Intervista a Claudia Cernigoi, a cura di Angelo Floramo, pubblicata sul settimanale “Il Nuovo Fvg” in occasione della presentazione triestina del saggio Operazione foibe. Tra storia e mito (Kappa Vu, Udine 2005). Marzo 2005.
La memoria lottizzata. In epoca di revisionismi, riletture, decontestualizzazioni, sembra proprio che il dibattito gridato diventi l’unica possibilità di intervento. Ma chi di storia si occupa lascia che siano i documenti a parlare, tacitando gli umori e gli isterismi di ogni colore. “Operazione Foibe”, con i suoi ricchi apparati documentari, si prefigge questo scopo. E’ una ricerca che ha impegnato la Cernegoi per oltre sette anni, sette anni di meticolose indagini seguite a una prima edizione, già di per sé estremamente ricca e stimolante.
Qual è stata la motivazione che l’ha spinta (ogni storico ne ha una!) e cosa ne è emerso?
Chi non vive a Trieste non può conoscere il clima che si respira in questa città che il poeta (triestino) Umberto Saba definì “la più fascista d’Italia”. Quindi devo spiegare che da noi le campagne stampa o campagne politiche sulla “questione foibe” sono più o meno cicliche. Tanto per fare un paio di esempi: una campagna si sviluppò a metà anni Settanta, per fare da contraltare all’istruttoria e poi al processo in corso per i crimini della Risiera di San Sabba. In altri periodi per contrastare le mobilitazioni per la legge di tutela degli Sloveni in Italia.
Otto anni fa, quando per la prima volta ho iniziato ad occuparmi seriamente di “foibe”, era il momento in cui era iniziata una nuova campagna, questa volta in parte come “risposta” di destra al processo Priebke ed in parte, a mio parere, perché dopo lo sfascio della Jugoslavia c’era chi aveva interesse in Italia a destabilizzare ulteriormente Slovenia e Croazia che non vivevano una situazione proprio tranquilla, a scopo neoirredentista. Il fatto nuovo, all’epoca, fu che da polemiche politiche si era passati ad un più alto livello di scontro, se mi si passa l’espressione: cioè era iniziata un’inchiesta giudiziaria per i cosiddetti “crimini delle foibe”, e questa inchiesta stava coinvolgendo ex partigiani che avevano ormai raggiunto una certa età, ed a questo punto decisi che era il caso di fissare dei paletti in merito ai presunti “crimini delle foibe”, dato che non mi sembrava giusto che quelli che all’epoca, non conoscendoli, mi venne da definire “poveri vecchietti” (e voglio subito dire che i “poveri vecchietti” che ho conosciuto in seguito a queste mie ricerche erano tutti anziani sì, logicamente, ma pieni di energie e di voglia di fare) dovessero venire messi sotto giudizio sulla base di inesistenti prove storiografiche, come i libri di Marco Pirina e di Luigi Papo.
Così presi in mano sia i libri di Pirina, sia gli studi sugli “scomparsi da Trieste per mano titina” (sia chiaro che certe terminologie non mi appartengono, ma le riporto perché questa, purtroppo, è la vulgata vigente), per cercare di capire l’entità reale del fenomeno “foibe”. In base a questo è nato il primo “Operazione foibe”, che aveva come scopo essenzialmente quello di spiegare che gli “infoibati” non erano migliaia, né molte centinaia, nonostante quello che si diceva da cinquant’anni. Per esempio, da Trieste nel periodo di amministrazione jugoslava (maggio 1945), scomparvero perché arrestati dalle autorità, o perché morti nei campi di internamento per militari, o ancora per vendette personali, circa 500 persone, e non le 1458 indicate da Pirina, che aveva inserito tra gli “infoibati” anche persone ancora viventi oppure partigiani uccisi dai nazifascismi.
“Tra storia e mito”. E’ il significativo sottotitolo del suo libro. A sessant’anni di distanza sembra ancora molto difficile separare le due cose, o perlomeno impedire che si influenzino a vicenda. E’ facile per chiunque voglia stravolgere i fatti vestire la storia con i panni del mito. Il recente dibattito stimolato dal discusso film in uscita per Rai Fiction: “Il cuore nel pozzo”, ne è la più evidente dimostrazione. E proprio questa incerta lettura intorbida la memoria e agevola ogni possibile strumentalizzazione politica. Accade ancora per Porzus, accade per le foibe e per molte altre tragedie del Novecento. Perché ? E’ forse colpa della controversa realtà di confine? O qui da noi la storia indugia, stenta a passare…e quindi diventa facile occasione di attualizzazione, veicolandola nei labirinti del dibattito politico?
