di un delegato “senza delega”
Riceviamo e pubblichiamo, dal nostro “inviato”, questo documento sulla lotta dei lavoratori delle libreire Feltrinelli/Ricordi (g.d.m.)
qui il blog dei lavoratori delle librerie Feltrinelli/Ricordi
Aprile 2006
La nostra lotta per il contratto integrativo ha suscitato l’interesse dei mezzi di informazione, dei clienti nei negozi e delle persone che abbiamo avuto modo di incontrare e conoscere durante i nostri scioperi e volantinaggi. Al di là delle inevitabili strumentalizzazioni politiche di alcuni giornali la percezione che qualcosa sia cambiato sotto le insegne Feltrinelli è una percezione diffusa. Abbiamo voluto rompere un silenzio pesante e abbiamo fatto bene perché abbiamo ricevuto molte conferme, dai clienti, da chi con Feltrinelli ha lavorato in passato, anche a più alto livello. Noi oggi siamo la “faccia” e a quanto pare anche il “cuore” della Feltrinelli… ed al cuor non si comanda. Vogliamo rendere conto, dall’interno della riorganizzazione aziendale, di cosa sta cambiando e come, consapevoli che molte delle trasformazioni che oggi ci stanno travolgendo sono già avvenute nel settore della grande distribuzione, determinando un netto peggioramento della qualità del lavoro, dei diritti e dei salari. Inoltre volgiamo raccontarvi il senso di un percorso che i lavoratori feltrinelli hanno intrapreso più di un anno fa e che li ha portati in questi giorni organizzare il loro primo sciopero. Il nostro primo sciopero.
La riorganizzazione aziendale
La fortissima espansione commerciale del gruppo non è passata inosservata a nessuno; del resto basta fare un giro per le arterie delle maggiori metropoli italiane per rendersene conto. Un libro su quattro oggi è venduto da Feltrinelli. Di pari passo le vecchie librerie che hanno consolidato il gruppo nel mercato culturale e che hanno rappresentato un punto di riferimento per chi cercava una cultura libera ed indipendente si stanno trasformando. Dopo la fusione con Ricordi e l’acquisizione delle librerie Rizzoli, le piccole, assortite e, sotto il profilo culturale, importanti librerie stanno lasciando il posto a grandi Megastore, che di fatto rappresentano la nuova grande scommessa economica dell’azienda, come il nuovo formato di negozio che hanno ideato per i centri commerciali (feltrinelli village) e per le stazioni interregionali. Il dato è di vitale importanza perché non riguarda solo il volume d’affari dell’azienda (la 9° al mondo per la vendita di prodotti culturali) e la sua capacità di creare comunicazione, eventi e cultura, anche se ovviamente subalterna al marketing, alla crescita ed al profitto…
“Azienda culturale” si rivela oggi forse la definizione più propria del gruppo Feltrinelli: resta la contraddizione di termini, l’ossimoro tra un forma organizzativa che nasce dal mercato e fa mercato accettandone le regole e la cultura che dovrebbe essere per sua essenza indipendente e svincolata da logiche di mercato.
Nel giro di pochi anni la figura professionale del libraio, qualificato, competente e certamente più tutelato sia sotto il profilo economico, che della sostenibilità del lavoro (orari, turni, mansioni) è stata ridefinita con un’accurata opera di ingegneria sociale, riadattandola ad una nuova esigenza aziendale. I Megastore non hanno più bisogno di librai, da qui la necessità di cancellare con un colpo di spugna quello che molti colleghi erano e quello che i nuovi non saranno mai (rinnovo CIA del 2001). Ora c’è bisogno di lavoratori giovani (assunti in formazione-lavoro nel 2001 e in apprendistato da domani), intercambiabili, flessibili per quanto concerne l’orario, il luogo di lavoro, le mansioni, ed anche il salario. Oggi quello che conta, il know how imprescindibile, è riuscire a rifilare il più possibile nel minor tempo possibile al cliente, sorridendo, salutando, assecondando (e guai a salutare con il “Salve”, è poco elegante). Una delle mansioni prevalenti sta diventando quella di guidare il cliente attraverso una struttura fisica incentivante l’acquisto, costruita su uno studio scientifico della disposizione delle merci (lay out o display) che si fa maniacale e violento…come nei supermercati e nei centri commerciali a prescindere dal prodotto, che con una schiettezza che fa spavento viene riconosciuto come valore solo nella dimensione di uno scambio. Merci e valori di scambio sono diventati prioritari rispetto ai prodotti e alla loro importanza per quello che sono e per quello a cui servono.
