di Loredana Lipperini
[Va in libreria per i tipi del Saggiatore Mozart in rock, edizione aggiornata di un folgorante saggio di Loredana Lipperini, la quale è attualmente in libreria anche sotto il marchio Castelvecchi, con Don Giovanni. Il potere della seduzione, la musica, il mito. Pubblichiamo la prefazione rinnovata del libro di Lipperini, ringraziando l’autrice per il permesso]
Homer: Mozart! He makes Bach turn back, Haydn go into hidin’, and well, those are the only ones there have been so far.
8 febbraio 2004, episodio 1511 della serie The Simpsons. Titolo: Margical History Tour. Pretesto: una ricerca scolastica dei gialli rampolli e l’insufficienza di testi nella biblioteca di Springfield che costringe la madre Marge a fornire aneddoti su alcune figure storiche, da Re Enrico VIII per finire, appunto, al Divin Fanciullo. Per esemplificare, Bart diviene Mozart. Anzi, diviene Amadeus, così come lo raccontò Milos Forman nel film. Il cast vede la sorella saccente, Lisa, nell’inevitabile ruolo di Salieri e i genitori Homer e Marge in quelli di Leopold e Anna Maria. Memorabilia: la frase che Homer-Leopold dice a Lisa- Salieri: “Oh, piccolo Salieri, perché non vai a giocare con gli altri tre membri della famiglia privi di talento, Tito Randy e Jermaine (nomi di tre dei Jackson Five)?”. E Bart-Amadeus che cita Jimi Hendrix suonando il pianoforte con i denti.
8 dicembre 1991, numero speciale di Topolino per il bicentenario dalla morte di Mozart. Si festeggia il compleanno del professor Zapotec, mozartofilo accanito, mangiando cioccolatini e disputando con un altro ospite sulla supremazia dei Beatles sulla musica classica. Nell’altra stanza, i nipotini di Topolino ascoltano Born in the USA sul nuovissimo (per l’epoca) lettore compact. Si decide dunque di regalare al professor Zapotec un viaggio con la macchina del tempo per fargli incontrare il suo idolo: detto fatto, si torna al 16 luglio 1782, giorno della prima rappresentazione de Il ratto dal serraglio. Al Burgtheater, il pubblico sta ascoltando la grande aria di Konstanze, Martern aller Arten. Poco prima, però, i viaggiatori hanno potuto incontrare Mozart in persona, ovviamente senza riconoscere il genio nel ragazzetto spettinato (ma somigliante) con grembiule da cuoco, in quanto impegnato a preparare in prima persona i cioccolatini che al suo nome saranno legati. Stretta amicizia con i visitatori, che recuperano la trafugata ricetta dei dolci, Mozart mette tutti in sospetto quando si intabarra in un mantello e fugge nottetempo dalla finestra. Destinazione, una casupola sperduta che si chiama Fattoria la Pietra (non casualmente, se si pensa alla traduzione inglese del nome). Qui lo attendono altri musicisti. “Sono ansioso di suonare con voi! Ho scritto un brano che è una bomba!”, esordisce Mozart. Dalle finestre, poco dopo, si ode l’inconfondibile ritmica di un brano rock. Sbirciando, se ne comprende la provenienza: insieme a quelli che sono gli antenati di batteristi, chitarristi e bassisti, il maestro si accanisce al pianoforte con la camicia arrotolata e la chioma ancor più scomposta. Alla fine, si rivolgerà così ai suoi compagni di avventura: “Questa musica è fantastica, ma è troppo futuristica per il pubblico d’oggi. Se il pubblico ci sentisse suonare così ci prenderebbe per fusi! Per questo suoniamo di notte in questo posto isolato! Ma io non posso più andare avanti così…Ho troppi impegni. Sinfonie, opere liriche…Io ho posto le basi di questa nuova musica! Ve la lascio in eredità! Al principio sarà suonata nelle cantine…ma verrà il giorno, foss’anche fra duecento anni, in cui questa musica esploderà, accomunando milioni di giovani di tutte le razze! “. Vignetta con concertone rock’n’roll (Go Johnny Go, Go!). Saluti. Sipario.