Sulla questione delle foibe non è mai stata fatta veramente ricerca storica. Altrimenti, come prima cosa, non si parlerebbe di una “questione foibe”, perché le persone che veramente sono morte per essere state gettate nelle foibe istriane o carsiche sono pochissime, rispetto non solo alle migliaia di morti (sempre per parlare del territorio della cosiddetta “Venezia Giulia”, cioè le vecchie province di Trieste, Gorizia, l’Istria e Fiume) di quella enorme carneficina che fu la seconda guerra mondiale, ma degli stessi morti per mano partigiana. Voglio ricordare che la maggioranza di questi fatti si riferiscono a cose accadute in periodo di guerra: ad esempio i circa 400 “infoibati” che furono uccisi nell’Istria del dopo armistizio (settembre ’43), non possono che essere inseriti in un contesto di guerra. Però è da rilevare che mentre tutti (storici e mass media, oltre a politicanti e propagandisti) si sconvolgono all’idea di questi 400 morti, non battono ciglio di fronte alla notizia storicamente dimostrata che il ripristinato “ordine nazifascista” in Istria nell’ottobre ’43 causò migliaia di morti, deportati nei lager, paesi bruciati e rasi al suolo e violenze di ogni tipo. È come se ci fossero, secondo certa storiografia, istriani di serie A e istriani di serie B, cioè rispettivamente quelli di etnia italiana, la cui morte deve destare orrore e scandalo, mentre per gli altri, quelli di etnia croata o slovena, sembra essere stata una cosa “normale” che siano stati colpiti dalla repressione nazifascista.
Al contrario uno dei pregi della sua ricerca è proprio la “contestualizzazione dei fatti”, dalla quale è impensabile prescindere per tentare almeno di capire il fenomeno nella sua complessità. Come vanno contestualizzate le foibe? Qual è la chiave per comprenderne i significati storici, sociali..forse anche antropologici?
Ho già accennato al fatto che le foibe sono diventate appunto un “mito”, in quanto il fenomeno in realtà è un “non fenomeno” che è diventato tale a suon di propaganda. Che questa propaganda sia stata sviluppata esclusivamente su fatti concernenti il confine orientale (ricordiamo che in Francia, dopo la liberazione, ci furono delle vendette contro gli italiani, già occupatori, che erano stati fatti prigionieri, però nessuno in Italia ha mai detto niente su questi episodi) ha secondo me diversi significati. Il primo è che i vari governi italiani succedutisi negli anni (dalle guerre di indipendenza del Risorgimento, per intenderci) hanno sempre tentato l’espansione ad est, quindi il fatto di avere perso, dopo la fine della guerra, un bel pezzo di territorio orientale ha significato una grossa frustrazione per i nazionalisti. Inoltre ha pesato il fatto che qui i vincitori erano non un esercito considerato regolare e di una potenza come potevano essere Gran Bretagna o Stati Uniti, ma si trattava di un esercito popolare, partigiano, comunista, e composto da popoli “slavi”, considerati “inferiori” dal nazionalfascismo italiano. Quindi nella frustrazione per la perdita della guerra vanno qui inserite anche le componenti anticomuniste ed antislave.
Grave mi è sembrato però leggere l’Unità (non il Secolo d’Italia o Libero!) che (cito) parla di “odio degli slavi verso gli italiani”, generalizzando un concetto inesistente con connotazioni oserei dire razziste. Come si può attaccare la destra xenofoba quando se la prende con gli immigrati e poi esprimersi in questi termini?”
Quanto alla “contestualizzazione”, vorrei dire che è impossibile fare un’analisi unica di un fenomeno che non è un fenomeno. Parliamo degli scomparsi da Trieste? Un centinaio di essi sono stati condotti a Lubiana e probabilmente fucilati dopo essere stati processati come criminali di guerra; centocinquanta o duecento sono forse i morti nei campi di internamento per militari; una cinquantina le vittime recuperate da varie foibe e per le quali si ricostruì che erano state uccise in regolamenti di conti e vendette. Però diciotto di questi “infoibati” erano stati uccisi da un gruppo di criminali comuni che si erano infiltrati tra i partigiani. Come si può contestualizzare una simile varietà di cause di morte? Ecco perché secondo me non si può parlare di “fenomeno” foibe.