Non è un caso che l’azienda precetti i suoi nuovi dirigenti da Esselunga, Decatlon, e Unieuro: grandi catene che il discorso che sta passando in Feltrinelli l’hanno già bello che fatto …a long time ago. Non è il fatto di chiamarsi Librerie Feltrinelli, piuttosto che “Effelunga”, che garantisce un profilo differente alla nostra azienda.
Tutto questo per dire che nel vortice della trasformazione, l’azienda ristruttura gli edifici, ridefinisce le procedure, spinge avanti alcuni dirigenti, ne fa fuori altrettanti e tenta di riprogrammare i suoi dipendenti. Dal momento che purtroppo i dipendenti dell’azienda non sono né robot, né cyborg questa riprogrammazione assume una definizione a giudizio dell’azienda meno umiliante: …custumer satisfaction (soddisfazione del cliente). La relazione dipendenti-clienti che determina l’acquisto è stata spogliata d’ogni residua umanità, per mesi spiata, sezionata e studiata al fine di piegarla entro regole e paletti che ne garantiscano la valorizzazione economica… quando si parla di “relazioni umane produttive”!!. Standardizzare frasi, espressioni e risposte perché parlando di libri non si divaghi e perché alle casse la fila non sciami.
L’esperienza di un percorso
A partire da Gennaio del 2005 inizia all’interno delle librerie Feltrinelli e dei Ricordi Mediatore di Milano un’interessante e proficua esperienza di confronto e scambio d’esperienze tra i lavoratori. Oggi siamo arrivati a condurre una lotta unitaria, profondamente sentita e che ha saputo incidere sul piano dei rapporti di forza con l’azienda. Non sappiamo ancora come andrà a finire ma già oggi possiamo dire che comunque vada… abbiamo vinto, almeno in parte. Non siamo più soli nei nostri negozi, frammentati sul territorio, assuefatti dalla spersonalizzazione che il lavoro ci impone. Oggi siamo uniti, in costante coordinamento e l’originalità e l’incisività del nostro percorso ci spingono all’ottimismo.
La scelta di autoorganizzarci in assemblee generali senza le strutture sindacali e di coordinarci territorialmente a prescindere dai diritti sindacali d’assemblea è stata una scelta consapevole per non rimanere ingabbiati in una prassi rivendicativa burocratizzata fino alla radice e organizzata secondo il principio della delega. Inoltre ci ha permesso di ricomporci, come soggetto, di rimetterci in contatto tra colleghi senza preclusioni o scelte di appartenenza sindacale e politica a priori. Assemblea generale tra lavoratori, tutti.
In principio ci siamo specchiati, gli uni negli altri dopo anni di distanza, una lontananza che ci rendeva immobili, diffidenti e passivi. Abbiamo riconosciuto nelle esperienze dei colleghi le nostre; le condizioni di lavoro in fondo sono le stesse e i loro strascichi nel privato simili. Abbiamo rotto il silenzio, abbiamo voluto parlarci per capire e capire per cambiare. Abbiamo tentato di far pesare la nostra rinata solidarietà agli scioperi generali, contro la guerra, il governo ecc. erano mobilitazioni limitate, estemporanee, organizzate dal passaparola da un negozio all’altro. I primi striscioni, i primi volantini… lentamente si chiariva dentro di noi la consapevolezza della forza che potevamo esprimere. Abbiamo anche voluto riprendere in mano le ragioni che anni fa ci spinsero a mandare il curriculum in Feltrinelli: in prima persona abbiamo organizzato la presentazione di tre libri, editi dalla Sensibili alle Foglie, sulla condizione del lavoro della grande distribuzione… abbiamo individuato così l’orizzonte verso cui i nostri dirigenti spingevano l’azienda e noi con essa ed è un orizzonte che non ci piace. La ristrutturazione aziendale che noi oggi stiamo vivendo è la stessa che è stata imposta ai colleghi della grande distribuzione anni fa.
Il contratto integrativo del 2001
Quattro anni fa l’azienda aveva fatto firmare ai sindacati e ad uno sparuto drappello di delegati (tutti CGIL) un contratto infame che garantendo ai lavoratori in forza sostanzialmente le condizioni in essere cancellava le stesse per tutti i nuovi assunti a partire dalla firma del nuovo integrativo. Dopo la firma del CIA, ma forse sarebbe più appropriato dire grazie alla firma del CIA, l’azienda intraprende un rapido processo di riorganizzazione delle procedure di lavoro ed una fortissima espansione commerciale. Vengono assunti molti nuovi colleghi, spesso giovani, contratto formazione lavoro, molti part-time. La discriminazione che il contratto appena firmato determina nei confronti dei nuovi assunti è evidente anche perché specie nelle grosse città i nuovi assunti sono ormai la maggior parte dei lavoratori.