Ancora una data. 6 dicembre 2005. Si annuncia l’opera inaugurale del Teatro alla Scala, Idomeneo di Mozart, direttore il giovane Daniel Harding. Su La Repubblica, Paola Zonca intervista alcuni orchestrali: «Siamo contenti, ci siamo davvero divertiti» dice la prima viola, Danilo Rossi. «Harding è umanamente piacevole. Ma ciò che più importa è che il suo Mozart è molto moderno: prende spunto dal rock, è ritmico e allo stesso tempo espressivo. Utilizza spunti filologici, ma li attualizza».
Fermiamoci qui e torniamo al titolo di questo libro, la cui prima edizione uscì nel 1990: dunque, a pochi mesi dal bicentenario dalla morte e nel pieno di un dibattito sull’ascolto musicale e in assoluto sulla fruizione della cultura che si era sviluppato tra i meandri del cosiddetto pensiero debole. Il termine rock, allora, veniva utilizzato in modo simbolico: titoli più altisonanti come Mozart e la fine della metafisica o, a scelta, Il postmoderno in Mozart avrebbero comunque avuto una ragion d’essere. Perché l’idea di partenza era quella di riassumere il peso non irrilevante che una filosofia della mutevolezza e un’estetica del frammento avevano allora nell’approccio alla musica in generale e al Cigno di Salisburgo e Signore del pentagramma in particolare.
All’epoca, a ben ricordare, ci si trovava a difendere con fervore la cosiddetta Muzak, la musicaccia, la musica di sottofondo, musica da ascoltare distrattamente, in onta agli adorniani: in quegli anni, per la prima volta, quella modalità di ascolto era diventata una condizione estesa alle pagine più sublimi del repertorio classico, grazie ad una moltiplicazione e personalizzazione di supporti che oggi ha toccato il suo certamente superabile culmine. Non solo: in modo assolutamente inedito rispetto al passato, quel repertorio usufruiva dello stesso trattamento, nella scala elevata e in quella più bassa dei valori, riservato fino a quel momento al cosiddetto pop. Gadget inclusi. Su tutti, quello non casualmente citato in quel numero di Topolino: i Mozartkugeln, le immortali praline salisburghesi cui spetta l’alloro del simbolismo consumistico mozartiano da tempi non sospetti, assai prima che il film di Forman rendesse lecito parlare di Mozart-mania.
Insomma: Mozart in rock si riferisce, al Mozart conosciuto, amato e, sì, consumato nell’era del rock. Nulla di apparentemente diverso da quanto è sempre avvenuto con la musica di un compositore che, con la dubbia eccezione dei suoi ultimissimi anni, è stato conosciuto, amato e consumato praticamente in ogni epoca.
E’ però la diffusione che questo amore collettivo e senza riserve ha conosciuto negli ultimi vent’anni a far riflettere. Perché a tutt’oggi non ci si limita ad utilizzare Mozart per allietare l’ingresso nel mondo a chi nasce, facilitarne il distacco a chi muore e rendere più intelligente chi ci cresce (anche se forse questo resta l’aspetto più inquietante della sua utilizzazione, dal momento che i “metodi” che usano Mozart come terapia sono decuplicati in pochi anni come i Tribbles di Star Trek, anche grazie a Internet).
Già dieci anni fa, molto prima che il Rondò “alla turca” trillasse nelle suonerie di milioni di telefonini, non ci si limitava ad idealizzare e vagheggiare il Genio nei luoghi della cultura come avveniva dagli anni del Romanticismo (da prima, a dire il vero: già pochi anni dopo la sua morte impazzava in Germania la moda delle cuffiette alla Papagena per le ragazze e dei flauti alla Papageno per i ragazzini). O meglio: poesie, romanzi e racconti continuavano ad omaggiare e a fraintendere Mozart. La sua musica era, ovviamente, reinterpretata e analizzata e soprattutto usata per le più svariate e solenni occasioni celebrative, dai funerali di Herbert von Karajan ai festeggiamenti (tramite Flauto magico) per la caduta del muro di Berlino. La sua vita veniva passata al setaccio sul piccolo e grande schermo. Fin qui, nulla di diverso rispetto ad altri personaggi della storia e dell’arte. Ma quello che riguardava e riguarda Mozart è un culto popolare che si avvicina più a Padre Pio che a qualsiasi altra icona culturale. Era un gadget supremo quello che ci veniva proposto nell’imminenza del bicentenario del 1991: un celestiale marché aux puces imbandito di Mozart-orologio (con quale tempismo è stata immessa sul mercato una tiratura limitata di Swatch con silhouette mozartiana), accessoriato con Mozart-coiffure (la moda del codino alla Amadeus, lanciata da più di uno stilista della chioma), nobilitato da Mozart-griffe (idem per quanto riguarda il dilagare di panciotti e jabots), confortato da Mozart-yogurt (cosa di più adatto, per la pubblicità di un alimento bianco e leggero, della fresca giovinezza dell’eterno fanciullo prodigio?).
