di Felice Campora
Premessa 2006
Riflettendo sullo scandalo degli arbitraggi pilotati che in questi giorni fa notizia sui media risulta evidente che gli elementi materiali a disposizione di tali arbitri per dirigere una partita verso il risultato predeterminato erano sostanzialmente due: l’esclusione di un giocatore da una partita mediante una decisiva ammonizione o un’espulsione nella partita precededente (in entrambi i casi al giocatore viene comminata almeno una giornata di squalifica) oppure la non segnalazione a favore della squadra da proteggere di una posizione di fuorigioco dei suoi attaccanti o, di converso, la segnalazione di un fuorigioco inesistente nel caso la suddetta squadra fosse sul punto di subire una rete.
Se l’esclusione di un giocatore per scorrettezze o per proteste ha un evidente risvolto umano che per potenza emotiva è notevolmente superiore al fatto che l’ha generata (il calcione, la spallata violenta o, peggio, un fallo veniale), la segnalazione o meno del fallo di fuorigioco è un elemento squisitamente tecnico, asettico direi, e proprio per questa ragione ben si presta ad essere portato come vero e proprio simbolo degli sporchi affari giocati intorno a uno sport che appassiona cittadini così diversi per età, sesso e condizione sociale.
Che il lasciare difficilmente segnalabile il fallo di fuorigico sia convenuto ai manipolatori delle partite di calcio mi sembra un fatto quantomeno probabile: la possibilità che qualche centimetro possa decidere il risultato di un partita fa molto comodo a chi detiene posizioni dominanti – in un sistema sociale punitivo l’estrema ampiezza interpretativa delle regole è inevitabilmente destinata a favorire i detentori del potere; per loro è un vero e proprio divertimento spostare continuamente il labile confine fra ciò che appare e ciò che è. Sarebbe quindi veramente convenevole che oggi un tale nobile istituto, il fuorigioco, appunto, funzionasse efficacemente. Immagino che una prima conseguenza potrebbe essere quella di rivoluzionare le concezioni teoriche e tecniche di più di un allenatore, mentre sul terreno di gioco potrebbe certamente consentire al calciatore attaccante e a quello in difensiva una più fiera relazione reciproca (ma anche una diversa relazione di ognuno di loro con il pallone in movimento); potrebbe addirittura apportare significativi cambiamenti nel tipo di gioco che gli atleti di alcune particolari squadre (manovriere o meno) svolgono a centrocampo, dietro gli attaccanti. Anche solo aumentare la casistica delle segnalazioni corrette e portarla dalle attuali medio-basse percentuali a livelli se non perfetti almeno più che accettabili provocherebbe un notevole cambiamento in altri settori, non ultimo quello che riguarda la qualità della partecipazione dello spettatore all’evento agonistico.
Il saggio breve di seguito presentato (stampato nel gennaio del 2005) va proprio in questa direzione: cercare un sistema di segnalazione che dalla orribile, vergognosa corruzione della mente pilotata riconduca l’assist, l’ultimo passaggio, al puro gesto tecnico e intelligente. Che poi l’attaccante raccoglie l’invito e gonfia la rete. [FC]
UNA MODESTA PROPOSTA PER MIGLIORARE LA SEGNALAZIONE DEL FALLO DI FUORIGIOCO NEL GIOCO DEL CALCIO
1. Spiegazione del titolo
Diciamo subito che la presente proposta non intende in alcun modo modificare alcuna regola che riguarda l’esistenza stessa del fuorigioco; qui non si parla di abolire il fuorigioco, limitarlo ad una particolare area del campo, indebolire la sua portata e la sua importanza. Il fuorigioco rimane in questo scritto sempre e comunque un fallo per come oggi è inteso, una regola importante del gioco del calcio che va conservata per ragioni sia tecniche (un giocatore non può giocare al di là del penultimo giocatore avversario) che, a mio parere, morali: trovo infatti interessante il fatto che vi siano delle posizioni all’interno del rettangolo di gioco che mettano il giocatore nella situazione di trovarsi fuori dal gioco corretto, una sorta di parallelismo con il vivere nella società civile, in cui si usa ritenere giusto che certi comportamenti fuori dalle regole della pacifica convivenza siano sanzionati. Quindi la regola non va assolutamente cambiata; questa proposta tratta di un solo aspetto, cioè quello delle modalità con cui il fallo del fuorigioco viene segnalato e punito.
