di Giuseppe Genna
Poiché Roberto Saviano, con il suo splendido romanzo Gomorra, ha raggiunto vette alte della classifica di vendita della narrativa italiana, si è scatenata una sorta di lotta al padrinaggio, che ha condotto a uno degli atti più indegni a cui mi sia capitato di assistere in Rete, da quando ci lavoro, cioè dal ’95. L’atto è un atto in due tempi. Parto dal primo tempo.
Sono a Roma, per la prima volta nella redazione di una certa rivista, e mi fa piacere esserci, sono leggero come una piuma nonostante il peso di viaggi e seminari tenuti in giorni concitati. I redattori della rivista in questione stanno contemplando scandalizzati un post di Tiziano Scarpa sul Primo Amore, che, a proposito di Roberto Saviano, sembra (bisogna sempre concedere l’attenuante della buona fede) avanzare una sorta di padrinaggio esplicito rispetto all’emersione di un autore che è stato portato in Mondadori da Helena Janeczek, pubblicato dal direttore della narrativa Mondadori, Antonio Franchini, e ha avuto accesso a trasmissioni televisive grazie ad alcune telefonate del direttore generale Mondadori, Gian Arturo Ferrari. Scarpa sembra (la buona fede, anzitutto) alludere invece a un altro tipo di provenienza e formazione autoriale, per quanto concerne Roberto Saviano e Gomorra. I redattori della rivista romana, dopo i brividi, esprimono schifati pareri che non so se condividere.
La cosa finirebbe lì, con questo primo tempo che, buona o cattiva fede, risulta comunque meschinello, oltreché offensivo per chi da anni tenta di lavorare con la Rete alla costruzione di un tipo alternativo di società letteraria e che solo Scarpa & co. sembrano, buoni ultimi arrivati, avere conseguito. Le considerazioni vanno poi a scapito di Gomorra: un testo eccezionale che disvela, al centro del turbocapitalismo, un nucleo criminogeno narrato con visionaria precisione – e si sprecano giudizi sull’intellighentsja e l’editoria. Uno si dice: mah. Dovrebbe davvero finire lì.
Invece no.
Perché nel numero 10 di Nandropausa, i Wu Ming dedicano uno speciale a Gomorra di Saviano. Uno dei Wu Ming (il numero 3, per la precisione) è napoletano, sa molto bene di cosa Saviano parli e comprende perfettamente le implicazioni di un libro pericoloso come quello edito da Strade Blu Mondadori. Alla recensione appassionata, si aggiungono considerazioni finalmente espresse con decisione da qualcuno che, di letteratura, capisce: perché il libro di Saviano è stato letteralmente travisato, come se si trattasse di una sommatoria di reportage effettuati da uno ubiquo come Padre Pio, che si trova sempre sul luogo e al momento del delitto – un’interpretazione che renderebbe comico un libro che è drammatico quanto epico. Il libro di Saviano stava per essere sistemato in una collana saggistica (ho speso parecchia energia al telefono per perorare la cusa del posizionamento in narrativa con gli amici editor di Mondadori – e non vanto qui, in buona fede, alcun padrinaggio). La materia del libro corale di Saviano, che utilizza, per dirla con un memorabile titolo del poeta Cesare Viviani, cori non io come io narrante di una situazione collettiva, di un’epica nerissima, di una penetrazione d’analisi profonda e che si mangia qualunque considerazione da postadorniani con poca cultura, ha indotto giornalisti e critici a credere che Gomorra non fosse quello che in realtà è: si è detto che è uno specchio della realtà, un’indagine sul territorio, un’esplorazione antropologica – invece è un urlo collettivo, una storia di storie raccolte da uno scrittore che dispone di una lingua eccezionale e di una capacità di intercettazione del conscio e dell’inconscio collettivo da mettere i brividi. E’ Wu Ming 1 a chiarire definitivamente la questione e, nel farlo, stigmatizza (“Lo scrivo a scanso di equivoci, visto che adesso c’è la gara a chi per primo intuì il talento, e chissà dove saresti a quest’ora se io non, e va riconosciuto che c’è un gruppo di persone che. Solita fiera delle vanità, solita condotta parassitaria, solito esibizionismo sconcio”) la peggiore delle osservazioni compiute su Saviano: che è quella di Scarpa.