E tutto questo continua a quindici anni di distanza. Certo, l’abbuffata da vecchio bicentenario ha fatto abbassare qualche luce e fortunatamente dimenticare qualche eccesso d’orrore (il reggiseno con altoparlantino incorporato, pronto a diffondere mozartiane melodie e far gioiosamente lampeggiare lampadine al primo sganciamento-con effetto, si suppone, devastante). Certo, in preparazione del 2006 si introduce qualche piccola variante: i Mozartkugeln diventano generosamente interattivi, e si allestiscono laboratori salisburghesi affinché i piccoli mozartofili imparino a farseli da soli. Certo, Mozart è finito di striscio in romanzoni iper-popolari come Angeli e Demoni di Dan Brown (per via della setta degli Illuminati, naturalmente). Nei fatti, però, l’identificazione con la rockstar sembra persino essere divenuta pacifica: e più di un fan recente non disdegna di attribuirgli l’epitaffio che si diede Kurt Cobain prima di uccidersi, “It’s better to burn out than to fade away”,
Curiosamente, peraltro, il Mozart-rock rappresenta un’impensabile sintesi fra le due immagini mozartiane su cui per secoli si sono divisi gli appassionati orecchianti e orecchiuti: il fanciullo baciato dal divino talento e il ribelle in odor di maledizione che muore in povertà e soprattutto in piena giovinezza. L’apollineo e il dionisiaco, per rifarsi alla valutazione critica della produzione musicale. A rappresentare efficacemente le due anime, e a divulgarle in ogni angolo del pianeta, è stato un film: quell’Amadeus di Milos Forman che davvero si è posto come punto di svolta nell’approccio moderno a Mozart, e che riuscì a comporre l’antica questione raccontando un ribelle rimasto bambino per l’eternità. Gli furono favorevoli gli anni, certo: fu negli anni Ottanta che si cominciò ad accarezzare il piccolo mito di Peter Pan, e a contrapporre la presunta purezza dell’infanzia alla rappresentazione dell’artista tormentosamente consapevole della propria natura divina. E’ solo un caso che nei ribelli, e appunto autoconsapevoli anni del primo rock Chuck Berry cantasse Roll over Beethoven e che, più tardi, esplodesse tra gli adolescenti quella sinistra ma efficace iniziazione alla musica beethoveniana e colta in assoluto dovuta ad Arancia meccanica? Esiste un nesso con il Rock me Amadeus cantato da Falco (He was the first punk ever/To set foot on this earth/ …. His mind was on/Rock and roll/And having fun/Because he lived so fast/He had to die so young/”) e lo straordinario successo delle compilation mozartiane con la colonna sonora del film di Forman?
C’è chi sostiene che tutto questo sia secondario. Già quindici anni fa si disse che l’importante era la musica di Mozart, non la sua vita e tanto meno la sua immagine. Giusto. Ma non valeva, non vale tuttora la pena di concentrarsi su quest’ultima e comprenderne il consumo, nel momento in cui l’intera estetica musicale conosce un mutamento che ancora oggi ha trovato più disdegno che attenzione? E’ più giustificato scandalizzarsi ancora per il duettino del Don Giovanni inserito nella pubblicità dei cotechini (stavolta il binomio Mozart-leggerezza appare un tantino fuori luogo) o analizzare le modalità di fruizione che i destinatari dello spot applicano a quella musica (e forse anche ai cotechini)? E’ condivisibile la preoccupazione che esprimeva in un articolo su la Repubblica Carmelo Samonà mentre volgeva al termine l’anno del bicentenario del Don Giovanni, quando temeva non il “brusio” degli spot, delle piéces teatrali, delle reinterpretazioni freudiane, quanto le “mezze verità” del “filone alto”, la scarsa motivazione, la poca fantasia dei contatti quotidiani ma indifferenti con la sua musica? Invocava, Samonà, un benefico silenzio, “anni di concentrazione severa sulla difficoltà, sulla densità, sulla trama sottile della parola di Mozart” e, persino, il divieto di diffusione di “storielle, e figurine, sul personaggio”.