2. Altre spiegazioni
A volte a colui che scrive di un’idea conviene escluderne a priori alcuni campi di applicazione per favorire la lettura; è un ragionevole procedimento che fa risparmiare tempo sia all’estensore del testo che al lettore. Bisogna dire che la regola che propongo è così semplice e banale che a dirla tutta non ci si mette che due righe di pagina; da interpretare con cautela però, poiché per la sua secca enunciazione è in grado di generare differenti interpretazioni. Ecco quindi la convenienza di dire subito cosa non è questa proposta, così che il lettore possa poi leggere quelle due righe con la necessaria chiarezza.
Partiamo dunque col dire che la presente proposta non intende introdurre nel gioco del calcio figure arbitrali nuove: un terzo arbitro, nuovi poteri ai collaboratori di linea, presenza di soggetti esterni come per esempio osservatori umani o meccanici. Né intende tracciare linee sul campo o istruire differentemente i calciatori, men che meno dettare regole comportamentali (cosa che può trovare posto nell’etica individuale, non certo nell’obbligo). In questa proposta le figure arbitrali rimangono quelle che sono ora: una principale libera di muoversi all’interno del campo e due secondarie che si muovono all’esterno della linea laterale, ognuna in parti opposte e per una sola metà del campo.
3. Differenziare le competenze
Questa modesta proposta non intende quindi cambiare alcunché di essenziale del complesso mondo del fuorigioco nel calcio; intende semplicemente cambiare il modo in cui esso viene segnalato e punito. Ecco il punto: bisogna per prima cosa differenziare più di quanto si faccia adesso due dei momenti chiave del lungo (ma brevissimo in termini di tempo) svolgimento dell’azione interessata al fuorigioco. I due momenti da differenziare sono appunto a) la segnalazione e b) il sanzionamento. Una cosa in questa proposta è quindi la segnalazione della posizione di fuorigioco, altro é il comminare la punizione; una cosa è rilevare una posizione scorretta, altra è invece fermare il gioco e dare palla ferma alla squadra con i giocatori in posizione regolare. Questa è la regola:
Il fallo di fuori gioco è sanzionato dall’arbitro vista la segnalazione del collaboratore di linea.
Da ciò si evincono molte cose. Prima di tutto che secondo questa proposta il collaboratore di linea non può sanzionare il fallo di fuorigioco. Egli è deputato solo a segnalare la posizione di fuorigioco – qualsiasi posizione di fuorigioco. Ecco quindi limitate le sue competenze alla sola osservazione della posizione dei giocatori in fuorigioco, e non al sanzionamento. Perché limitarle? è questo il nocciolo della questione: bisogna farlo perché è umanamente impossibile per un essere umano svolgere funzioni che richiedono obiettivamente qualità fisiche super-umane. Il collaboratore di linea deve oggi infatti tenere conto:
1) della posizione del giocatore più avanzato della squadra che attacca (a volte più di uno);
2) dell’atleta che in quel momento porta la palla;
3) del momento in cui la palla si stacca dal piede del giocatore che la lancia;
4) del momento in cui il calciatore più avanzato supera il penultimo atleta avversario.
E’ certamente molto difficile per un essere umano svolgere queste quattro funzioni nello stesso momento. è infatti solo questo eccessivo accorpamento di competenze che porta i collaboratori di linea a sbagliare. Queste competenze devono essere necessariamente divise; si devono dare ai collaboratori dell’arbitro compiti più limitati ma non per questo meno importanti o professionalmente disonorevoli. Anzi, per molti versi la funzione di arbitro di linea ne risulta arricchita, poiché diventa l’unico uomo in campo deputato per facilità di posizione e per unicità della funzione a rilevare la posizione di un calciatore che si trova fuori dal gioco corretto.
4. Segnalare non significa sanzionare
Continuiamo a parlare del collaboratore di linea. Egli avrà quindi solo il compito di segnalare la posizione di un giocatore fuori dal gioco corretto. Il ragionamento prevede che quando il collaboratore vedrà un giocatore in tale posizione, egli avrà il solo compito di alzare la bandierina per segnalare all’arbitro la situazione fallosa. Non dovrà quindi avere due sguardi molto spesso impossibili da ottenere, cioè uno sul giocatore in sospetto fuorigioco e un altro sul compagno portatore di palla. Il collaboratore di linea dovrà curare un solo sguardo, attento e preciso, sulla posizione dei calciatori in attacco e alzare la bandierina nel caso di rilevamento di posizione irregolare; in questa modesta proposta sarà poi l’arbitro che, in presenza di un lancio, fermerà il gioco se nota che la bandierina è alzata. Si potrà quindi ben verificare il caso di un collaboratore di linea che alzi la bandierina per segnalare una posizione irregolare e che l’arbitro non fischi perché il possessore di palla non lancia il pallone in avanti. In presenza di un lancio, invece, l’arbitro è assolutamente obbligato a fischiare.
