di Valerio Evangelisti
[Anche quest’anno, nel corso del festival Le parole dello schermo – Cinema e letteratura, Valerio Evangelisti, che nell’edizione 2005 ideò La notte gotica, presenterà il 30 giugno una maratona notturna presso un cinema bolognese, con inizio a mezzanotte. Quest’anno il tema sarà La notte della fantascienza-spaghetti. Questa è l’introduzione alla rassegna, scritta per il catalogo del festival,]
Ormai quasi tutti i generi del cinema popolare italiano degli anni ’60-’70 sono stati riabilitati, per opera di una parte della critica, di un buon numero di appassionati e di qualche regista straniero del peso di un Tarantino. A ciò hanno anche contribuito alcuni festival, le programmazioni delle cineteche o quelle di alcune reti televisive satellitari.
Rimane invece in posizione negletta il cinema italiano di fantascienza, malgrado importanti omaggi che a Bologna e a Trieste sono stati tributati al regista più prolifico nel campo, Antonio Margheriti (Anthony M. Dawson), e il riconoscimento quasi universale che ormai circonda il film Terrore nello spazio di Mario Bava.
Ciò non vale in eguale misura per la fantascienza italiana posteriore agli anni ’70, le cui deliranti imitazioni di 1999 Fuga da New York, destinate essenzialmente alle platee mediorientali e firmate Di Martino, Fulci, Massacesi, Castellari ecc. hanno un loro mercato di nicchia in dvd, alimentato da estimatori del trash sia italiani che statunitensi. Sono gli anni ’60 a essere quasi caduti nell’oblio (e dunque nel disprezzo), sebbene siano stati i più fervidi e vitali.
Sia chiaro, nessun film italiano di science fiction del periodo può aspirare alla serie A (salvo quelli di autori che, come Gregoretti e Petri, puntavano a tutt’altro), e persino la posizione in B era mantenuta con affanno. La povertà dei mezzi era sfacciata, il fine puramente alimentare appariva evidente, la piatta imitazione costituiva la norma. E tuttavia io credo che il cinema fantascientifico italiano di quegli anni meriti una, sia pure cauta, rivalutazione.
Non rappresentò mai una “scuola”, una tendenza precisa, una cifra stilistica identificabile, a differenza dello spaghetti-western di qualità del decennio successivo. Semplicemente, venne un momento in cui registi e produttori che si erano cimentati col peplum ritennero che fosse possibile arricchirsi con un “nuovo” genere di provenienza americana. L’esperimento fu inizialmente tentato, prudenzialmente, con dei peplum-sf come Maciste contro i mostri (1963), Maciste contro gli uomini della luna (1964), Maciste e la regina di Samar (1965) e come il demenziale Il gigante di Metropolis (1961) che presentiamo in questa rassegna: aderente, nella sua dismisura e nella carica grottesca, all’elogio della visionarietà tessuto da Marinetti nel suo Manifesto del cinema futurista.
L’esperimento riuscì solo in parte, però il successo enorme di due film statunitensi — La guerra dei mondi di Byron Haskin (1953) e Il pianeta proibito di Fred M. Wilcox (1956) — era indicazione che non poteva essere trascurato. In ritardo, certo, vista la lentezza con cui allora un film strisciava dalla prima visione alla seconda (economicamente più determinante), ai cinema parrocchiali, a quelli all’aperto delle località marittime. La fantascienza piaceva, e lo dimostravano, accanto ai capofila, centinaia di pellicole in bianco e nero in cui esseri improbabili cercavano di distruggere la Terra, o razzi simili alle V2 partivano per esplorare pianeti ostili.
Oggi si ha un’idea vaga di cosa fosse l’Italia dei primi anni Sessanta. Ancora semi-rurale, codina, puritana, dissimile per regime dalla Spagna franchista, ma a essa somigliante per tanti aspetti culturali. Nelle scuole dominava il primato attribuito dal crocianesimo alle lettere rispetto alle scienze; lo sviluppo tecnologico, per quanto incoraggiato dal cosiddetto boom, era lentissimo.
Molti giovani che ambivano a una modernità capace di liberarli dalla cappa di grigiore e di arretratezza che li soffocava, trovarono nella fantascienza un canale di sfogo. Sia in quella letteraria (nata nel 1952, la collana Urania giunse a vendere sessantamila copie a numero) che in quella cinematografica. Era, se vogliamo, una manifestazione di “americanismo”, ma nel senso positivo di anelito verso un’uscita dall’arretratezza. Trent’anni dopo, la fantascienza avrebbe sedotto, per analoghe ragioni, i giovani dei paesi ex socialisti.
