di As Chianese

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Ne La Grande Sera (1989), il romanzo più conosciuto e apprezzato del compianto Giuseppe Pontiggia (1934-2003), scritto da qualche parte c’è un dialogo estremamente riuscito, che si candida come tra i più narrativamente avvilenti della nostra letteratura. Più o meno all’inizio del libro il fratello del fuggitivo protagonista, Mario, si ritrova suo malgrado partecipe ad una sorta di ricevimento organizzato dalla laida consorte di un genio dell’alta finanza, socio dello scomparso. Alla ricerca di informazioni sul parente, l’uomo viene incalzato dalle indiscrete domande della padrona di casa sul suo stato sociale. Dopo aver cercato inutilmente di eluderle, contrapponendo a queste la spasmodica ansia di ritrovare il congiunto e un certo imbarazzo per la pedanteria della donna, si decide alfine con estrema rassegnazione ad affrontare l’argomento:

“… posso sapere qual è la sua attività?” (…)
“Quasi me ne vergogno, signora” (…)
“Faccio un mestiere in cui non credo più, il critico cinematografico.”

Chi da anni condivide con questo personaggio di carta l’insopportabile patema di vivere questo sfuggevole “mestiere”, sa bene con quale grado di approvazione un suo simile si appresti a valutare il dialogo di Pontiggia qui riportato. La Grande Sera e la particolare figura di Mario, sono stati oramai eletti come manifesto in grado di illustrare meglio di qualsiasi altra indagine, ricorrenti frustrazioni e ossessioni dei critici cinematografici italiani degli anni ’90.
Oggi come oggi, con una industria cinematografica di stato più che agonizzante e con l’editoria oramai già in coma e interessata a pubblicare solo calendari osé, gossip e album di figurine, non c’è forse da stupirsi che la professione dello scrittore di cinema non sia riconosciuta e, dai paladini del posto-statale-fisso, quasi derisa. Non esiste precariato, non c’è riconoscimento o assistenza per chi decide di diventare un critico. Guadagnare un centesimo è diventata un’impresa a dir poco ardua.
Il web ha indubbiamente dato a molti la possibilità di esprimere il loro parere, anche se esclusivamente gratis et amore dei. Ma se ha permesso a tante valenti firme di continuare una professione che per vari motivi non riuscivano più ad esercitare sulla carta, ha contemporaneamente aperto le porte a un dilettantismo di massa che ha svilito la già latente professionalità di questo lavoro. In Italia, a differenza delle riviste cartacee, ci sono innumerevoli siti internet che fungono da fanzine o web-magazine sul cinema. Questi pur ricevendo parecchie visite giornaliere ed avendo la home page stracarica di banner, non danno un centesimo a chi vi scrive. In alcuni casi, riguardanti soprattutto i siti sul cinema di genere, i cosiddetti collaboratori sanno poco o niente rispetto agli stessi infervorati membri dei vari forum di discussione dedicati. Personalmente mi capita ogni tanto di essere contattato da appassionati ragazzini che, appresi i rudimenti dell’HTML, mettono su un sito in poche ore chiedendo collaborazioni gratuite a destra e manca, istigati forse da penosi modelli di riferimento, autoeleggendosi caporedattori. L’accumulo, la variabilità e la qualità che sono i pregi — ma anche i grandi crucci — delle informazioni attinte via web molte volte non giovano affatto a chi pretende di abbandonare la carta stampata per dedicarsi esclusivamente ai comodi byte. Disperso in una giungla di informazioni, talvolta discordi tra loro, il lettore medio tende sempre di più a guardare con una certa diffidenza la critica telematica.
Dei farabutti che amano definirsi colleghi, scrivono sulle laccate paginette dei loro rotocalchi che il mestiere di critico non esiste. Negano col sorriso sulle labbra ciò di cui loro stessi vivono. Col didietro ben assestato sulla comoda sedia redazionale (assolutamente girevole), rispondono ai pochi innocenti lettori che chiedono, a chi ha la fortuna di uscire ogni settimana o ogni mese in edicola, come si faccia a intraprendere una strada che inizialmente appare sita nei pressi dei pendii dell’Everest. La risposta è sconfortante, umiliante addirittura per chi in un modo o nell’altro riesce ancora a mettere due righe in fila su questo o quel film. Il mestiere non esiste, chiunque si arrangia come può e il ritornello è sempre lo stesso “c’è crisi…c’è crisi…c’è crisi”. Di svelare a questi pochi curiosi che esiste una preziosa facoltà di storia del cinema o diramazioni specifiche del corso di laurea in lettere moderne non se ne parla neanche, che esistono due sindacati che cercano in tutti i modi di scremare la massa dei sedicenti non c’è alcuna menzione e il risaputo concetto che anche in questo campo si va avanti con amicizie varie, in bocca a questi individui assume il suono soave della parola “fortuna”.