Stigmatizzato da Wu Ming 1, che compie un’azione interpretativa del tutto legittima, Tiziano Scarpa scatena un’operazione che – mi si perdoni la franchezza e la grevità – fa letteralmente schifo. In coppia con Carla Benedetti [a fianco] si mette a scrivere una specie di recensione piatta, che invera luoghi comuni giornalistici depistanti, su Gomorra (“Gomorra è un reportage”), e utilizza questa recensione per attaccare con termini insultanti il lavoro dei Wu Ming:
“I Wu Ming rischiano poco o nulla scrivendo fiction, o miscelando fiction e non fiction”; “Quasi tutto ciò che scrivono i Wu Ming è il frutto di un lavoro assai più rapido, spesso di seconda mano, distribuito sulle spalle di cinque. Saviano lavora come manovale al porto di Napoli per scoprire dove vanno a finire le merci cinesi e come viene organizzato lo stoccaggio. I Wu Ming tutt’al più, prima di scrivere un romanzo storico, vanno a turno in biblioteca”; “Un libro come Gomorra mina alle fondamenta il loro castelletto di teorie sulla scrittura collettiva, “condividui” pseudonimi e depotenziamento autoriale. Perciò i Wu Ming tentano affannosamente di inglobare Roberto Saviano snaturandolo, uniformandolo alle loro impostazioni, con ragionamenti capziosi che ribaltano l’evidenza. Ma è un gesto disperato, il loro”; “C’è un’aria nuova che sta spazzando via questi giochini e le loro coperture ideologiche, i Wu Ming se ne sono accorti e si affrettano con grande apprensione a confondere le carte per non essere sbugiardati da un gesto semplice e potente come quello di Saviano. Continuate pure a produrre e autopromuovere la vostra fiction, ma non prendeteci in giro”.
Non si tratta di giudizi legittimi, in questo caso, ma di volgarità e falsità, scritte appoggiandosi al successo di un libro che meriterebbe un lavoro critico che i critici si guardano bene dal fare. Non pago, il duo Scarpa-Benedetti, esulta per un “cambiamento d’aria” rispetto al passato recente, di cui i Wu Ming sarebbero proditori protagonisti.
Ora, a titolo espressamente personale, e non coinvolgendo alcun membro della redazione di Carmilla, dico come stanno le cose. Da mesi Carla Benedetti va attaccando (perfino tacciando di “fascismo”) il lavoro collettivo di Wu Ming. Parla qui uno che, dal collettivo bolognese, si è preso del “fascista” per una decina d’anni e che quindi è al di sopra di ogni sospetto. L’idea che Scarpa e Benedetti si sono fatti del portentoso lavoro del collettivo è a dire poco riduttiva e lo è perché – al solito – non hanno letto nella loro strutturata totalità gli scritti e le dichiarazioni che il gruppo WM da anni, anche quando si chiamava Luther Blissett, ha pubblicato. E’ grazie a questi scrittori e a Valerio Evangelisti, principalmente, che l’aria è cambiata in Italia. Non certo grazie a Scarpa e ai suoi compagni, quelli di un tempo e quelli del presente. Non credo ci sia scrittore italiano sotto i cinquant’anni di rilevanza che non riconosca a Wu Ming di avere mutato o scardinato abitudini deleterie e consolidate in una tradizione e in una struttura sociale (quella della comunità letteraria pre-’95) come quelle che allignavano in territorio italico, e dal quale lo stesso Scarpa aveva avuto l’abbrivio. E’ vergognoso che, senza per esempio sapere quanto i Luther Blissett abbiano rischiato in prima persona per la battaglia sulla bufala dei Bambini di Satana (Wu Ming 1 si è trovato, davanti alla porta di casa, un mattino, una testa di maiale mozzata; ed è tuttora a processo; il libro scritto sulla questione fu sequestrato), il duo Scarpa-Benedetti dia al collettivo autore di 54 della compagnia di topi di biblioteca, opponendolo al coraggio di Saviano: un insulto ai Wu Ming e a Saviano stesso, una mistificazione che oltrepassa i confini non solo del buongusto, ma dell’etica minima. Se la coppia che consuma il Primo Amore non lo sapesse, è pieno di scrittori attualmente minacciati o a processo perché, anziché scrivere di pompini e pontefici su un aeroplano, hanno scritto di problemi seri in “fiction” che non erano totalmente fiction. Mi sono trovato, una volta che avevo attaccato Carla Benedetti per quella che ritenevo una posizione filosofica insostenibile, il suo defensor fidei Tiziano Scarpa che mi ha convocato a pranzo, per lamentarsi che scrivevo non libri veri, ma thriller in cerca di successo, senza nemmeno immaginare cosa sia successo con Scientology al sottoscritto in occasione dell’uscita di un cosiddetto thriller che si occupava di Kissinger (e tanto meglio che sia stato venduto in 25.000 copie in America).