Anche per questo l’assemblea generale decide che la scadenza del CIA è l’occasione che aspettavamo. Vogliamo avere gli stessi diritti e lo stesso trattamento che hanno “i vecchi”. Cominciamo a raccogliere le idee e le proposte per costruire una piattaforma rivendicativa dei lavoratori; anche grazie ad un questionario siamo riusciti a fare questo passaggio nel modo più democratico, trasparente e collettivo. Tutti hanno avuto la possibilità di contribuire e partecipare.
I rapporti col sindacato sono iniziati dopo e soltanto perché nell’ambito delle prime assemblee abbiamo valutato la scadenza del contratto integrativo come una buona occasione per fare sentire la nostra voce.
La nostra piattaforma rivendicativa per il nuovo contratto
Innanzitutto chiediamo che il contratto aziendale che ci apprestiamo a rinnovare venga esteso a tutti i colleghi di tutti i negozi del gruppo, infatti alcuni formati di negozio ad oggi ne sono esclusi e l’inquadramento a CCNL è decisamente penalizzante rispetto al salario ed ai diritti. Altri colleghi, i nuovi assunti, hanno invece modalità di accesso al contratto che prevedono delle forti gradualità che penalizzano i colleghi per i primi anni di lavoro (salario d’ingresso e d’impianto).
chiediamo una differente organizzazione della turnistica. Orari pianificati su tempi più lunghi e prevedibili nella loro dinamica. Distribuzione più equa dei turni di lavoro nelle fasce peggiori.
Armonizzazione verso l’alto dei differenti trattamenti per la retribuzione di domeniche e festivi e delle altre eterogeneità di trattamento.
chiediamo formazione professionale per svolgere il nostro lavoro, un mansionario che determini la qualità del lavoro e garantisca i lavoratori da spostamenti di reparto, trasferimenti ecc.
incrementi salariali, aumento del valore del ticket fermo da 10 anni, ridefinizione dei parametri di calcolo del premio di produzione affinché l’importo sia più omogeneo da negozio a negozio e soprattutto sia di più facile accesso.
N.B. rispetto agli incrementi salariali è necessario fare una breve ma fondamentale puntualizzazione: con gli accordi del luglio 93′ le parti sociali oltre ad aver inaugurato la magica concertazione, nel tentativo di mettere ordine nei livelli contrattuali hanno pensato bene di relegare solo al CCNL la facoltà di recepire incrementi salariali fissi. A livello d’azienda l’unico modo per ottenere incrementi è di legarli a dei parametri che li rendano variabili e sappiamo che quando un qualcosa è variabile non lo è mai verso l’alto!
I rapporti con le strutture sindacali
I rapporti con le strutture sindacali iniziano ora; abbiamo la piattaforma, la nostra piattaforma. In alcuni grandi negozi vengono elette le RSU per creare un minimo di coordinamento nazionale con gli altri delegati delle altre città e perché al di fuori della consolidata e tuttavia poco rassicurante dialettica sindacato-impresa, rigorosamente concertativa, sarebbe stato difficile e probabilmente prematuro per noi, appena partiti, far valere la nostra autorganizzazione fino in fondo, imponendoci come controparte dell’azienda. Ciò non toglie che sebbene siamo stati costretti ad usare lo strumento sindacale, non ci facciamo ingabbiare dai suoi meccanismi soffocanti ed autoritari. I delegati non hanno per scelta loro e dell’assemblea alcuna delega. Sono portavoci, portavoci delle assemblee dei lavoratori ed è solo alle assemblee che devono rispondere. Nei primi tempi gli scontri tra delegati e CGIL sono stati molto forti. Il sindacato non accetta ciò che sfugge al proprio controllo, hanno talmente interiorizzato nel loro modo politico di intervenire la delega e la burocratizzazione del conflitto che quando i lavoratori non vogliono delegare e sembrano disposti a mobilitarsi uscendo dai paletti delle agibilità sindacale… i funzionari si preoccupano, si agitano. La valutazione algebrica dei rapporti di forza in funzione del numero di tessere non legittima la determinazione dei delegati, questa era la probabile opinione dei funzionari nazionali. In effetti di tessere ne abbiamo pochine (e non è mai stato obbiettivo di nessuno farne di più!) sul piano dei rapporti di forza però siamo stati in grado di sprigionare una creatività fastidiosa per il marchio feltrinelli e di mobilitarci in maniera incisiva ed intelligente paralizzando a rotazione i negozi. Oggi ci lasciano lottare, si sono fatti da parte e aspettano che finiamo i colpi per poi risedersi ad un tavolo delle trattative imbandito di qualche briciola e chiudere la partita in fretta e furia. Ma noi la lotta la prendiamo terribilmente sul serio e fretta non ne abbiamo.