Allora ignorata dai critici letterari, e disprezzata da quelli cinematografici, la SF fu imposta all’attenzione da un tumultuoso moto dal basso, coinvolgente fasce soprattutto adolescenti. Inevitabile che i registi più commerciali prendessero atto per primi del fenomeno. Certo, la maggioranza di loro si appiattì sulla parentela che univa, nel grosso dei film di importazione, SF e genere horror, e si concentrò sul tema — superato da un pezzo in campo narrativo — del “mostro”, divenuto un invasore extraterrestre (o “marziano”, come si diceva allora, mentre la parola “alieno” non era ancora divenuta di uso comune).
Lo si vede bene nel celebre Terrore nello spazio di Mario Bava, che, pur vantando un’origine letteraria, per di più autoctona (è tratto da un racconto non molto smagliante del veneziano Roberto Pestriniero, ispirato alla lontana al famoso La sentinella di Fredric Brown), è di fatto un horror ambientato in atmosfere rarefatte, con almeno una scena — quella dello scheletro colossale – che sarà copiata di peso in Alien, di Ridley Scott.
Ma lo si vede, in certa misura, nei molti film di Margheriti, con la piacevole variazione de Il pianeta errante (1966), in cui il mostro è lo stesso corpo celeste cui allude il titolo. In altre pellicole dell’autore il lato horror è affidato, per esiguità di budget, a nuvolette di fumo e a raggi luminosi proiettati, si direbbe, da una comune torcia a pile. Resta comunque la tematica di creature terribili apparse a minacciare una comunità di umani. Con una salita di tono di derivazione letteraria, perché ispirata a un argomento trattato dagli scrittori di SF fin dagli anni ’30: quello di macchine belliche attivate da civiltà aliene poi sparite, rimaste ottusamente impegnate nella loro attività distruttiva. Il pianeta degli uomini spenti (1961) resta, a mio giudizio, uno dei migliori contributi di Margheriti al genere di cui trattiamo.
Ma la fantascienza cinematografica italiana degli anni ’60 ebbe espressioni più raffinate. Ubaldo Ragona, ne L’ultimo uomo della terra (1963), realizzò la migliore delle molte trasposizioni del romanzo di Richard Matheson I Vampiri (I Am Legend), con un Vincent Price solo tra gli scheletri degli edifici dell’Eur. Ugo Gregoretti scelse il linguaggio della social science fiction per criticare la condizione operaia nel feroce ed esilarante Omicron (1964). Fino a La decima vittima (1965) di Elio Petri, che, ispirato a un racconto di Robert Sheckley, in cui peraltro le vittime erano tre di meno, proiettava nel futuro tutta la paccottiglia kitsch degli anni Sessanta, prevedendo (giustamente) che un giorno sarebbe divenuta società.
Fatto tanto di cappello a questi vertici, non si disprezzi la produzione con minori ambizioni. Gli scenari avveniristici di Margheriti e dei suoi confratelli della serie B oggi ci fanno sorridere, ma a ben vedere non sono molto diversi, nella loro ingenuità, da quelli della prima serie di Star Trek, entrata nel mito. Per non parlare dei titoli, terribilmente suggestivi: La morte viene dal pianeta Aytin, I criminali della galassia (vietato ai minori di 18 anni!), I diafanoidi vengono da Marte.
Poco importava che i “diafanoidi” fossero semplici luci circolari proiettate su pareti in apparenza metalliche. Bastava il loro nome a far sognare un futuro avvincente a chi, nell’Italia dei Sessanta, subiva le polemiche contro le gambe troppo scoperte delle gemelle Kessler, o leggeva sulle porte delle chiese l’elenco dei film proibiti (corredato, più a sud, da quello dei parrocchiani che non erano andati a messa).
La fantascienza fu, in quel periodo, un grande movimento di liberazione.
I FILM DEL CICLO:
Il gigante di Metropolis (1961) di Umberto Scarpelli
Il pianeta degli uomini spenti (1961) di Antonio Margheriti (Anthony M. Dawson)
Omicron (1963) di Ugo Gregoretti
Terrore nello spazio (1965) di Mario Bava
La decima vittima (1965) di Elio Petri
Il pianeta errante (1966) di Antonio Margheriti