Speciale Export Ciudad Juarez: HELL CITY
di Danilo Arona
Concedetemi d’indirizzare l’attenzione che dedico di solito alla piccola, italiana Bassavilla verso un’altra “città infernale”, la messicana Ciudad Juárez, mastodontica e malata, teatro di una delle più incredibili mattanze degli ultimi anni della quale ancora troppo poco si parla e si scrive, nonostante diverse prese di posizione, siti e articoli sparsi e un libro fresco di stampa. Cedo allora la parola a Gianni Proiettis che, in quest’articolo pubblicato quasi due anni fa sul “Manifesto”, sintetizza con cruda efficacia la tragica situazione delle donne di Juárez.
Nonostante l’intervento possa apparire datato, la situazione laggiù è immutata, se non peggiorata, ammesso che possa esistere un limite a questo pozzo senza fondo di orrori: per averne conferma, basta collegarsi coi numerosi siti messicani che trattano il tema delle muertas de Juárez.
Donne perse nel cortile di Satana di Gianni Proiettis
Perché nessuno riesce (o vuole) fermare il massacro di donne e ragazze che va avanti impunito da dieci anni nella città delle maquiladoras, al confine tra Messico e Stati uniti?
Se fosse una novella noir, qualunque editore l’avrebbe respinta come troppo ripetitiva e truculenta. Purtroppo a Ciudad Juarez, Chihuahua, frontiera con El Paso, Texas, le sparizioni misteriose di giovani donne sono una realtà quotidiana che dura da più di dieci anni. E i numeri non smettono di ingigantirsi. Dal 1993 a oggi, circa 400 cadaveri di donne — in maggioranza giovani o addirittura adolescenti, di corporatura minuta e capelli lisci, studentesse o operaie di fabbrica nel turno di notte — sono stati ritrovati in discariche e zone desertiche. Molte erano state violentate, torturate e mutilate. Uccise per accoltellamento o strangolate. Questa inquietante patologia sociale, per cui la stampa messicana ha creato il neologismo “feminicidio”, è la punta dell’iceberg di una vera e propria guerra di sterminio e terrore: a Ciudad Juarez, negli ultimi undici anni — e sono cifre ufficiali — 4.587 donne sono state denunciate come desaparecidas, sparite nel nulla. Più di una al giorno. In meno di un caso su dieci sono state ritrovate, ormai coperte dalla polvere del deserto, vittime sacrificali del sadismo machista.
Malgrado le continue denunce presentate in questi anni da organizzazioni femministe e di diritti umani a tutte le istanze possibili, non solo non si è fermata la strage né presentato finora un solo colpevole credibile all’opinione pubblica, ma si è addirittura assistito a una sconcertante latitanza delle autorità, sia federali che statali. Indagini mal condotte, confessioni estorte con tortura, prove distrutte o sottovalutate hanno fatto da contrappunto all’indifferenza ufficiale, ai tentativi governativi di minimizzare un bubbone ormai troppo visibile.
Pur appartenendo a due partiti differenti, l’ex-governatore dello stato di Chihuahua Francisco Barrio, del Pan, e l’attuale Patricio Martinez, del Pri, hanno coinciso in un vergognoso contrattacco. Il primo, per rintuzzare le critiche alla sua incapacità di risolvere il feminicidio, insinuò che «le donne assassinate non andavano precisamente a messa», il secondo continua a distinguersi per attaccare le organizzazioni umanitarie internazionali, responsabili secondo lui di ingigantire il caso e di rispondere a torbidi interessi. Grazie alla pressione dell’opinione pubblica nazionale e mondiale, il presidente Fox ha dovuto ammettere la competenza del governo centrale nel caso e ha designato, lo scorso gennaio, una fiscal especial para la atención de delitos relacionados con los homicidios de mujeres en Ciudad Juarez, che a dispetto del titolo altisonante non ha ancora risolto un solo caso.
Con la grande manifestazione del 14 febbraio 2004 sulla frontiera, cui hanno partecipato Jane Fonda, Sally Field e altre personalità statunitensi, la richiesta di fare luce sugli omicidi di Ciudad Juarez è arrivata sui teleschermi di mezzo mondo. Il giorno dopo però, vari familiari di uccise e desaparecidas hanno rivelato che dei poliziotti li avevano minacciati, «sconsigliandoli» di partecipare alla manifestazione.
Le famiglie delle vittime, riunite in numerose associazioni, hanno cominciato ad avanzare il sospetto che la polizia municipale sia implicata nella strage.
Città di frontiera, macchia umana di un milione e mezzo di abitanti, polo di maquiladoras in mezzo al deserto, confine blindato fra il terzo e il primo mondo, Ciudad Juarez guarda verso El Paso, sull’altra sponda del fiume. Dall’otro lado un operaio guadagna anche dieci volte di più. Da questo lato, una ragazza sparisce ogni notte, divorata da un invisibile Moloch. Si potrebbe essere tentati di definire Ciudad Juarez «terra di nessuno», se non fosse solidamente in mano alle multinazionali, ai narcotrafficanti, alle gang locali, alla polizia e, naturalmente, ai politici corrotti. «Alla frontiera fra Messico e Stati uniti», ha scritto Elena Poniatowska, «poche ferite cicatrizzano; al contrario, la maggioranza si infetta e corrompe l’organismo. Lì, in zone di contagio, bollono alla più alta temperatura il potere politico, il narcotraffico, la violenza, l’avidità. Si tratta di una frangia in cancrena».
