Le connessioni tra credo di tipo religioso e fiducia in tutta una serie di entità extraterrestri o soprannaturali ha contraddistinto molte, forse tutte, le culture monoteiste e politeiste del passato. La distinzione che oggi si opera tra esseri alieni ma vivi nel senso in cui siamo vivi noi ed entità divine come angeli o santi vivi in senso ultraterreno è figlia del progredire della nostra cultura, ma nasce da un retroterra di grande confusione. E’ basandosi su questa naturale propensione a confondere elementi che sfuggono alla comprensione immediata che fanno leva quanti affermano in mala fede di avere visto la Madonna o avere incontrato alieni.
In molti altri casi, invece, in cui non è possibile nè giusto parlare di malafede, si può teorizzare che l’estremo fascino ingenerato da simili confusioni ancestrali che tanto solleticano la nostra immaginazione abbia condizionato il testimone di un fatto strano aiutandolo a vedere ciò che desidera o che teme. E’ naturalmente da contemplare anche la possibilità che vi sia semplicemente del vero nelle affermazioni di molti fortunati che affermano di avere vissuto esperienze strane, ma il gran disordine apportato dalla presenza dei ciarlatani e dai loro improbabili resoconti rende praticamente impossibile operare un serio distinguo con l’effetto di stimolare un abbastanza serio ignorare tutti questi fenomeni.
E’ comunque cosa alquanto strana che molti dei racconti di contattisti (persone che affermano di avere incontrato alieni e di avere interagito con loro) strutturalmente ricordano da vicino altri racconti in cui qualcuno dice di avere incontrato la Madonna, i santi, etc. Con questo discorso non voglio entrare nel merito del problema se sia possibile o meno fare la conoscenza diretta di entità extraterrestri o divine. A ogni modo, la casistica è così vasta da permettere di supporre che molti di questi racconti siano dovuti a suggestione e di verificare che in tutti questi casi è sorprendente la similitudine da un punto di vista narrativo.
L’impotenza e l’eccitazione che caratterizza l’atteggiamento di chi racconta di essersi trovato davanti a un alieno è molto simile, se non uguale, allo stordimento estatico di chi afferma di avere vissuto un’esperienza mistica. Quindi possiamo forse riguardare- come suggerisce il celebre fisico teorico e divulgatore Paul Davies nel suo libro Siamo soli? – il nostro rapporto con l’alieno come un passo intermedio da compiere per rapportarci meglio con l’esistenza del divino. Una civiltà aliena che si manifesti in tutta la sua superiorità può incutere sì paura, ma può anche essere considerata un segnale usato dal grande Demiurgo per trasmetterci il senso di appartenenza a un immane progetto cosmico difficile da cogliere all’insulsa scala umana dove molto se non tutto appare stupido e contingente.
Simili atteggiamenti è sicuramente più facile riscontrarli nell’ambito di una cultura laica e religiosa occidentale. Infatti alcune religioni orientali come il buddhismo, professando la possibilità di un continuo rapporto con un ambito esperienziale che a occidente amiamo identificare come metafisico, si pongono da un punto di vista diametralmente opposto. Ciò che per noi è mistero o rivelazione sporadica del divino, a oriente è vista come normale ed evidente struttura del reale. Nella realtà in oriente non vengono contemplati un inizio e una fine assoluti ma piuttosto un continuo nascere e morire delle cose in un ciclo interminabile. Tutto è in trasformazione continua e ciò che è vivo qui potrebbe tranquillamente essere stato vivo altrove o ridiventarlo in un prossimo futuro grazie al fenomeno della trasmigrazione. Posizione, questa, in perfetto accordo con la possibilità di vita extraterrestre: per il Buddismo vi è un infinito numero di mondi abitati.
La Chiesa cattolica, dai tempi di Giordano Bruno a oggi, ha cambiato notevolmente atteggiamento sull’argomento vite aliene e pluralità dei mondi come anche su altre questioni che l’ hanno vista in passato scontrarsi duramente con diversi orientamenti religiosi, scientifici e culturali in generale.
Forte del fatto di avere incoraggiato la nascita e lo sviluppo di uffici scientifici di prim’ordine in seno alla sua struttura organizzativa, sul problema vita nell’Universo è oggi in grado di esprimere un contributo notevole nella ricerca filosofica e scientifica sostenendo le idee di quanti, all’interno della dottrina più ortodossa, vogliono vedere la vita come una volontà divina che si estende ben al di là del nostro piccolo pianeta.