Così va la vita, si dice uno. No, così non deve andare. Scarpa e Benedetti dovrebbero ringraziare, anziché insultare, senza alcuna premessa che l’avere toccato la regia maestà di lorsignori, chi sulla Rete è un decennio che si fa un mazzo per portare avanti pratiche innovative, con newsletter come Giap! che raggiungono novemila iscritti, copyleft praticato con radicalità ed effettività, imposizione agli editori di titoli che gli editori non vorrebbero fare, costringendoli pure a pubblicare con carta ecologica, dando vita a un gruppo (i Quindici) che si smazza la lettura di migliaia di aspiranti scrittori, e che oltre tutto ci regala una letteratura che Scarpa non ci ha regalato ed è capace di atti critici e teorici di cui Benedetti non ha dato sinora prova.
La predica giunge infatti da persone che, di narrativa, non ne hanno praticamente fatta, e di critica ne hanno fatta pochina. Hanno, è vero, goduto di visibilità mediatica (la medesima che assaltano all’arma bianca, salvo approfittarne quando fa comodo, o capitare col faccino sul Corsera in occasione dello scandalo-calcio per un post furbetto che asserisce esistere la cupola moggiana anche nell’editoria). Continuano a godere di visibilità mediatica. Occupano posti di potere: cattedre, cattedre virtuali, rubriche su settimanali patinati dove espongono l’incredibile e aiutano i defensor fidei a esporre l’incredibile. Sono preda di meccanismi della vecchia neoavanguardia senza accorgersene. Performano a prescindere dalla qualità dei testi performati. E si permettono di insultare, di denigrare, mascherando sotto la finta croppa dell’analisi dei contenuti l’irritazione perché uno ha espresso un parere su uno scritto che, tra tutte le persone che l’hanno letto e con cui io ho parlato (e sono un bel po’) ha suscitato soltanto indignazione. Sono le medesime persone che soltanto un anno fa, fottendosene amabilmente dei lettori, mollano una realtà di Rete che non gestivano secondo le loro modalità, lasciando mezzo Web allibito. Gente che sa che uno scrittore è a processo contro Dell’Utri e si mobilita zero per solidarietà, ma ne chiede se le tocca un processo intentato da un professore universitario.
Questa concussione ambientale non sortirà alcun effetto. Basta che uno si rechi su Alexa (immaginiamo bene che il duo Scarpa-Benedetti dovrà rivolgersi all’oracolo Google per capire di cosa si tratta) e verifichi l’accesso e la popolarità del sito su cui l’indegno attacco a Wu Ming e l’operazione su Gomorra di Saviano è vista dall’equivalente della popolazione di metà d’un quartiere di Zibido Buonpersico. Se questa è l’aria nuova che sta spirando, moriremo di assenza d’ossigeno.
Sono pronto a rivedere le mie opinioni quando qualcosa verrà prodotto e non solo autopromozionato da questa accolita che, al momento, non produce se non autopromozione. Mentre attendo impaziente Manituana, il lavoro dei Wu Ming in uscita da Einaudi (anni di lavorazione: 5. Parecchia biblioteca, evidentemente, con tutti i rischi che comportano le biblioteche: zecche della carta, legionella nell’aria condizionata…): avendo notizia, per sentito dire, della massa sterminata di testi che hanno studiato, della pluralità di livelli di lettura, avendo verificato che la loro lingua collettiva nasce soltanto perché tutti e cinque dispongono di lingue diverse e tutte d’eccellenza, immagino che sarà un lavoro all’altezza di Gomorra.
Chiudo con un aneddoto pubblico e personale al tempo stesso. Wu Ming 1, che è l’autentico obbiettivo dell’irritazione di Scarpa nello pseudopost in questione, non è solo l’autore di progetti collettivi: ha pubblicato un romanzo solista, New Thing, per Einaudi. Durante un’affollata riunione di blogger a Milano, mentre sono seduto insieme a testimoni che lavorano in case editrici e quotidiani, Scarpa si siede al medesimo tavolo e dice che NT è una totale (testuale) “calata di braghe davanti all’immaginario americano”. Il che non farebbe scandalo: che forse l’America è il Male assoluto? Per un manicheo, forse, sì. Il problema, però, ed è la risposta che in quel momento fornisco a Scarpa, è che NT è un ritratto impietoso dell’Italia: forse, insinuo, non è stato còlto il livello allegorico di quel libro. E’ che non era stato còlto il libro: New Thing, Scarpa, non l’aveva letto, come candidamente ammette per lo sbalordimento dei presenti. Ecco, se la serietà, la vulnerabilità, la calma che produce il giudizio sereno della supposta nuova società letteraria costituita da tre persone è questa, meglio, come dicevo, cambiare aria: tenerci quella che soffia dal ’95, quando i Wu Ming ci hanno permesso di scavalcare tante cazzate e di ricominciare a raccontare storie e mandare davvero in deriva l’immaginario.