Questa situazione ha già alcune conseguenze di prevedibile importanza. La prima è che il collaboratore di linea che segnala una posizione irregolare è molto facilmente notato anche dai calciatori della squadra che sta organizzando l’azione di attacco; come anche dal particolare giocatore (o giocatori) in posizione irregolare. Da un punto di vista regolamentare e psicologico questo momento ha una certa rilevanza, poiché, per esempio, il giocatore che si trova in fuorigioco, vedendo la bandierina alzata, potrebbe correggere la sua posizione; altra conseguenza è che il giocatore che intende di lanciare la palla in avanti verso un compagno è molto probabile che non lo faccia se si rende conto che il compagno non è in posizione regolare. Naturalmente anche i giocatori che si difendono vedono la segnalazione – questa notizia potrebbe in qualche modo modificare anche i loro movimenti. E queste sono certo le prime conseguenze. Ma c’è un altro risvolto, a mio parere moralmente più importante.
La segnalazione del collaboratore di linea viene in questo modo ad assumere un valore di prevenzione al fallo, una situazione che non è certo sconosciuta nel gioco del calcio ma che in questa modesta proposta riceve un ulteriore impulso. In effetti già oggi l’arbitro, in vari momenti della partita, svolge un serio ruolo di facilitatore di comportamenti corretti: ammonendo verbalmente, convocando i capitani e consigliando determinati comportamenti, oppure con un semplice sorriso o con un atteggiamento rigoroso comunica ai calciatori le proprie sensazioni riuscendo persino con la sola forza del carattere a tenere calma e regolare una partita che tende verso il nervosismo o il gioco scorretto. La presente funzione del collaboratore di linea tende a espandere questo tipo di comportamento: segnala cioè la posizione irregolare sia ad uso del collega arbitro sia ad uso dei calciatori, che possono così modificare il loro gioco in presenza di una bandierina che segnala una posizione non più corretta. Il collaboratore, così, non è costretto a diventare in certe occasioni, suo malgrado, un eroe negativo, colui che per una segnalazione sbagliata può falsare il risultato di una partita, spesso di un intero campionato; egli diventa un segnalatore di posizioni irregolari senza il potere di fermare il gioco, se non per motivi diversi da quelli del fuorigioco. Per capire meglio altri aspetti della questione conviene ora parlare del fuorigioco passivo.
5. Il fuorigioco passivo, un concetto poco utile
La questione del fuorigioco passivo è molto delicata e in effetti mal si concilia con questa modesta proposta. Vediamo per quale ragione. Storicamente la regola del fuorigioco passivo è stata introdotta per cercare di correggere dei supposti difetti del fuorigioco originario, ma le conseguenze sono state da una parte quella di introdurre un concetto ambiguo, dall’altra di limitare la piena funzionalità di questo antico istituto. Le interpretazioni sulla passività o meno della posizione di un giocatore non avranno mai fine — la questione a mio parere è irrisolvibile. La posizione passiva è infatti interpretabile all’infinito. Cosa vuol dire avere una posizione passiva? Qualche difensore dovrà pure marcare quel calciatore in posizione ininfluente, o almeno adeguare la propria posizione per cercare, eventualmente, di neutralizzare un possibile attacco, modificando così importanti scelte riguardo alle zone del campo da difendere. Così: passiva per chi? Non certo per la difesa, che ne deve in ogni caso prendere atto. A mio parere, dunque, qualunque posizione al di là del penultimo giocatore avversario è sempre una posizione non corretta, appunto perché come minimo costringe un difensore a tenere un determinato comportamento solo perché vi è un avversario in posizione addirittura potenzialmente irregolare. Nessun attaccante dovrà trovarsi oltre il penultimo difensore avversario nel corso di una azione offensiva. Il collaboratore di linea segnalerà tutte le posizioni di fuorigioco e l’arbitro fischierà appena dopo il passaggio o il lancio anche nel caso in cui un attaccante in posizione defilata (passiva) si trova in posizione scorretta. Del resto, come farebbe l’arbitro a riconoscere quale attaccante, fra due o tre, è in posizione irregolare. Come farebbe a sapere se l’attaccante che ha ricevuto la palla era proprio quello segnalato dal collaboratore e non l’altro magari a pochi metri di distanza sulla stessa linea?
Ciò rafforza in me la sensazione che ebbi quando venni a conoscenza di questa ambigua regola. Questa soluzione della diversa e a volte personale interpretazione del fuorigioco non mi ha mai convinto; poiché la soluzione non stava certo nella modifica della natura originaria della regola ma nella sua corretta segnalazione. Chi invece con il fuorigioco passivo ha creduto di aumentare sia le occasioni da rete che le reti stesse, ha di fatto affrontato burocraticamente un problema esclusivamente tecnico-strategico; la questione si doveva risolvere in campo, fra allenatori o fra atleti.