I rapporti con i delegati delle altre città
I rapporti con i delegati delle altre città in principio sono stati un po’ tesi. Quei delegati avevano firmato il contratto che noi oggi volevamo mettere in discussione, soprattutto sul principio della discriminazione tra vecchi e nuovi assunti. Rapporti tesi, qualche scontro, ma poi tra lavoratori prevale la solidarietà e la compattezza. Abbiamo azzerato il passato e ci siamo ripromessi che a questo giro le cose dovessero andare diversamente. Ad oggi, nelle fasi forse più calde della nostra lotta, possiamo dire che ci siamo riusciti, abbiamo usato ogni residuo spazio di democrazia all’interno del sindacato per non farci mettere i piedi in testa da funzionari e strutture. Siamo riusciti a rimanere compatti come coordinamento nazionale dei delegati, ed oggi, in questa lotta, siamo noi a dare la linea alle strutture. Forse non durerà a lungo, la capacità di recupero del sindacato è storicamente data. Ma oggi stiamo sfondando…e domani starà a noi riflettere sul senso di questa esperienza e trarne le dovute conclusioni.
La lotta
Avevamo dichiarato il primo stato di agitazione a dicembre proclamando uno sciopero generale di 8 ore a ridosso del natale, periodo molto sensibile per chi ascolta la sola voce dei fatturati; infatti l’azienda fece un passo indietro presentando una proposta che è stata giudicata come un plausibile terreno di trattativa. Sospeso lo stato di agitazione, revocato lo sciopero, il natale è trascorso con incrementi notevoli di fatturato ed una momentanea pace con l’azienda. A gennaio si riaprono le trattative, ma la proposta che aveva determinato la sospensione dello stato di agitazione non è più la stessa e i cambiamenti ovviamente non sono in meglio! Ciò nonostante la commissione trattante tenta di verificare i margini di trattativa dell’azienda nell’ambito della proposta ridimensionata. Non solo non ce ne sono, ma una missiva introduttiva di Carlo Feltrinelli fuga ogni dubbio. Le trattative durano ormai da un anno. Carlo Feltrinelli al tavolo non si è mai fatto vedere ne sentire ed oggi interviene per dire “queste sono le migliori condizioni che possiamo proporvi”!!
Le assemblee nei negozi di tutta Italia a questo punto si esprimono in maniera netta: basta, stato di agitazione! A Milano tutte le assemblee votano un ordine del giorno che respinge i toni ultimativi della lettera del presidente Carlo Feltrinelli e la proposta di rinnovo allegata.
Il 30 Marzo il coordinamento nazionale dichiara riaperto la stato di agitazione. Nei giorni precedenti si era tenuta a Milano l’assemblea generale che aveva discusso ed elaborato alcune proposte sui metodi di lotta: “il minor danno per noi, il maggior danno per l’azienda”.
Rispetto allo sciopero le ipotesi erano due:
sciopero nazionale di 8 ore in tutti i negozi lo stesso giorno. È inevitabile il preavviso all’azienda che ha più tempo per attrezzarsi. Si perdono più ore di lavoro e quindi più soldi. Il numero di scioperi fatti in questo modo deve per forza di cose essere limitato e si rischia di bruciarsi tutta la nostra potenzialità di lotta in un paio di volte.
sciopero “a scacchiera”. Ogni città individua il momento più propizio (in concomitanza con un evento, il sabato pomeriggio, durante le pause pranzo) e si ferma a sorpresa per un paio d’ore: rapido, efficace ed indolore (per noi!). L’azienda rimane sulle spine aspettando la chiamata dai negozi e non farà mai in tempo a coprire i punti vendita. Dilazionando lo sciopero moltiplichiamo il danno (per loro!).