E’ così che padre George Coyne, gesuita esperto di astronomia ottica e direttore della Specola Vaticana, nel ’92 è stato insignito della laurea honoris causa durante le celebrazioni galileiane tenutesi in quell’anno presso l’Università di Padova. Lo stesso giorno del conferimento della sua laurea, rilasciò un’intervista al giornalista scientifico Piero Bianucci durante la quale “confessò” di essere lui stesso interessato alla ricerca di pianeti extrasolari abitabili nella speranza di cogliere sul fatto la presenza di altre forme di vita.
Si pronuncia di nuovo, in una recente intervista rilasciata al quotidiano Paese Sera, confessando che la possibilità di vita in altri luoghi dell’Universo diversi dalla Terra “è una prospettiva che appassiona” e, pur invitando alla cautela, prova a immaginare gli effetti che avrebbe sulla fede la certezza dell’esistenza di altre forme di vita: “Questo ci dimostrerebbe che Dio ha ripetuto altrove ciò che esiste sulla Terra e nello stesso tempo toglierebbe dalla fede quel geocentrismo, quell’egoismo, se posso dire, che ancora la caratterizza”. Coyne si spinge oltre affermando: “Se io incontrassi un essere intelligente di altri mondi e mi rivelasse una sua vita spirituale e mi dicesse che anche il suo popolo è stato salvato da Dio mandando il suo unico figlio, mi domanderei come è possibile che il suo ‘unico’ figlio sia stato presente in luoghi diversi. Pensieri simili sono una grande sfida” e continua sempre nello stesso articolo affermando circa il ruolo della ricerca che “La scienza per un credente, comunque, non demolisce la fede ma la sprona”.
Dello stesso parere un altro teologo, don Giuseppe Tanzella Nitti, docente alla Pontificia Università della Santa Croce il quale, sulle pagine del Focus Extra no. 7, riferisce che “la fede dell’uomo nell’essere una creatura di Dio, nell’essere stato redento da Cristo e nell’essere destinato a una vita di eterna comunione con Dio, non verrebbe contraddetta da un contatto con civiltà extraterrestri”.
Apprezziamo dunque in queste parole una totale apertura del mondo della fede nei confronti delle scienze astrofisica e bioastronomia. A ben quattro secoli di distanza dall’abiura di Galileo, sembra quasi che la Chiesa a sua volta “abiuri” la sua fede indiscriminata in ciò che è il verbo svelato (sarebbe forse meglio dire “interpretato”) così da cooperare con la scienza degli uomini per la scoperta di verità comuni fra mondo laico e religioso.
Gli studiosi cattolici si spingono ancora oltre facendosi trascinare dalle nuove esigenze di spingere più in là nello spazio e nel tempo le nostre conoscenze fisiche. Ed è così che Reginaldo Francisco O. P., della facoltà di Teologia pontificia e civile di Lima (Perù), arriva a formulare i concetti di “cosmovisione”- ovvero il vedere la vita come fattore universalmente necessario- e quello di una “Teologia biocosmica”, cioè una Teologia che spieghi la visione del cosmo grazie alla cooperazione tra rivelazione e dati scientifici mutuati dalla ricerca teorica e sperimentale; una disciplina che studi la vita terrestre o le possibilità di vita extraterrestre in relazione all’esistenza di Dio.
Mentre mette in guardia dal cercare – come in molti hanno fatto – nell’Antico Testamento riferimenti espliciti all’esistenza di altri mondi abitati da intelligenze extraterrestri, ammette che nel Nuovo Testamento non è raro imbattersi in passi interpretabili in modi diversi e assimilabili a riferimenti a civiltà aliene. Questo atteggiamento ci sembra più una protezione estrema nei confronti di ciò che non si può difendere da una libera interpretazione che conduce invariabilmente chiunque a pensare a civiltà aliene in visita sulla Terra (vedi Ezechiele, 1, 15; Genesi 19, 23-29 per citarne solo alcuni).
E’ così che egli cita, analizzandoli alla luce del loro possibile riferirsi al problema della vita altrove nel creato, vari passi di quest’opera e tra questi il Vangelo di Giovanni (10,16): “Ho anche altre pecore che non sono di questo ovile; anche queste devo condurre; ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge e un solo pastore”.