Sulla terribile realtà di Ciudad Juarez e sul suo triste primato esistono dossier in internet (come in http://www.cimacnoticias.com). Sono apparsi libri scioccanti – Huesos en el desierto di Sergio Gonzalez Rodriguez, Juarez, the laboratory of our future di Charles Bowden, Las muertas de Juarez di Rohry Benitez e altre tre giornaliste — e documentari di denuncia, come il famoso Señorita extraviada di Lourdes Portillo, girato nel 2000 ma arrivato solo di recente al circuito internazionale.
Tutte le analisi concordano nell’indicare le maquiladoras come i primi anelli della catena di violenze contro la donna. Il mezzo milione di operai che assembla elettrodomestici e televisori con marche straniere è costituito in maggioranza da donne, preferibilmente giovani, sottopagate e non sindacalizzate, a cui si impone un test periodico di gravidanza.
Qualcuno ha fatto notare che, se le maquiladoras in questi anni si fossero fatte carico di riaccompagnare le operaie a casa dopo il lavoro, gli omicidi sarebbero quanto meno dimezzati. Ma le maquiladoras non collaborano neanche con le indagini e normalmente non forniscono dati sulle loro operaie.
Per i familiari delle vittime e delle giovani desaparecidas, la seconda tappa del calvario è quella delle indagini. L’associazione Nuestras hijas de regreso a casa, una delle tante che assistono le famiglie delle giovani, ha denunciato il clima di impunità che regna a Ciudad Juarez, «la concezione machista che permette di generalizzare la violenza contro la donna», le anomalie e le negligenze nelle indagini e nelle analisi. Per non parlare della costante denigrazione delle vittime, che si tenta di far passare per donne leggere. Come se questo giustificasse gli omicidi! In un documento di accademiche e ricercatrici del Colegio de México si affacciano alcune ipotesi sui moventi del feminicidio. «Si parla di una catena internazionale che realizza video pornografici di violenze e omicidi per rivenderli all’estero, si menziona anche la possibilità di serial killings motivati dal sadismo e dall’odio razziale. Un’altra ipotesi consiste nel traffico di organi. I moventi possono essere molti, le ipotesi anche, ma di soluzione non se ne vede nessuna».
L’arresto di un egiziano, Omar Latif, un paio d’anni fa, non mise fine alla catena di omicidi. La polizia disse allora che era lo stesso Latif che pagava dal carcere dei complici perché continuassero a uccidere. Poi furono arrestati alcuni membri di una gang giovanile — i Toltecas — e alcuni autisti di autobus, violentatori abituali. Ma le loro confessioni di omicidi — è Amnesty International a denunciarlo — sono state estorte sotto tortura.
Senza i veri responsabili dietro le sbarre — e soprattutto con le donne che continuano a sparire — il caso di Ciudad Juarez sta diventando un grave problema per il governo Fox, già alle prese con non poche difficoltà. Agitato in vari parlamenti europei — in quello italiano ci ha pensato Ramón Mantovani del Prc — lo scandalo del feminicidio sta diventando di interesse mondiale. Lo scrittore Carlos Monsivais ha proposto di cambiare il termine. «Feminicidio è un termine descrittivo, invece cominciare a classificarli come `crimini di odio’ ci obbliga a fare una riflessione seria sul machismo nel suo obbrobrio fisico e sulle indagini dei crimini».
Ma il colpo più forte al governo Fox sul caso di Ciudad Juarez è venuto da un angolo inaspettato. E’ stato José Luis Soberanes, presidente della Comisión Nacional de Derechos Humanos, ombudsman di nomina presidenziale, a sferrarlo. Nell’Informe especial che ha presentato nel novembre scorso, Soberanes ha indicato le precise responsabilità del governo in quella che ha definito «una giustizia negata» e ha scritto: «Lo Stato sta mancando a una delle sue facoltà e responsabilità fondamentali, oltre a produrre danno, dolore e incertezza perenni ai familiari delle vittime. E viene colpita anche la società, distruggendo il sentimento di protezione che gli individui cercano in uno Stato democratico».
Se può servire per misurare l’interesse istituzionale al problema, quando l’ombudsman ha presentato il suo Informe di fronte al senato, erano presenti solo quattro senatori su 128. E il presidente Fox ha declassato il protocollo del suo incontro con Soberanes da pubblico a privato.
Questo non ha impedito all’ombudsman di avvertire, dopo l’incontro con Fox, che l’ondata di omicidi si sta estendendo ad altri stati, come Guanajuato, Oaxaca, Sinaloa, Sonora. In quest’ultimo, negli ultimi tre anni, sono stati registrati 22 omicidi contro donne perpetrati con un modus operandi molto simile a quello di Ciudad Juarez. «Attenzione, speriamo che non diventi un’epidemia!», ha esclamato.
Intanto, in Chihuahua, si vendono dei portachiavi con ciondoli di gomma rosa che imitano un capezzolo di donna. I mariti litigiosi minacciano le mogli con un nuovo modo di dire: «Se mi fai incazzare, ti tiro nel deserto!». Negli ultimi sei mesi, sono stati ritrovati altri nove cadaveri di donne. Pochi giorni fa, quattro ragazze all’uscita di una discoteca sono state caricate a forza su una camionetta da vari uomini. Non se ne è saputo più niente. A Ciudad Juarez, dove fioriscono i bordelli per gringos e si scoprono periodicamente nuove narcofosas, i cimiteri clandestini dei narcotrafficanti, la polizia si limita a guardare. E gli assassini camminano liberi, protetti da impunità e corruzione.