Il coordinamento nazionale dei delegati recepisce l’indicazione dello sciopero a scacchiera e la fa propria. Primi giorni d’Aprile: i lavoratori nelle città si organizzano e si preparano alla lotta. A Milano l’11 Aprile i lavoratori si riuniscono nell’assemblea sindacale di tutti i negozi in camera del lavoro. L’assemblea è sindacale per poterla fare di giorno e perché tutti possano partecipare. Si decide di partire con lo sciopero insieme alle prime città, si decide il giorno e la data: sabato 15 Aprile dalle 17 alle 19. In questi giorni il blog che aprimmo qualche mese fa si rivela essere uno strumento formidabile, tutti i lavoratori d’Italia e di Milano si possono scambiare informazioni, materiali come volantini, locandine; ci si coordina a livello nazionale, ci si commenta e ci spalleggia. I colleghi postano riflessioni, suggerimenti, articoli di giornali, contributi anonimi per colpire l’immagine dell’azienda ecc. Nei commenti si scatenano fitti dibattiti, i toni a volte accesi, a volte entusiasti e pronti, lucidi e dissacranti… insomma il blog diventa la voce dei lavoratori feltrinelli che si parlano, tra di loro, o con chi interviene tra clienti, lavoratori di situazioni simili ecc.
Nei negozi intanto tira un aria strana, a prima vista potrebbe sembrare la quiete prima della tempesta, ma per chi come noi naviga quotidianamente tra gli stessi scaffali non è difficile notare sentimenti contrastanti: ci sono gli entusiasti, i pessimisti, c’è chi dice che non servirà a niente e chi ha paura che le altre città poi non ci seguiranno. Sono giorni in cui si confabula, piccoli capannelli tra un cliente e l’altro. Nella Feltrinelli di Duomo e nel Ricordi Mediastore di Galleria si viene a sapere che l’azienda ha avuto la soffiata. “Sanno giorno ed ora!”. L’umore nei due negozi ne risente, ma per poco. Clandestinamente, nei capannelli tra gli scaffali, passa la voce… “sanno quando facciamo lo sciopero!” Tanto meglio perché allora noi giocheremo d’anticipo e anticiperemo lo sciopero alle 12. La notizia è tenuta segretissima. Lo sanno solo i colleghi che sabato saranno in turno e solo quelli di cui ci si può fidare. Tutti gli altri, l’azienda, l’ufficio del personale, i colleghi degli altri negozi, tutti gli altri lo sapranno solo sabato. Due notti prima dello sciopero compaiono di fronte a tutti i negozi di Milano dei manifesti che avvertendo la clientela dello sciopero (senza ovviamente rivelare l’orario!) spiegandone le ragioni e chiedendo come atto di solidarietà l’astensione dagli acquisti. Inoltre arriva nelle mail di direttori e capi vari una lettera che era stata approvata dall’assemblea dei lavoratori nella quale si specifica il senso della lotta e si invita i direttori a non ostacolarla perché non è una lotta contro di loro ma al massimo una lotta anche per loro (visto che hanno lo stesso contratto nostro). Obiettivo secondario era di inserirsi in una spaccatura che sembra esserci tra i quadri dell’azienda anche in merito al rinnovo contrattuale.
Arriva finalmente il nostro Sabato: dalle 10 alle 12 si staccano i lavoratori di piazza Duomo e Galleria, dalle 17 alle 19 il megastore di Buenos Aires, il megastore di piazza Piemonte anticipa di ½ ora ed alle 16.30 entra in sciopero. Ottima adesione. Le tensioni, le paure e le ansie dei giorni precedenti si dissolvono. Sorrisi soddisfatti quando si torna al lavoro. Abbiamo fatto il nostro primo sciopero. Avevamo paura di non riuscirci e invece ce l’abbiamo fatta e meglio delle più ottimistiche previsioni.
Scioperano compatte anche le città di Roma, Napoli, Piacenza, Cremona, Ancona. È una giornata memorabile. In molte città i negozi chiudono anticipatamente o a cavallo delle pause pranzo. Nella settimana successiva scioperano i colleghi di Genova e il sabato le librerie di Torino, Bari, Bologna, Firenze, Parma, Ravenna, Modena, Pescara. Il primo giro di scioperi è finito. Per due settimane abbiamo bloccato a scacchiera l’azienda nelle sue diramazioni territoriali. L’azienda non risponde, un fitto ed imbarazzato silenzio non rimedia alle dichiarazioni assurde che alcuni dirigenti rilasciano alla stampa. Noi abbiamo rotto il silenzio, loro ci sono precipitati dentro. Se la situazione non si sblocca ci tocca riaprire le danza e ricominciare il giro: Altro giro, altro sciopero!