Nel commentare altri passi di tenore simile, egli giunge a concludere che “ha ragione San Tommaso quando asserisce che “Il bene di grazia di un solo uomo è più grande del bene di natura nell’universo intero”: tuttavia non è facile convincersi che la creazione delle supergalassie che nessun essere umano potrà mai raggiungere, sia stata ideata semplicemente per abbellire il cielo notturno o risvegliare la curiosità degli astronomi”. Quindi ne conclude che “Spetta alla scienza darci le prove irrefutabili dell’esistenza di altre creature di natura razionale (sebbene di conformazione assai diversa dalla nostra) in altri pianeti simili alla Terra”. Egli così riconosce, e mediante la sua voce immagino lo faccia tutta la comunità cattolica, che la scienza – e quindi la Chiesa aggiuntasi progressivamente a essa nei secoli in quest’intento – ha definitivamente dichiarato aperta la “caccia” ad altre forme di vita, fossero anche soltanto di tipo vegetale, sperando di trovare altri esseri coscienti, dotati quindi di spiritualità, che possano verificare con la loro esistenza un progetto teleologico di redenzione cosmica.
Mentre mi sembra notevole l’apporto dato dal supporre la possibilità di “conformazioni diverse dalla nostra” che potrebbero caratterizzare altre forme di vita, ipotesi questa molto accorta e usata più dalla fantascienza che non dalla scienza che, come abbiamo avuto modo di vedere nell’introduzione, rimane di idee molto antropomorfe, in conclusione dello stesso articolo ci sembra di scorgere un ritorno a vecchie posizioni conservatrici.
Infatti, nella lettura dei testi sacri e dei dati scientifici, lo studioso afferma che “la Rivelazione ci blocca in un dato che fa rilevare l’irripetibile grandezza della dignità umana: fu sulla Terra che avvenne la redenzione dal peccato originale, operata attraverso l’incarnazione del Figlio di Dio fatto uomo. Noi sappiamo per fede che Dio si fece essere umano e non angelo o E.T., alieno o extraterrestre”. Questa pericolosa induzione, tutta originata in ambito fideistico come ammette lo stesso Reginaldo e in totale assenza di aiuti scientifici, gli fa teorizzare come il sacrificio del Cristo in Terra e la salvezza della resurrezione possano essere considerate azioni divine i cui vantaggi vanno estesi a tutti gli esseri dotati di intelligenza e spiritualità.
In queste posizioni scorgiamo un possibile problema in campo teologico, sembrandoci di poter rilevare una certa discordanza dalla visione di padre Coyne più improntata a una dignità spirituale di tipo cosmico, senza alcun privilegio geocentrico caro al teologo Reginaldo. Problemi sembrano sorgere anche dal confronto delle parole di Reginaldo con quelle espresse da don Giuseppe Tanzella Nitti il quale è dell’idea che “potrebbe forse toccare ai terrestri il compito di parlare di un creatore”.
Il suo dubbio è sicuramente in contrasto con le forti certezze di Reginaldo. Infatti questi, pur ammettendo che la vita possa essere iniziata su un pianeta ed essersi trasmessa altrove in qualche modo, a proposito del peccato originale, afferma: “Rimane il fatto rivelato che tale disordine traumatico ci fu e si trasmise a tutti i discendenti di identica natura razionale nel tempo; nulla impedisce che, data l’immaterialità di tale trasmissione, anche nello spazio la colpa originale si sia potuta accollare ad altre creature di natura razionale (…)”. Quindi l’apertura dimostrata nel teorizzare una fisicità delle altre creature intelligenti diversa dalla nostra non comporta una corrispondente apertura nel teorizzarle magari più intelligenti di noi o semplicemente con strutture mentali differenti e quindi non confrontabili.
In aggiunta a questo, notiamo che andrebbe coniato un altro termine per definire una panspermia del peccato originale che, parallelamente alla vita, si propaga nel cosmo fino a includere nella colpa tutti gli esseri viventi dotati di intelligenza e spiritualità. Interesse della Chiesa, ovviamente Chiesa terrestre a causa della sua supremazia, è quindi nelle idee di Reginaldo quello di costruire una comunità universale che proponga e annunci la redenzione a opera del Cristo che qui in Terra si è fatto uomo.
Dovere della Chiesa sarà allora quello di diffondere il verbo nel cosmo. In quest’ottica appare necessario allo studioso sudamericano anche immaginare che un giorno potranno esistere missionari spaziali che annuncino l’incarnazione terrestre del verbo divino e la conseguente possibilità di redenzione per tutte le intelligenze che popolano il cosmo.
[da torinoscienza]