Ma se fossero proprio quelle storielle, quelle figurine, quei cioccolatini a costituire, anche, un approccio inevitabile, dei tempi, alla musica oltre che all’uomo? Se, insomma, immagine e prodotto artistico conoscessero ormai una connessione difficilmente spezzabile? E ancora: ha senso continuare, o ritornare, a concepire l’opera d’arte come necessariamente, categoricamente aliena da ogni sospetto di consumo, dalla sola idea di poter venire etichettata come “prodotto”? A desiderarla fortemente, infine, come una fiamma gelida, destinata ad esser fruita da pochi e a non venir lordata dai denti delle masse che la rimasticherebbero e la risputerebbero senza assaporarla?
In questa direzione sembrano muoversi, anche, gli anti-Amadeus: nel 2006, per dire, si propone uno spettacolo di Luca Scarlini, www.Moz@rt.com. Tesi: “ mai come oggi si afferma in una moltiplicazione di ritmi l’idea di Mozart come un compositore-rockstar”. E dunque? E dunque, “sul tetto di un grattacielo di Shanghai, dove sta per tenere l’ennesimo concerto, un musicista che è anche una icona rifiuta di venire trasformato in oggetto di consumo, mentre intorno a lui esplodono le immagini velocissime del canale tematico AmadeusTV, destinato a celebrarlo ventiquattro ore al giorno”. Sia. Ma ricacciare Mozart nella sala da concerto come unico luogo possibile, estirparlo dalla pubblicità, dalle polifonie metropolitane, rimettergli la parrucca, significa davvero rendergli giustizia? E, per dirla tutta, non sarà che a quella sia pur ebbra libertà di attraversamento e di disordine consentita alla fine degli anni Novanta dal postmoderno, stia sostituendosi una ventata neocon dell’estetica, un malinteso ritorno ad un malinteso rigore della cultura tutta?
Lisa: Mom, that sounds like the movie “Amadeus”, which is historically inaccurate.
Il culto mozartiano degli anni Ottanta e Novanta non si discostava nemmeno nei suoi aspetti collaterali dalla devozione che i consumatori di musica popular tributavano ad una rockstar. C’era, qua e là, scandalo. Come sempre, del resto: chi dà oggi per assodati, digeriti e superati saggi come Apocalittici e integrati di Umberto Eco, forse non ricorda come, nel 1964, ci furono critici assai turbati dal fatto che Rita Pavone e Superman andassero a braccetto con Kant, e soprattutto che alla base delle teorie di Eco ci fosse il presupposto che tutte le cose fossero “egualmente degne di considerazione”: che Platone ed Elvis Presley, insomma, appartenessero allo stesso modo “alla storia”. Il postmoderno andò oltre: Elvis Presley e Mozart erano sullo stesso piano storicamente e culturalmente, nel senso che erano fruiti allo stesso modo, con il medesimo amore e le medesime degenerazioni.
Profanazione? Sì, se si vuole assolutamente rappresentare la musica, e la cultura in assoluto, come una gerarchia immobile e semplificata al cui gradino più alto siede, appunto, Mozart, e al più basso si accoccola Madonna. Perché le cose non stanno esattamente così: e nessuno, mai, ha inteso semplicemente salutare con gioia il Mozart delle masse né, viceversa, rimpiangere quello auratico perduto nelle miniere salisburghesi di wagneriana memoria. Semplicemente, le categorie di Adorno non sono più applicabili ad un modo di porsi di fronte alla musica che nel Mozart-cult ha visto e vede l’espressione più potente. Una contrapposizione (non una differenziazione) fra ascolto distratto e ascolto avvertito, common listener versus ascoltatore competente, non può avere senso alcuno dopo che i nuovi e nuovissimi media hanno tranciato definitivamente le antiche separazioni. E non solo perché si ascolta “anche” Beethoven (o Mozart, naturalmente) ieri con il walkman e oggi con l’Ipod, con il Pc, con il cellulare: non solo, cioè, perché oggi il luogo e il modo in cui ascoltare vengono scelti fra una gamma infinita di possibilità e supporti. Ma perché quell’estensione e frammentazione dello spazio acustico, quello “strapotere del suono” che dilaga fino ad occupare ogni aspetto della vita, oggi arriva fino ad insidiare il concetto di “mass” media. I “personal” media sono andati ben oltre di quanto teorizzava, settant’anni fa, Walter Benjamin quando parlava di “perdita dell’aura”.
