La carta e il pane. Libri al macero e diritto d’autore
di Alberto Prunetti
Dove si racconta di un libro fantasma, di autori morti e di “aventi diritto” vivi, e si finisce per dar ragione a Proudhon allorché sosteneva che la proprietà è un furto.
Ci sono scatoloni pieni delle copie di un libro fantasma, pronte per finire al macero. Copertina rossa, formato in sedicesimo, brossura e un titolo semplice: Bianciardi com’era. Lettere di Luciano Bianciardi ad un amico grossetano, autore Mario Terrosi, introduzione di Pino Corrias, edizioni Stampa Alternativa. Libri da distruggere, prima ancora di essere distribuiti. Libri che sono stati dati alle stampe prima che fosse trovato un accordo con tutti gli aventi diritto, e che presto saranno trasformati in stracci.
Ma qual è la storia di questo libro fantasma?
Mario Terrosi, un tipografo grossetano amico dello scrittore Luciano Bianciardi, l’autore della Vita agra, raccoglie nel 1974 alcuni brani dalle lettere che gli ha inviato Luciano e li incastra in un racconto biografico. Il libro esce in poche copie per i tipi di “Il paese reale”, una piccola casa editrice maremmana. Presto cala il sipario su Bianciardi e solo nel 1985 un’altra piccola editrice, la romana Ianua, decide di riproporre una nuova edizione della “biografia epistolare” di Terrosi. Con la fine degli anni Ottanta si torna a parlare di Bianciardi. La macchina editoriale muove i suoi ingranaggi e risolleva dall’oblio la figura del traduttore a cottimo grossetano. Intanto Mario Terrosi muore.
Circa un anno fa la casa editrice Stampa Alternativa ha deciso di ripubblicare il libro di Terrosi. Ha pensato di aver risolto la questione della proprietà dei diritti trovando un accordo con gli eredi di Terrosi. Ma il diritto d’autore è un terreno su cui si slitta facilmente, e servono azzeccagarbugli e tanti capponi per uscirne con la strada spianata. Luciana Bianciardi, la figlia di Luciano, rivendica a norma di legge la titolarità dei diritti (o almeno del 50 percento dei diritti), e intima a Stampa Alternativa di bloccare la distribuzione del libro. Non si arriva a un accordo, e anche i familiari di Terrosi cominciano a tornare indietro rispetto all’idea della pubblicazione. Il terreno è minato, e gli esperti di diritto d’autore possono divertirsi a parlare di “opere con autorialità multipla”, “responsabilità intellettuale”, “diritto di successione” “titolarità di aventi diritto” e roba del genere.
Io invece, scelgo un’altra strada. Non ho voglia di dire a Stampa Alternativa che è il momento di tirare su un ufficio diritti, né ho voglia di supplicare la figlia di Bianciardi perché trovi un accordo per salvare le copie dei libri del padre dagli acidi del macero.
No so se “abbia più diritto” un editore a pubblicare un libro e farci soldi, o se “abbiano più diritto” gli “aventi diritto” a esigere le loro royalties, solo perché eredi. Sul diritto di successione, forse avevano ragione quelli della prima internazionale. Bisognerebbe nascere tutti uguali, senza ereditare nulla. Certo, io personalmente ci perderei una carciofaia e tre olivi nel comune di Scarlino, però tutti godremmo delle opere di Bianciardi e delle ville dei signori, potremmo ristampare a nostro gusto i testi di Calvino e organizzare picnic con pisciata libera nella villa di Arcore. Non male, no?
Chiaro, gli “aventi diritto” difendono le loro proprietà. E ci mancherebbe che il diritto non desse loro ragione. In quanto aventi diritto, il diritto è dalla loro parte. Anche quello d’autore. Per quel che ne so io, il diritto d’autore garantisce prima gli editori e poi gli autori, e più gli autori e gli “aventi diritto” che i lettori. Gli autori morti, ovviamente, non contano proprio un cazzo. E allora, cari i miei cinque lettori, chi se ne fotte del diritto. Ci sono cose più importanti da dire, sul fatto di scrivere, e sul diritto. Eccole queste cose.
L’autore di un libro è considerato il proprietario di un’opera d’ingegno, secondo la legge. Ma l’autore di un libro è al tempo stesso autore di un plagio. Ruba le idee intorno a se, come facciamo tutti: l’autore osserva, legge, ascolta. Accumula materiale e lo confeziona in un libro. E allora perché non deve riconsegnare “al pubblico dominio”, come si dice, il frutto della sua opera? Perché non renderla disponibile per nuovi plagi, nuove manipolazioni, nuove creazioni, come ha fatto lui? Allora un invito: scrittori, quando state per crepare, strappate i libri di mano ai vostri editori e ai vostri eredi, e rendeteli disponibili per tutti. Che so, inventatevi nuove licenze “creative commons post-mortem”, fate eredità agli analfabeti, basta che non diate esclusive a nessuno. Lasciate che chiunque possa pubblicare i vostri libri, a ciascuno secondo i suoi bisogni, da ciascuno secondo le sue possibilità. Così, se Baraghini vuol pubblicare il vostro libro a 7 euro, e Luciana Bianciardi, figlia di Luciano, vuole pubblicarlo in un antimeridiano che costa 70 euro, sono fattacci loro. Ognuno se lo pubblica come vuole, e vediamo la gente quale va a comprare.
