CIBO PER LA MENTE, O MENTE COME CIBO?
di Igino Domanin
[da L’Unità il 10 aprile 2006]
Tra psichedelia e fantascienza, il terzo romanzo di Wu Ming 5, “Free Karma Food”. Arti marziali e funky, gag esilaranti e capigliature afro tra i “materiali” di una narrazione che fa ampio uso dell’ipertesto.
“La droga è la merce perfetta”, così recitava uno dei più singolari e potenti enunciati di William Burroughs. Il geniale scrittore americano aveva colto il lato oscuro dell’enigma della merce nella nostra epoca. Non si tratta più di vendere un bene a un qualsiasi consumatore, bensì di vendere il consumatore alla merce. Non si trattava di un paradosso letterario, al contrario Burroughs stava creando un protocollo scientifico.
Posso rendere una curiosa testimonianza personale: mi trovavo, per motivi professionali, nella sala Congressi di un albergo di una nota catena americana. Un celebre esperto di economia, molto apprezzato dal pubblico televisivo, stava spiegando il cambiamento rivoluzionario dei processi economici della nostra epoca. A un certo punto fu interrotto dal direttore marketing di una grande dotcom, il quale esordì citando Burroughs e collegando il tema dell’identificazione della “merce perfetta” con le nuove strategie di vendita basate sulla mobilità diffusa e sull’incollare i beni di consumo addosso alla presenza del cliente in modo quasi subconscio. Non si trattava di fantasia letteraria, ma di bruta scienza economica. O perlomeno: l’immaginazione aveva preso finalmente il potere, insediando la fantasmagoria nel nucleo essenziale del reale.
Il romanzo Free Karma Food di Wu Ming 5, pubblicato presso Rizzoli nella nuovissima collana 24/7, che, fin dalle citazioni in esergo, è esplicitamente inscritto nella scia dell’eredità intellettuale di Burroughs, è un esempio possibile di letteratura postfordista, nella misura in cui si compenetra senza residui nell’oggettivazione allucinata della merce contemporanea. Nello stesso tempo è un romanzo seminale e virale, come altri episodi narrativi recentissimi in Italia tipo Pincio, Evangelisti o Genna,che dimostra efficacemente come sia possibile un uso critico della mitopoiesi che non poggi su una presa di distanza avanguardistica e di mera negazione dell’esistente, bensì su un uso libidinale delle presenze fantastiche e virtualizzate che popolano senza tregua il mondo globalizzato. Nel postfordismo, infatti, l’immaginario è stato impiegato come forza lavoro, come dispositivo principale della valorizzazione della merce. Se lo strumento di lavoro non è più all’esterno della corporeità, bensì all’interno, allora la partita decisiva si gioca sull’appropriazione del cervello e delle sue attività mentali. L’immaginario è il luogo di questo scontro. La letteratura più viva e più realistica ne reca le tracce sensibili, così come accade nei decisivi lavori testuali del collettivo Wu Ming.
Free Karma Food ci presenta uno scenario futuribile, ma non del tutto irrealistico, nel quale la fisicità preistorica della carne si trasforma, in seguito a fenomeni epidemici, nel sogno psichedelico e impazzito della droga. Tutto questo viene scandito mediante una scrittura ritmica, quasi cadenzata e sciolta da posture sintattiche. Le frasi funzionano come jingle psichedelici, come movimenti caleidoscopici, sollecitazioni degli strati rettili della coscienza. Arti marziali e capigliature afro, neo-maoismo postmoderno e archeologia del funky, gag esilaranti e azione alla Sam Pekinpah, sono solo alcune spie di una vicenda raccontata mediante una grande profusione di emblemi popolari e una tecnica narrativa reticolare e multisequenziale. Una scrittura ipertestualizzata, ma paradossalmente fedele al flusso della narrazione. L’ipertestualizzazione, infatti, sembra prediligere il modello dell’archivio per contrapporlo alla linearità dell’articolazione delle storie.
Quest’opposizione, però, è soltanto apparente e ideologica poiché sembra separare il godimento del racconto dalla funzionalità della rappresentazione del testo. La struttura di Free Karma Food sembra, invece, restituire il piacere delle storie e del loro interminabile gioco a incastro. Gli episodi si succedono come nello snodo di misterioso gomitolo, nella cornice di una cronologia delirante di date e di segnali fosforescenti di un futuro prossimo e invasivo; ma si offrono, pure, come schegge d’immaginario esploso e frattale che il lettore dovrà attivamente ricomporre nel mosaico del grande racconto. Se in Viaggio allucinante Raquel Welch si miniaturizzava e circolava come un virus nell’esplorazione delle profondità del corpo, lo scrittore contemporaneo deve calarsi all’interno dei tracciati neuronali per appuntare la cartografia psichica del grande ammasso di merci immateriali che appare nell’orizzonte della società dello spettacolo. Wu Ming 5 ha riportato alla luce un pezzo di questa mappa.