Che sia, appunto, invadenza totalizzante della Muzak, impietosamente proposta da radio, compact, walkman, filodiffusione, citatissimi supermercati e anticamere di dentisti, suonerie di ogni sorta, library digitali, webradio, che sia lo sconcertante (e per alcuni avvilente) allineamento in un’unica e continua colonna sonora macinante ogni genere e stile musicale; che sia, come lamentava Gillo Dorfles, “perdita dell’intervallo”, immersione nell’”inquinamento immaginifico”, smarrimento di ogni pausa e di ogni zona neutra che differenzi l’opera d’arte; che sia il paventatissimo “pensiero corto” che toglie le vocali negli sms. Che sia tutto questo e ancor di più, sta di fatto che quello odierno è un ascolto onnicomprensivo, senza distinzioni fra ciò che è “culturale” e ciò che non lo è: proprio perché la nozione di cultura, oggi si identifica con quella di vita, si estende ad ogni avvenimento quotidiano e ad ogni singola esistenza. Dunque, il “Mozart da dentista” (ma il discorso vale anche per Eminem, ammesso che i dentisti lo considerino del pari rilassante) ha lo stesso valore del Mozart del Festspielhaus? La risposta resta, ancora oggi, sì: e non soltanto per la motivazione (reale anche se all’apparenza demagogica) che, almeno, il Mozart frammentario, post-post-moderno, pubblicitario e degenerato consente di essere avvicinato (e consumato, e amato) anche da chi per censo, condizione, caso, fortuna o famiglia non è in possesso delle chiavi ufficiali, o come tali riconosciute, per comprenderne fino in fondo le sfumature.
Ma perché, appunto, è impossibile tornare indietro. Ci sono state ricerche relativamente recenti, in quel di Princeton, che hanno dimostrato come oggi abbia poco senso riferirsi alla musica classica come si faceva cinquant’anni fa: ovvero, come veicolo con cui la vecchia middle class risolveva i propri problemi di identità e di status. Si ragiona, semmai, per network. Si ragiona, direbbe Zygmunt Bauman, come flaneur: costruendo un immaginario attraverso frammenti di opere, storie, vite altrui. Con tutte le incertezze, e le paure, del caso.
Paura, infatti. Se il postmoderno può aver peccato per eccesso di fiducia, oggi si tende ad addossargli tutte le colpe del mondo. Una, in particolare: quella di aver reso tutto-uguale-a-tutto, giallisti d’accatto come Kafka, videoclip come Kurosawa, Mozart, appunto, come il rock. Al postmoderno si ascrivono la morte della critica letteraria, la fine del romanzo, la decadenza e caduta del giornalismo, la consegna della metafisica ad orde nemiche, la disfatta di un’idea forte di letteratura. Dimenticando che quando si parlava di fine delle grandi narrazioni ci si riferiva alla fine di una interpretazione univoca e totalizzante del reale; che si parlava di perdita di centro più che di perdita di senso, della possibilità di più visioni in luogo di una visione forte e unica. Eppure, gli stessi intellettuali che dieci anni fa avrebbero esplorato con interesse il doppio binario con cui si muovono gli adolescenti scrivendo “cmq” in un sms e “comunque” in un racconto, oggi parlano di ansia da velocità, di un triturare osceno dove anche ciò che non era destinato al consumo rapido diviene mordi e fuggi come un cioccolatino, magari salisburghese. E, tra un battito sul petto e l’altro, relativismo è già diventato una bestemmia.