6. Un paragone con un gioco simile: il rugby
Nasce spontaneo un paragone con un altro sport provvisto di una simile regola: il rugby, dove si vieta al giocatore di partecipare all’azione quando si trova al di là della palla; tutti i giocatori della squadra in possesso di palla e che sta attaccando devono trovarsi dietro la linea della palla ovale. Questa è una regola fondante del rugby, poiché in questo sport la palla si può passare al compagno solo verso indietro; la palla, cioè, deve sempre stare davanti a tutti e chi la vuole portare verso la meta lo può fare solo sfondando la difesa avversaria con il proprio corpo e con la palla tra le mani. In questo modo l’ovale stesso traccia continuamente durante il gioco una linea immaginaria che, in modo sempre nuovo, disegna una specie di confine tra le due squadre. Nel calcio invece la linea sempre nuova la traccia la posizione del penultimo giocatore che difende.
Nel rugby le segnalazioni di posizioni di fuorigioco sono molto rare e virtualmente sempre ininfluenti sul risultato, forse anche perché quando un arbitro nota un atleta in posizione irregolare semplicemente lo invita a tornare dietro la palla ovale — proprio come indurrebbe a fare un collaboratore di linea in questa modesta proposta.
7. Il caso del fuorigioco millimetrico
Prendiamo ora in esame un particolare tipo di fuorigioco, il cosiddetto fuorigioco millimetrico. Con questo termine si usa indicare una posizione che è irregolare per pochi centimetri. Come si sa, se il calciatore attaccante si trova sulla stessa linea del difensore non è in fuorigioco e l’azione è regolare – è quindi questione di centimetri trovarsi mezzo piede prima o dopo la linea del difensore. Tenuto conto che durante una veloce azione di gioco la posizione dell’attaccante più avanzato non è mai verticale come un atleta al tiro dell’arco, ecco che le spalle si possono trovare anche su una linea diversa da quella dei piedi, fatto che può facilmente ingannare un collaboratore di linea. Dunque, ci sono dei casi in cui è molto difficile determinare la posizione regolare o irregolare, anche perché alcuni attaccanti cercano spesso di partire da posizioni limite per avvantaggiarsi, nello scatto, di quel poco in più che può significare una rete e forse la partita. Vediamo ora, secondo per secondo, cosa succede in questi casi; a dire la verità il tempo in cui accadono le cose è inferiore al secondo, conviene quindi a noi parlare di decimi di secondo, non certo misurabili in uno piccolo saggio. A volte, però, raccontando per iscritto, si riesce a rallentare l’azione molto più di quanto possa fare una lentissima moviola.
Prendiamo l’esempio di un calciatore che lancia il pallone in avanti verso il compagno in posizione dubbia: regolare o irregolare? Immaginiamo che il passaggio in avanti non è un lancio lungo, ma di un paio di decine di metri, un’azione piuttosto veloce, una specie di passaggio filtrante su cui l’attaccante si avventa e si trova poi solo davanti al portiere. è partito in fuorigioco o no? Spesso sono proprio queste le azioni che rivelano la situazione di disagio dei collaboratori di linea: da casa, aiutati dalle immagini registrate e rallentate, vediamo il lancio partire, il pallone volare in aria, calare a terra tra i piedi dell’attaccante già oltre la linea dei difensori, infine… solo in quel momento vediamo il collaboratore di linea alzare la bandierina e sanzionare il fuorigioco. Ognuno pensa: ma non è quello il momento di alzare la bandierina! In effetti, essa doveva essere alzata prima, perché il luogo esatto nel tempo in cui deve essere valutata la posizione di un attaccante è il momento in cui la palla si stacca dal piede del compagno che ha lanciato. Spesso la telecamera che manda le immagini si trova ad inquadrare con gran maestria sia l’intera azione di poche decine di metri sia il collaboratore di linea sullo sfondo, rivelando impietosamente il pacchiano errore che può costare una partita, la finale di un’importante competizione. Che cosa accadrebbe dunque con questa modesta proposta? Facciamo una proiezione.
Osserviamo le cose dal punto di vista dell’arbitro. Il lancio parte, l’arbitro sposta gli occhi sul collaboratore e può trovarlo in alcune particolari posizioni. Vediamo quali, e quali conseguenze hanno sulla possibilità di fermare il gioco.
