizioni e ad accettare l’emendamento della costituzione. Gradualmente i francesi trasferirono tutti i poteri al governo e nel 1946 il Libano (assieme alla Siria) divenne membro delle Nazioni Unite come Stato indipendente. Nel frattempo, nel marzo 1945, esso era entrato a far parte della Lega dei Paesi Arabi assieme agli altri Stati arabi che avevano raggiunto l’indipendenza (Egitto, Iraq, Arabia Saudita, Transgiordania, Yemen e Siria).
Il Libano microcoso dell’instabilità medio orientale
Seguì per il Libano un decennio di sostanziale pace e prosperità, interrotto bruscamente nel 1956 dalla fallita impresa anglo-franco-israeliana per il Canale di Suez e dal diffondersi del nasserismo su tutto il mondo arabo. La vittoria contro il tentativo di invasione infiammò anche i musulmani libanesi che guardavano a Nasser come al “Nuovo Saladino” ed il paese fu preda della tensione fra nazionalisti libanesi e arabi. Tuttavia, nelle elezioni politiche di quell’anno, il presidente Camille Chamoun, grazie ai grandi poteri di cui disponeva ed agli aiuti americani distribuiti in forza della “Dottrina Eisenhower”, riuscì ad assicurarsi in parlamento una schiacciante maggioranza filo occidentale.
Permaneva tuttavia nel paese, fra nazionalisti libanesi ed arabi, una situazione di forte tensione, che sfociò nel 1958 in una guerra civile che vedeva la Siria apertamente schierata a fianco degli arabi musulmani. La rivoluzione irakena che portò al potere gli ufficiali filo nasseriani del generale Qasim indusse gli Stati Uniti a ritenere che l’intero Medio Oriente fosse ormai prossimo a cadere sotto l’influenza dell’Unione Sovietica talchè essi, accettando le richieste del presidente Chamoun, fecero sbarcare a Beirut un corpo di spedizione di 10.000 marines. Gli Stati Uniti, tuttavia, non si proponevano di puntellare il regime di Chamoun, al contrario incoraggiarono le parti politiche a trovare un compromesso per risolvere autonomamente la crisi. Fu così eletto presidente il generale Fuad Sihab, comandante dell’esercito che nella crisi si era mantenuto neutrale ed il Libano passò da uno schieramento marcatamente filo occidentale ad uno più neutrale.
Ma il fragile equilibrio interno ed internazionale del Libano fu presto turbato dalla guerra arabo-israeliana del 1967. Molti palestinesi cacciati dai territori occupati trovarono rifugio anche in Libano dove, con le loro azioni di guerriglia contro lo Stato ebraico, finirono con l’interferire sulla vita politica del paese. I raid di rappresaglia israeliani investirono anche i contadini sciiti del Libano del sud e molti di essi furono costretti a fuggire per cercare rifugio nella periferia sud di Beirut. I musulmani sciiti, che da sempre costituivano il sottoproletariato sociale e politico del paese, trovarono un leader nell’iman Mussa al-Sadr che organizzò il “Movimento dei Diseredati”, affiancato da “Amal” (“Speranza”), una milizia armata. D’altro canto le differenze economiche e sociali già esistenti nel paese furono accentuate dal boom petrolifero in Medio Oriente che convogliò ulteriori ricchezze nelle casse delle già ricche classi dirigenti del paese. “Amal” si aggiunse così alle milizie costituite dalle altre fazioni politico-religiose del paese che agivano sempre più indisturbate sfidando le deboli forze armate governative.
Mentre molti libanesi, specie musulmani, simpatizzavano per la lotta palestinese, la maggioranza dei maroniti era loro ostile e ne chiedeva l’espulsione dal paese. All’inizio ci furono scontri fra esercito libanese, guerriglieri palestinesi e formazioni civili di varie tendenze. Essi però non sfociarono in guerra civile grazie alla mediazione delle nazioni arabe. La situazione, tuttavia, divenne esplosiva a partire dal 1970 allorché i palestinesi di Giordania furono attaccati dalle truppe fedeli al re (“Settembre Nero”) e costretti a rifugiarsi in Libano, unico paese arabo nel quale essi potevano costituire uno “Stato nello Stato” così come avevano tentato di fare in Giordania.