Ma, per tornare a Mozart, cosa è stato proposto, cosa sappiamo di più su di lui, quali sono state le rivelazioni, quali le “mezze verità” del “filone alto” che dovrebbero contrapporsi alle suonerie col Rondò? Cronaca nera: ovvero una nuova appassionante serie di soluzioni al famigerato enigma sulla sua morte. Con un rapido calcolo, dovremmo aver toccato le centocinquanta-duecento teorie sulla prematura scomparsa di Wolfgang: dal 1991 ad oggi, all’invidia di Salieri e alla solita febbre miliare, si sono aggiunte una costoletta di maiale avariata, una condanna per debiti, una botta in testa, una nuova congiura massonica. E sicuramente si dimentica qualcosa.
Lisa: Oh lord, why did you give such transcendent talent to such an undeserving fool?
Bart: Because you are uuug-leeey.
Tutto nel tentativo di capire. Anche se la critica ha ceduto più volte le armi di fronte all’enigma Mozart. E’ il caso di Wolfgang Hildesheimer, autore di una delle biografie più appassionate e meno canoniche sull’artista salisburghese, e che definisce già nelle prime pagine “fallimentare” ogni tentativo di “rendere accessibile la straordinaria grandezza dell’opera di un uomo, di giungere alla comprensione della sua peculiarità e unicità, di sondarne il mistero”. Sulla difficile definizione della produzione mozartiana, sull’inesplicabile quid che la contraddistingue, che la rende immediatamente conoscibile anche al profano, sul suo restare in bilico fra due epoche, innovando senza nulla (apparentemente) modificare, ponendosi come vertice inarrivabile pur muovendosi in una struttura formale adottata dall’esterno, nessuno ha detto finora una parola definitiva.
Così come sul Mozart del culto, che si evolve con gli anni e con i media: e dalle silhouettes rococò è trasmigrato prima alla pubblicità, e oggi alle phonecard, alle caricature. Ai cartoni e ai fumetti. Non tanto quelli già pronti per il bicentenario, come il buonissimo Little Amadeus, dove il nostro viene dotato di amichetto del cuore, sorellina comprensiva e genitori pazienti. Quanto il Mozart reinterpretato, come Faust e come altre icone culturali, nei manga: magari al femminile, come in Madamoiselle Mozart di Yoji Fukuyama. Ancora, c’è il Mozart dei videogame, come quello, tratto da Il flauto magico, dove bisogna raggiungere il castello della Regina della Notte per riportare al mondo la luce del sole. Viceversa, andrebbe almeno segnalato che almeno parte del mondo classico si sta rendendo conto che dall’ascolto distratto e di sottofondo, tipico dei gamer, si può anche passare all’ascolto canonico: non casualmente, la Los Angeles Philharmonic diretta da Miguel Harth-Bedoya ha eseguito in concerto le composizioni di Nobuo Uematsu per il videogioco Final Fantasy, e brani da altri games quali Halo, Metal Gear Solid, Warcraft, Tomb Rider, Sonic. Risultato: standing ovation a non finire, biglietti esauriti in settantadue ore, pubblico di giovanissimi entusiasti. Sicuramente riprovevole.
E poi c’è la Rete. E qui, dall’altra parte dello specchio, Mozart c’è, eccome. E non solo nei gruppi di discussione seriosissimi (come http://www.grandemozart.tk/) dove si lanciano anatemi contro Forman. Ma, e forse soprattutto, nella riappropriazione che di Mozart hanno fatto i flaneur di Internet. Dove Mozart, unico musicista classico, riceve il trattamento fin qui riservato soltanto a rockstar, personaggi di serie televisive, protagonisti di anime giapponesi. A lui si dedicano gallerie di fan-art, i ritratti eseguiti da ammiratori appassionati, che lo immaginano nell’atto di ricevere il vergognoso calcione del conte Arco, o mentre salta con la chitarra elettrica come Billie Joe dei Green Day. A lui si dedicano siti (come http://themozartcafe.homestead.com/gallery1.html) dove si possono scaricare icone e banner, eseguire test su “Quanto sei devoto a Mozart”, linkarsi ad altrettanti appassionati. In suo nome, certo, si aprono blog. Che cominciano così: “Come posso descrivere il mio amore per Mozart! La sua musica è bellezza assoluta. Ha sempre comunicato con te attraverso la musica. Quando sei infelice, lui piange. Quando sei in affanni, egli capisce. Quando sei felice, ride. Quando sei nervoso, ti rilassa. Tutto quel che devi fare è ascoltare la sua musica, e lui diventerà il tuo migliore compagno …”. Se non sapessimo che si parla di Mozart, potrebbe trattarsi di qualunque altra popstar.