Quanto ad un’altra vulgata che va attualmente per la maggiore, cioè che si trattò di repressione politica contro chi poteva creare dei problemi all’instaurazione di un nuovo stato comunista, secondo il mio parere se fosse stato questo il motivo delle eliminazioni, non sarebbero state uccise così poche persone. Forse posso sembrare cinica mentre lo dico, voglio chiarire che la mia è solo un’analisi storico-politica, non intendo mancare di rispetto a nessuno. Ma teniamo presente che a Trieste gli squadristi della prima ora, quelli che avevano la qualifica di “sciarpa littoria” e veterani della marcia su Roma erano più di 400; 600 membri contava l’Ispettorato speciale di PS (una struttura antiguerriglia che lavorava come squadrone della morte in funzione repressiva antipartigiana), e non contiamo poi le Brigate Nere, la Polizia non politica, la Milizia territoriale, i funzionari del Fascio che rimasero al proprio posto. Se si fosse voluto fare un “repulisti” politico, gli uccisi sarebbero stati dieci volte tanto, ritengo.”
Su questa tragedia c’è stato un colpevole silenzio della sinistra che dev’essere “rimosso”. Sono le parole dell’onorevole Walter Veltroni, sindaco di Roma, pronunciate durante la sua recente visita alla foiba di Basovizza. Come le interpreta ? Tenendo anche conto del fatto che tale silenzio (che non ha riguardato la solo sinistra, in verità) ha anche permesso alle destre di classificare ideologicamente tutti i partigiani sloveni e croati (e non solo loro) come infoibatori, permettendo anche di rimuovere dalle coscienze degli italiani il clima politico e culturale che per vent’anni il regime fascista ha imposto a quelle terre, perpetrando violenze fisiche e psicologiche di estrema gravità!
Io sono dell’opinione che, ammesso e non concesso che di foibe non si sia mai parlato prima (cosa che non è vera, visto che di libri – non solo di propaganda disinformativa, ma anche seri come il primo studio di Roberto Spazzali, “Foibe un dibattito ancora aperto”, uscito nel 1992 – ne sono usciti molti), questo fatto non può giustificare in alcun modo che adesso se ne parli senza cognizione di causa, ma solo riprendendo le vecchie notizie della propaganda nazifascista, senza un minimo di senso critico. Quanto ai crimini commessi dall’Italia fascista, coloniale e imperialista, in Africa come nei Balcani, fino in Grecia ed Albania durante la guerra, su di essi sì è calato un pesante silenzio, una censura totale, al punto che il buon documentario di Michael Palumbo, “Fascist legacy” sui crimini di guerra italiani (e su come i criminali se la sono cavata senza problemi) è stato “infoibato” dalla RAI che non ha la minima intenzione di mandarlo in onda, dopo averlo acquisito. Però la RAI finanzia sceneggiati televisivi di disinformazione sulle foibe: questo dovrebbe essere un motivo di scandalo, non tanto che Gasparri promuova il filmato che lui stesso ha ispirato un paio di anni fa.
Restiamo in tema. Quando l’onorevole Veltroni ha deposto la rituale corona d’alloro anche ai piedi del monumento che ricorda la fucilazione di cinque sloveni fucilati per ordine del Tribunale Speciale Fascista, ha suscitato lo sdegno di Roberto Menia il quale ha affermato che “mentre non vi e’ nulla da dire per ciò che riguarda le tappe di Veltroni alla Foiba di Basovizza e alla Risiera, anche se fatte con qualche decennio di ritardo, e’ evidente che non possono essere eletti a martiri di una italianità cattiva nel 1930, coloro che erano dei terroristi macchiatisi di reati di sangue e di omicidi. Questi non possono essere contrabbandati per martiri ed e’ evidente che Veltroni sbaglia ed e’ sbagliata questa ricostruzione che e’ la ricostruzione che vuol fare la sinistra”. Una ulteriore dimostrazione di quanto abbiamo detto fin’ora?
È un dato di fatto che i martiri di Basovizza siano stati fucilati dopo una sentenza di un Tribunale speciale di uno stato non democratico. Quindi prima di accettare acriticamente la sentenza di questo Tribunale che li definiva “terroristi”, io quantomeno pretenderei, in democrazia, un nuovo processo, per determinare quali fossero effettivamente le loro responsabilità concrete. Ma a prescindere da questo, resta il fatto che la loro lotta era contro un regime dittatoriale che, spero, nessun democratico di oggi intende avallare come legittimo. Quindi che loro fossero o no “terroristi”, secondo me non ha la minima importanza da un punto di vista storico. Erano degli antifascisti che lottavano contro la dittatura: tutto qui. In Germania nessuno avrebbe il coraggio di chiamare “terroristi” gli attivisti della Rosa bianca o Canaris che attentò, senza successo a Hitler. In altri tempi, il tirannicidio era cosa considerata corretta, in fin dei conti.
[Il libro di Claudia Cernigoi è ordinabile on line, sul sito delle edizioni Kappa Vu]