1) L’arbitro vede il guardalinee con la bandierina abbassata. Non è certamente fuorigioco, poiché l’arbitro ha rivolto lo sguardo al collaboratore un attimo dopo la partenza del lancio, momento in cui la bandierina doveva stare certo ancora bassa. L’azione è regolare e l’arbitro non fischia.
2) Il caso opposto è quando l’arbitro trova il collaboratore di linea con la bandierina ben alzata e ferma, dritta. Presumendo che il tempo dell’alzata della bandierina è superiore a quello dello spostamento dello sguardo, si ricava che il giocatore doveva essere in fuorigioco già al momento del lancio o addirittura prima. L’azione non è regolare e l’arbitro sanziona il fallo.
Adesso i due casi intermedi, che sono i più difficili.
3) L’arbitro vede il guardalinee che ha cominciato ad alzare la bandierina, la quale non ha raggiunto neanche la metà del suo percorso. è un caso difficile, ma se il collaboratore ha cominciato ad alzarla quando l’arbitro gli ha rivolto lo sguardo, quasi sicuramente quando il lancio è partito l’attaccante non era in fuorigioco, anche perché l’azione dell’alzare la bandierina inizia qualche decimo di secondo dopo che gli occhi del collaboratore hanno visto la posizione irregolare. L’arbitro quindi non fischia e l’azione continua poiché il giocatore doveva essere in posizione regolare, forse in linea con il difensore.
4) Il caso più difficile è naturalmente quando l’arbitro vede il lancio partire, rivolge lo sguardo al collaboratore di linea e lo trova con la bandierina che si sta spostando velocemente verso l’alto e ha già superato metà del suo percorso. Considerando infatti che il collaboratore ha visto la posizione irregolare e ha cominciato ad alzare lo strumento del suo lavoro, si può parlare di decimi di secondo. è forse lo stesso tempo che ha impiegato l’arbitro a spostare lo sguardo verso il collega. Questo significa che il collaboratore ha visto che l’attaccante era in fuorigioco e ha cominciato l’azione della segnalazione — l’attaccante quindi era in fuorigioco pochi decimi prima, e forse lo era già quando il lancio è partito. O forse era in linea e ha compiuto un grande gesto atletico. O forse era in fuorigioco quando il lancio è partito e il collaboratore di linea ha cominciato l’azione della segnalazione ma essa non è giunta a termine nello stesso momento in cui l’attaccante l’ha determinata. è un caso limite: interrompere l’azione o lasciarla continuare?
Io direi che l’arbitro sanziona il fuorigioco solo quando la bandierina è completamente alzata e ritta. Oppure quando si trova nella fase finale del suo percorso, come accade nella pallacanestro, dove la regola è che il difensore può fermare la palla che si dirige verso il canestro solo quando essa è in fase ascendente; quando la palla ha cominciato a scendere, il difensore non può più toccarla. C’è un punto critico in ogni sport, in ogni fase della vita. In questi casi la cosa più saggia sarebbe lasciare quei pochi decimi di secondo della quarta possibilità alla discrezione dell’arbitro, così da rispettare la sua onestà.
Conclusione
Ringrazio il paziente lettore che mi ha seguito fin qui, specialmente gli appassionati di calcio. Il mio interesse per questo sport è una specie di divertimento, lo so: quando si parla seriamente di calcio mi sembra di essere fuori luogo — in fuorigioco, appunto. Ma, come disse Boniek quando sbagliò un rigore all’Olimpico in occasione di uno storico Roma-Liverpool: “Solo chi non tira non sbaglia.” E, prima di tirare, il calciatore o lo scrittore non sa mai che accoglienza avrà il suo tentativo. E questa è come la quarta possibilità dell’arbitro, quella irrisolvibile. Proprio.
Felice Campora è nato nel 1957. E’ insegnante di lingua e letteratura inglese al liceo scientifico di Amantea (CS). Insieme allo sfuggente Gianluca Rivolta (nella foto), ha pubblicato diversi libretti.
I due hanno a disposizione una caterva di eteronimi (“Gianni Blissiano”, “Marco Vittorio Castello”, “Felix Ardiente” etc.), nomi che utilizzano per combattere un’interessante microguerriglia avente come epicentro il territorio cosentino.
Campora è anche autore di una Guida di Amantea giunta alla terza edizione.
Un saggio di Gianluca Rivolta su pseudonimi, eteronimi e nomi d’arte è stato pubblicato nel 2005 sul sito “I Miserabili” di Giuseppe Carlo Genna.
Per ricevere a casa i libretti di cui sopra, contattate la Libreria “Il Caffè” di Amantea. Al telefono 098241029 o alla mail ilcaffeamantea@tiscali.it