Infine, Mozart, caso più unico che raro, è oggetto di fan fiction, ovvero di un fenomeno antico quasi quanto Internet: per meglio dire, passato dal mondo blasonato ma ristretto della scrittura creativa al mondo della rete, dove sono in crescita esponenziale i siti che ospitano storie alternative. O, se si preferisce, storie a tema. Fan fiction sta per racconti (o poesie, o monologhi) scritti dagli ammiratori di una saga, di un film, un romanzo, un cartone animato, un videogioco, una serie televisiva, persino di un singolo attore: il limite, davvero, non esiste. Ma abitualmente le fan fiction sono o riservate a personaggi mass-cult: Harry Potter e i medici di ER, Inuyasha e Il signore degli anelli, gli X Files e, appunto, gli idoli rock. E invece, si cerca nei siti dedicati e si trovano monologhi di Salieri in preda al rimorso, trame alternative de Il ratto dal Serraglio, crossover (così si chiamano le fiction che fanno incontrare personaggi di provenienze diverse) dove Mozart e Salieri partecipano alla stessa avventura insieme ad Aragorn, Goku di Dragonball, Aldo Giovanni e Giacomo, Harry Potter, Scully e Moulder.
Forse la massa ha divorato il Cigno. Ma forse la sua musica, più di altre, si rende “aperta” e disponibile per appropriazioni ed esplorazioni: basti pensare all’esperimento di Hugues Corson, che ha rielaborato, rispettosamente, i suoi brani fornendoli di sonorità orientali (in Mozart, l’égyptien). E una spiegazione potrebbe venire dal fatto che Mozart fu una figura assolutamente anomala nella storia della musica, a cavallo fra due interpretazioni opposte del ruolo dell’artista. Scrisse Anthony Burgess: “l’arte è un commercio che nobilita se stesso e il consumatore, dando più di quanto non sia pagata … Mozart compose per denaro, cosa che E. M. Forster non fu obbligato a fare: la scarsa produzione di quest’ultimo si addice a un ‘rentier’, mentre la capacità creativa di Mozart si confà sia a un artigiano serio sia al lavoratore costretto a guadagnarsi il pane” . E Piero Buscaroli: “Se ci pensi, ti accorgi che la storia della musica, in quanto divenire e destino, poteva fare a meno di lui. Non è una di quelle apparizioni che, a cose fatte, appaiono indispensabili. Bach, con la sua sintesi, crea la musica tedesca, Beethoven inaugura la sua supremazia nel regno dello spirito. Mozart, le sintesi, le trova già pronte nei grandi lavori d’ingegneria di Haydn. …La sintesi che operò di suo, il vortice, il vertiginoso rimescolamento di stili e maniere da cui trasse la nuova lingua dell’Opera, servì, infine, a lui solo. Non passò a Beethoven, che dovette inventarsi un nuovo linguaggio; non passò all’Ottocento, che battagliò per inventarne altri ancora. Mozart non fu una necessità nel destino dell’arte…Rimase una meteora, alla quale non siamo più preparati, noi, oggi, di quanto non fossero Gerber e contemporanei”.
Questo libro non serve a chiarire il mistero: né di una cotoletta avvelenata, né di una musica straordinaria. Serve solo a gettare uno sguardo sul Mozart vituperato, ma amatissimo, delle ugualmente vituperate e viceversa poco amate masse. E serve a chi si ostina a ritenere l’attraversamento dei saperi una forma di conoscenza non meno legittima (e spesso non meno elevata). A chi si ostina ad indagare incroci, crossover, mondi che appaiono tra i flutti, anche se destinati ad essere inghiottiti prima di poter diventare Atlantide. A chi pensa, ma sì, che Mozart stesso fu uno skywalker, che attraversò e rubò e per se medesimo, felicemente, restituì.
Bart: Eat my pantaloons!