La situazione di tensione nel paese sfociò nel 1975 in aperta guerra civile fra le milizie della destra cristiana e la coalizione della sinistra guidata dal leader druso Kamal Giumblatt che rivendicava una maggiore presenza dei drusi nell’architettura politica del paese. La guerra civile, alimentata da diversi paesi arabi, da Israele e, verosimilmente, anche dagli U.S.A., coinvolse ben presto anche le milizie palestinesi che si schierarono con le formazioni di sinistra. In breve tempo la coalizione palestinesi-sinistra prese il controllo di circa l’80% del paese, ma a questo punto intervenne la Siria timorosa che il Libano si spaccasse in due unità statali: una piccola cristiana alleata di Israele ed il rimanente in mano cristiana e palestinese fuori dal controllo della Siria. L’intervento armato siriano trovò l’appoggio dei cristiani libanesi di destra ed in breve tempo le milizie della coalizione dovettero abbandonare i territori occupati. L’intervento siriano fu approvato con riluttanza dai paesi arabi etichettandolo come componente principale di un contingente di pace arabo. La guerra civile così si spense dopo aver causato cinquantamila morti e un milione di senza tetto e dopo aver visto atroci massacri, rapimenti e assassini perpetrati da tutte le fazioni in lotta.
In Libano riprese alacremente l’attività economica, ma la situazione rimaneva tesa. I siriani non riuscivano a disarmare le varie milizie armate mentre le destre cristiane, già favorevoli all’intervento della Siria, ora ne chiedevano insistentemente il ritiro. Per parte sua Israele rinsaldava l’alleanza con le destre cristiane e favoriva la creazione di una “enclave”ai propri confini settentrionali controllata da milizie cristiano-libanesi di sua piena fiducia.
Nel marzo 1978 Israele, per reazione ai continui attacchi delle milizie palestinesi ai suoi confini settentrionali, sferrò la prima invasione su larga scala del Libano con l’obiettivo di distruggere le basi della guerriglia. Al governo di Tel Aviv erano andate le destre guidate da Menachen Begin e l’azione militare a nord era agevolata dalla politica di riconciliazione fra Egitto ed Israele iniziata da Sadat. L’irruzione delle forze israeliane fino al fiume Litani provocò la fuga verso nord dei palestinesi mentre gli effetti dell’invasione furono subiti dai libanesi. L’O.N.U. tuttavia intervenne con decisione (grazie anche alle pressioni esercitate dal presidente americano Carter) e Israele fu indotta a ritirare il contingente di invasione. Ai confini israelo-libanesi fu dislocato un contingente di osservatori O.N.U. (UNIFIL) ed Israele continuò a sostenere l’enclave cristiana con funzione di cuscinetto.
Il Libano tuttavia non trovò la pace. Continuavano le lotte tra le varie fazioni mentre al sud gli israeliani rispondevano con sanguinose rappresaglie agli attacchi della guerriglia palestinese. Per parte sua, Israele non aveva rinunciato al proposito di distruggere il “quasi Stato” che i palestinesi avevano creato in Libano e di cacciare tutti i palestinesi da quel paese. Traendo pretesto da un attentato all’ambasciatore israeliano a Londra, il 6 giugno 1982 lanciò l’operazione “Pace nella Galilea”, una grande invasione che giunse in breve tempo a cingere d’assedio Beirut. Le forze siriane non opposero alcuna resistenza anche perché l’aviazione di Tel Aviv aveva distrutto tutte le loro basi missilistiche antiaeree senza subire alcuna perdita. A Beirut gli israeliani cinsero d’assedio il quartier generale dell’O.L.P. e la città fu duramente bombardata con decine di migliaia di morti e grandi distruzioni. Due terzi dei palestinesi che vivevano nei campi profughi della capitale (circa 140.000 persone) fuggirono nel nord del paese e nella valle della Beqaa controllati dai siriani. L’opinione pubblica mondiale (compresa quella americana) oltre che larghi settori di quella israeliana si schierò contro l’invasione ed Israele accettò un accordo (promosso dagli americani) in base al quale le forze israeliane non sarebbero entrate a Beirut ovest ove erano asserragliati i palestinesi mentre Yasser Arafat e 13.000 combattenti palestinesi si sarebbero ritirati sotto la supervisione americana. L’evacuazione iniziò il 22 agosto, ma il 14 settembre le forze israeliane penetrarono a Beirut ovest nonostante le proteste americane. Fu allora che nei campi profughi di Sabra e Shatila, sotto controllo israeliano, numerosi civili palestinesi furono barbaramente massacrati dalle milizie di destra libanesi senza che gli israeliani facessero nulla per impedirlo.
I massacri e le distruzioni di Beirut sollevarono l’indignazione dell’opinione pubblica mondiale e l’O.N.U. decise l’invio di un contingente di pace per proteggere la popolazione civile: vi concorsero Italia, Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti. Washington avviò una intensa azione diplomatica con l’obiettivo di far uscire dal Libano tutte le forze straniere e di ripristinare la sovranità del governo di Beirut su tutto il paese. L’azione diplomatica fu ad un passo dal pieno successo con l’accordo fra il Libano ed Israele del 17 maggio 1983. Esso però fu boicottato dal presidente siriano Assad che si rifiutò di ritirare le sue truppe dal paese. In effetti, l’accordo promosso dalla diplomazia americana avrebbe comportato la sottrazione del Libano dalla sfera di influenza di Damasco. Seguirono due spettacolari attentati con auto-bomba contro i quartieri generali dei contingenti americano e francese che provocarono più di 300 morti e che persuasero gli americani del fallimento della loro strategia in Libano. Così, nel febbraio 1984, i marines lasciarono Beirut seguiti subito dopo dagli altri contingenti.
