di Mario Benedetti
[L’autore di questo intervento ha pubblicato, nella collana Lo Specchio di Mondadori, il libro Umana gloria. Questo intervento viene pubblicato in contemporanea anche sul sito Il Primo Amore, a questo link]
Sto ascoltando Mendelssohn, concerto No.1, op. 25, al pianoforte András Schiff. Nel 1979 all’Università di Padova ho assistito a una conferenza-intervista di Vittorio Sereni il quale era, per me inaspettatamente, ancora irritato dall’uso del termine Ermetismo che secondo lui accomunava in modo impertinente esperienze molto diverse: la voce singola sembrava difendere, la persona con il suo percorso biografico, le vere amicizie, gli interlocutori veri per esempio nel suo caso Franco Fortini, e le occasioni di scrittura. Cosa c’entra tutto ciò. Conversare con Andrea Zanzotto significa seguirlo tra i propri umori, malumori e accensioni improvvise: gli alberi nel Settecento avevano una forma diversa, la percezione del paesaggio e degli uomini al suo interno era differente, per noi che viviamo ora. Pensieri, riflessioni, scarti rispetto all’oggi, abissi dell’uomo, ecc. E accanto la sua poesia, i libri sul grande tavolo o nella mia mente.
Tutto ciò è detto non per rifiutarsi all’ascolto del discorso teorico e critico sulla poesia, e pensare a una sua irriducibilità, ma per riconoscere anzitutto una distanza di ambiti, e certamente non inseguire l’ufficialità di poetiche o estetiche, stabilite dall’esterno, che risultano essere imposizioni fuorvianti. La Storia si dà sempre a posteriori, e poi bisogna vedere come, ecc.
Ma oggi che si è abbassato di molto il livello critico, in generale, forse il percorso individuale è ancora più ineluttabile. Ed esiste il pericolo, dovuto all’assenza di ‘controllo’ autorevole, condiviso, da parte dell’ambiente letterario sul singolo operare, di scrivere chiacchiere personali informi, discorsi per nulla rinvigoriti e resi legittimi dal rapporto, che sembra non avere testimonianza, con la lunga tradizione di testi poetici e teorici. Tanto tutto è permesso, e tutto è in qualche misura indifferente. Per inciso, anche il poeta ex-lege si misurava in qualche modo con le istituzioni letterarie e culturali.
Ognuno quindi si dà la forza che ha, e può solamente credere in se stesso, ovviamente con enormi dubbi, maggiori rispetto al passato; prende da dove capita: qualche amico che funge da interlocutore, ovunque egli abiti nel mondo; letterature le più diverse, ecc. Ma deve augurarsi che il suo percorso si situi in qualche modo entro una tradizione, o le tradizioni, magari operando uno scarto.
Si prende da dove capita o si ha la fortuna di capitare, quindi anche dai Convegni. Come quello svoltosi all’Università di Pisa: dalla relazione di Guido Mazzoni, che ha sintetizzato in parte il suo libro Sulla poesia moderna, secondo me senz’altro da condividere, alla Tavola Rotonda moderata da Carla Benedetti, in particolare quel suo personale auspicio affinché nascano umili antologie da parte di gruppi accomunati da una condivisione almeno di ricerca. Ma intendiamoci, gruppi anche dislocati nel mondo, ma mossi da estrema serietà. Serietà, competenza, sensibilità sono le parole che mancano, e che io comunque non riesco ad utilizzare nei confronti di chi si occupa in questo nostro tempo di poesia, in generale, e lo ripeto, in generale. Ma io chi sono? E dunque che dire, meglio o ancora?
Ho davanti a me una fotografia del lago Windermere, quello dei Lake Poets del romantico William Wordsworth. Davanti e nella mente. Una comunità di poeti, benché non pacifica. Un desiderio, un’occasione di scrittura, una voglia di approfondire, un po’ di buonumore ingenuo? Chi lo sa. La poesia, quella lirica certamente, si nutre di un sentire solitario, clandestino, delle piccole e delle grandi cose che la vita offre, ma può raggiungere, anche oggi credo, nel suo particolare ambito espressivo, l’orizzonte vasto dell’umanità, che da sempre le spetta.