Bene, a questo mondo siamo costretti a farci pagare per quello che facciamo (e ci perdiamo sempre), e dal momento che gli editori col frutto delle fatiche di scrittori e traduttori ci fanno quattro volte i loro guadagni, non vedo niente di male nel fatto di farsi pagare per il proprio sudore: pochi, maledetti e subito, come diceva Bianciardi. Ma perché mai coi frutti del sudore (relativo) di uno scrittore dovrebbe guadagnarci anche suo figlio, o la moglie del figlio o altra gente ancora che quello scrittore mai ha visto e magari con cui non condivide niente, se non qualche manciata di cromosomi? Solo perché “aventi diritto” per questioni d’eredità? Per diritto di famiglia? Per lascito di successione? Per come la vedo io, il diritto di successione esiste solo per garantire la continuità dei grandi patrimoni. Rispetto poi alla famiglia, ci vedo l’origine di ogni danno, soprattutto nei paesi di cultura cattolica. A livello letterario, poi, ci sono vere e proprie barzellette sui casi familiari. Un esempio: un tizio si ammazza perché della famiglia non ne può più, perché odia sua moglie o sua madre o per cos’altro ancora: vi sembra giusto che i suoi familiari decidano per lui sulle sue opere? No, eppure è proprio così che succede. Oppure prendiamo il caso di D.A.F. de Sade, che vecchio e malato viene costretto ad assistere all’incendio dell’unica copia di un suo romanzo manoscritto. Sapete chi appiccò il fuoco? Suo figlio, scandalizzato dalla reputazione del padre, che avrebbe macchiato il buon nome della stirpe (e la macchiò davvero, al punto che quando pochi anni fa c’è stato un anniversario della figura di Sade, in Francia hanno festeggiato tutti, tra poco anche il presidente della repubblica, con l’eccezione degli eredi, che ormai ereditano solo il fatto che una certa pratica sessuale porta il loro nome).
Eccoci alla carta e al pane. Il giorno che mi hanno raccontato la storia del libro fantasma di Terrosi e Bianciardi sono andato a mangiare i tortelloni burro e salvia nel podere dove viveva un poeta-contadino maremmano, uno degli ultimi poeti in ottava rima, ormai scomparso. La moglie mi ha fatto vedere il libro che hanno pubblicato dopo la morte del marito, con le sue poesie. Poi mi ha fatto vedere i pochi libri di proprietà del poeta, tra cui spiccava un dizionario italiano, un rimario, la Divina commedia e le opere dell’Ariosto. Poi mi ha detto: “Maremmaciuca, un marito scrittore, m’è costato più di carta che di pane!”. Ho pensato che la moglie del contadino-poeta quel libro se l’era sudato quanto il marito, e dopo una vita tra i cavalli e le trebbiature almeno lei era riuscita a vedere il frutto di tante fatiche. I libri dovrebbero essere come l’aria e l’acqua e la terra, un bene comune, ho pensato. Si muore e si torna a fertilizzare la terra, e coi libri dovrebbe essere uguale: dovrebbero tornare a fare l’humus del libero pensiero, tornare di pubblico accesso, d’uso comunitario.
Narciso ’71 .Non so se sia questo il titolo del romanzo pornografico ancora inedito che Bianciardi ha scritto. Ogni tanto incrocio qualche vecchio che ha avuto a che fare con gli amici grossetani di Bianciardi e mi conferma che esiste almeno un libro pornografico di Luciano, ma che nessuno vuole pubblicarlo perché “l’immagine di Luciano ne rimarrebbe compromessa”. Sarà vero? Ma come, io lettore, appassionato di porcate letterarie, voglio leggermi questo romanzo perché amo Bianciardi e le porcate, ma non posso farlo perché qualcun’altro che ha i diritti preferisce non farlo uscire e lo giudica controproducente per l’immagine che si è fatto di Bianciardi? Roba da chiodi. Questo mi ricorda la storia degli eredi di Sade. E poi scusate, io l’antimeridiano non l’ho visto, ma se si vuole raccogliere l’opera completa di Bianciardi, bisogna che ci sia anche questo famoso romanzo porno di Lucianone. Se nell’antimeridiano non c’è il romanzo porno, è una vergogna (vergogna è censurare, diceva Luciano). Se invece c’è il porno romanzo (ma credo proprio di no), è una vergogna uguale che io debba pagare tanti soldi per leggerlo: a me, che faccio fatica a mettere assieme la spesa e l’affitto, toccherà rubarlo dalle librerie, e quindi o me la vedo col diritto d’autore o col diritto penale. In ogni caso aveva ragione Proudhon, la proprietà è un furto.