Anche Israele vide presto fallire l’obiettivo di imporre in Libano la propria pace. A parte l’ingombrante presenza siriana, non riuscì a mettere sotto controllo le milizie armate mentre le sue forze di occupazione diventavano bersaglio degli attacchi dei guerriglieri. Nel Libano meridionale la popolazione a maggioranza sciita, che inizialmente non si era opposta all’invasione israeliana a causa delle sofferenze subite per colpa dei palestinesi, si rivoltò contro l’arroganza degli occupanti e cominciò ad attaccarli con le squadre di “hezbollah” costituite da estremisti sciiti appoggiati dall’Iran. D’altro canto, pur essendo state sconfitte a Beirut, le forze palestinesi non erano state annientate come era negli obiettivi e la bandiera dell’O.L.P. continuava ad essere tenuta alta da Yasser Arafat prima a Damasco e poi a Tripoli.
Il contingente di occupazione israeliano venne a trovarsi, insomma, in una situazione assai difficile anche perché l’operazione in Libano era sempre più criticata in patria. Fu così che nel 1985 il primo ministro laburista Shimon Peres, salito al potere con le elezioni del 1984, decise il ritiro dell’armata di occupazione dal Libano. Furono però lasciati i consiglieri militari nell’esercito del Libano meridionale, costituito essenzialmente da cristiani, che presidiava una zona cuscinetto profonda dieci miglia lungo il confine.
Usciti gli israeliani dal Libano, Damasco si accinse, con l’approvazione poco entusiasta dei paesi arabi, ad imporre al paese la “pax siriana” incontrando non meno difficoltà di quante ne avevano incontrate nei loro tentativi gli americani e gli israeliani. Il problema principale erano le formazioni armate, in particolare le Forze libanesi dei maroniti sempre ostili ai siriani. Ma anche le altre milizie, come gli sciiti di Amal, i drusi e gli estremisti hezbollah, rifiutavano ogni accordo per unificare il paese e spesso erano in lotta fra di loro. Le forze siriane riuscirono ad occupare la Beirut ovest musulmana, riducendo in tal modo i combattimenti fra le milizie rivali, ma Beirut est rimaneva una enclave controllata dalle Forze libanesi maronite mentre anche i quartieri meridionali sciiti della città si sottraevano al controllo siriano.
Nel settembre 1988 il presidente Amin Gemayel (maronita) terminava il suo mandato, ma non fu possibile individuare un suo successore gradito ai siriani a causa dell’opposizione dei maroniti. Gemayel, prima di lasciare formalmente la carica, nominò primo ministro il generale Michel Aoun, comandante maronita delle forze armate. Ma poiché i musulmani rifiutavano di entrare nel nuovo governo, il precedente primo ministro sunnita si dichiarò ancora legittimamente in carica. Si creò l’ennesima situazione di stallo mentre le due parti si scambiavano cannoneggiamenti all’interno della città con gravi perdite fra i civili.
Intervenne con determinazione la mediazione dei paesi arabi (specie l’Arabia Saudita) tutti interessati ad evitare la disgregazione del Libano e fu trovata nel settembre 1989 una soluzione di compromesso: i cristiani maroniti, che dalla creazione del “Grande Libano” avevano dominato la scena politica del paese, avrebbero rinunciato ad alcune delle loro posizioni di potere a favore dei musulmani. I deputati si accordarono e nel novembre elessero presidente prima René Muawwad, che fu presto assassinato con un’auto-bomba, e poi Elias Hrawi che, riconosciuto da tutti gli Stati arabi, era tuttavia rifiutato da Aoun. Contro quest’ultimo, tuttavia, si schierarono le milizie cristiane delle forze libanesi e ne seguì l’ennesimo conflitto, questa volta fra milizie cristiane contrapposte. Alla fine, nell’ottobre 1990, mentre l’attenzione del mondo era concentrata sulla crisi irakena, l’armata siriana e le Forze libanesi entrarono nell’enclave-fortezza del generale Aoun che dovette arrendersi. In tal modo la Siria assumeva il controllo del “Paese dei Cedri” e la sua posizione era rafforzata dall’accordo siro-libanese del maggio 1991. Per parte sua Israele rinunciava ad interferire nella situazione interna del paese e nel 1999 ritirava i suoi “consiglieri” dall’armata del Libano meridionale provocandone l’immediata dissoluzione.