Il giornalismo non sa più che farsene dei recensori di pellicole. Gli editori amano associare la loro poca disponibilità finanziaria alla generale crisi del nostro cinema, quasi come se fosse nostro dovere recensire solo film usciti da Cinecittà. Assumendo talvolta anche loro la politica delle collaborazioni gratis et amore dei, pagando l’autore in visibilità o peggio ancora consigliando ai propri collaboratori di comperare da sé le testate per le quali hanno scritto, così da trarre profonde e durature soddisfazioni. I due sindacati si arrabattano per organizzare settimane delle critica e premi, per non dare a vedere che da club elitari quali erano si sono lentamente trasformati in modesti circoli della caccia e pesca con poco potere decisionale. Inutile rivolgersi a loro per soprusi di tutti i generi: nella maggior parte dei casi non sapranno darvi una mano ma solo illustravi ancora una volta quanto sia assolutamente “critica” la situazione.
A tale proposito fornisco come esempio una clamorosa défaillance: che oggi un critico cinematografico abbia la tessera dell’AGIS — agenzia generale italiana della spettacolo — pare quasi un mezzo miracolo. Quel pezzettino di cartone plastificato che ti dà l’opportunità, in molte sale, di poter scrivere un pezzo senza rimetterci il costo del biglietto, da quello che doveva essere quasi un diritto è oramai diventato un lusso concesso ai soliti noti e agli habitué della politica nazionale, regionale, provinciale e cittadina. Fatta la pressoché inutile richiesta, in un lussuoso ufficio della capitale del mezzogiorno, con tessera sindacale e curriculum vitae alla mano, mi sono trovato a udire: “Perché non va al cinema nel pomeriggio? Magari in provincia ché sono meno informati, mostrando il tesserino del sindacato, qualcuno la farà sicuramente entrare”. Incredibile, vergognoso… Venire candidamente a sapere dallo stesso ente che a quasi tutte le forze dell’ordine è annualmente garantita la tessera “perché ci proteggono” — quasi che invece di pestare poveri manifestanti disoccupati fuori dai palazzi del potere, questi andassero tutti in massa quotidianamente a vedere Singin’ in the Rain — e che poi, sempre a loro avviso, dovrebbero essere le riviste o i siti web ad assicurare la copertura del biglietto sottovalutando il fatto che un critico oggi lavora principalmente freelance, proponendo ovviamente i propri pezzi alla testata quando già sono stati realizzati. Con tali dichiarazioni, dopo essere stati ininterrottamente presi in giro per quasi un’ ora e con la scherzosa raccomandazione di andare a vedere il film di Natale perché così il produttore di grido riporterà la squadra della città agli onori della massima serie calcistica, e una punta di amarezza per aver sprecato inutile carta per l’ennesimo C.V. non c’è niente di meglio da fare che uscire dagli uffici dell’ente a prendere un po’ d’aria. Notare che il lucido busto di Goffredo Lombardo messo a guardia dell’uscio, nella sua baffuta maestosità, sembra con la sua intraducibile espressione partecipare al dolore di chi si vede affogare in una sterminata valle di lacrime. Inutile chiedere ulteriori ragguagli ai sindacati: risponderanno anche loro amareggiati che addirittura alcune loro alte cariche non hanno o non possono usufruire del servizio. Alcuni non hanno mai avuto la tessera AGIS e ad altri invece è stata improvvisamente non rinnovata dall’ente senza una valida spiegazione. La segretaria o il gentile collega di turno dirà sconsolato che ci sono riunioni in corso, varie trattative, ma che sarà difficile arrivare ad un accordo. Comunque, male che vada, la tessera sindacale dà diritto ad alcune agevolazioni nei cineforum della Liguria…

Passeranno altri giorni e altri mesi, anni forse, ma non si riuscirà a intravedere soluzione alcuna. Con buona pace di editori seri e onesti colleghi, si continuerà per fortuna con le solite collaborazioni e il boccone amaro scenderà giù come tanti e tanti altri. Bocconi che non sfamano ma avvelenano l’organismo sedimentando le loro letali tossine in un sangue già reso anemico per il troppo patire. La “grande sera” non accenna in alcun modo a finire e pare oramai essere molto più simile all’eduardiana “nottata” che per fortuna, come lo speranzoso motto vuole, prima o poi dovrà passare.