di Valerio Evangelisti
(da Robot n. 46)
Ho sempre avuto un grande rispetto per Michael Crichton. Non ho letto tutto quello che ha scritto, ma ciò che ho letto mi è sempre parso avvincente e ben documentato, talora persino anticonformista. Notevole anche la sua dimestichezza con i temi propri della fantascienza, sebbene non possa essere confuso con gli scrittori specializzati in SF, per stile e per varietà di interessi.
Notevole pure lo stretto rapporto con il cinema che Crichton coltiva. Ottimo regista in proprio (vedi Coma profondo), Crichton ha visto i propri romanzi tradotti in film un’infinità di volte. I risultati sono stati spesso eccellenti (Andromeda di Robert Wise), altrettanto spesso buoni (Sol Levante), talvolta discreti (Jurassic Park, Sfera), solo di rado molto inferiori al romanzo da cui erano tratti (Congo).
Mi ero alla fine fatto l’idea che il nome di Crichton fosse mediamente garanzia di una certa qualità, e che comunque lui non avesse nulla a che vedere con i film peggiori intitolati a suo nome. Ho sempre pensato: avrà venduto i diritti cinematografici, poi un regista di quart’ordine avrà tratto dal suo romanzo una schifezza. Povero Crichton, chissà come ci è restato male in quei casi.
Sono dunque rimasto parecchio sorpreso nel vedere lo scrittore, in uno dei “contenuti speciali” inclusi nel dvd del film Timeline, esaltare compiaciuto la pellicola, e garantire l’estremo scrupolo storico con cui è stata realizzata. Mentre diceva questo, Crichton se ne stava seduto nelle vicinanze del castello medievale di cartone in cui si svolge gran parte della storia. Non era dunque pensabile che, mentre recitava il suo spot, ignorasse del tutto la colossale boiata che prendeva forma attorno a lui — tanto colossale che la classificherei senza rimorso tra i peggiori film di fantascienza di tutti i tempi. In qualche misura doveva essere complice. Se così era, un dignitoso suicidio sarebbe forse stato il più degno epilogo di una carriera per tanti versi brillante.
Gente fidata che ha letto il romanzo (io non l’ho fatto) mi ha poi rivelato che è molto migliore del film. Ciò mi ha indotto a pensare che, mentre Crichton lodava il polpettone spaventoso, fosse sotto la minaccia di una pistola, oppure che gli avessero somministrato sostanze allucinogene (infatti sorrideva, mentre chiunque altro sarebbe scoppiato in singhiozzi).
Dato che la seconda ipotesi mi pare la più probabile, credo che prenderò il coraggio a due mani e scriverò a Crichton. Gli svelerò quale film abominevole si girava sotto i suoi occhi, dopo averlo inebetito con una mistura a base di crack, di lambrusco e di LSD. Quanto segue è, più o meno, ciò che gli rivelerò, nella speranza che regga al trauma (a me non è stato facile: a volte Timeline mi torna in sogno, e allora mi agito nel letto e urlo nella notte).
I protagonisti della vicenda (si ricordi che parlo del film, non del romanzo) sono alcuni tizi che corrono: qualche uomo e una donna, cui poi se ne aggiunge un’altra. Delle donne posso specificare che una è un’archeologa (carina) e l’altra una contadina che in realtà è una principessa (carina anche lei). Quanto agli uomini, non mi si chieda di entrare nei dettagli. A parte uno che muore quasi subito perché parla francese in Francia, gli altri sono nel mio ricordo intercambiabili. So solo che correvano, e le donne con loro.
Ma andiamo con ordine. C’è l’archeologa che conduce scavi in Dordogna, a Castlegard (tipico nome di località francese). In una galleria trova reperti moderni, nel senso di occhiali rotti e scarabocchi, che non dovrebbero essere lì. Capisce che sono appartenuti a un importante archeologo scomparso non molto tempo prima. Questi, dunque, deve essere riuscito ad andare nel passato, per rimanervi intrappolato. La coraggiosa ragazza raduna altri giovani impegnati nelle ricerche (di cui uno cattivo) e va negli Stati Uniti a visitare gli inventori della macchina del tempo (di cui uno cattivo).
Sì, perché la macchina del tempo esiste segretamente da un pezzo, ed è un fax, sebbene somigli a una serie di vetri disposti a circolo. Ce ne viene spiegato il funzionamento. Come un fax scompone un testo in elettroni che vengono spediti lontano, così la macchina del tempo scompone gli uomini e li manda nell’epoca voluta, nel giorno e nell’ora desiderati (non ci viene detto, ma l’unità einsteiniana tra spazio e tempo dev’essere una gran cazzata).
L’idea mi ha colpito, e ho guardato con sospetto il telefono / fax che ho in casa. Vuoi vedere che un giorno mi risucchia e mi spedisce nel medioevo, o magari nel Pleistocene? Però devo dire che a me non riesce di mandare un testo se chi deve riceverlo non ha un apparecchio simile al mio. Non mi ricordo di missive spedite da me che si siano materializzate sulla scrivania del destinatario. Ma questa è appunto la prerogativa della macchina del tempo. A differenza del fax, non richiede che chi riceve abbia un altro fax. Tutto lì.
Bene, dopo un breve addestramento i nostri eroi vengono faxati nel XIV secolo, in piena guerra dei Cent’anni. Si materializzano in mezzo a un gruppo di contadini che scappano, inseguiti da soldati a cavallo, e cominciano a scappare anche loro.
Corrono, corrono, con una prima pausa quando vengono catturati e condotti alla presenza del signore di Castlegard. Questi è un inglese ferocissimo, una sorta di serial killer, impegnato nello sterminio di tutti i francesi che non corrano abbastanza in fretta. La storia ci ha detto, bugiardamente, che gli inglesi invasero la Francia perché rivendicavano un diritto dinastico su di essa, e dunque volevano governarla. Niente affatto. Timeline ci informa che erano lì per ammazzare quanti più francesi possibile. E infatti, come ho anticipato, non appena uno dei giovanotti giunti dal futuro inizia a parlare francese, il feudatario si incazza e lo uccide.
Qui si pone un problema linguistico. Chi ha fatto il film sembra ritenere che il francese odierno e quello che si parlava nel 1300 siano identici. Idem per l’inglese. Gli altri viaggiatori se la cavano perché si esprimono nella stessa lingua del feudatario. A me risulta che inglese antico e inglese moderno non siano tanto simili. Inoltre, a quel tempo e in quel luogo, pare si parlasse un ibrido poi definito anglo-francese. E’ chiaro, alla luce di Timeline, che si tratta di esagerazioni. In effetti, se io vado oggi al ristorante La Pireina di Piacenza e dico: “Per cortesia, messer taverniere, la mi serva una broda di pollame atque pane in abundanza”, nessuno mi guarderebbe in modo strano. L’importante è capirsi.
Il problema linguistico torna a porsi un poco più avanti, nel film. Da un altro film tratto da un romanzo di Crichton, Il tredicesimo guerriero, avevamo già appreso che, nel passato, imparare le lingue non era un problema. Infatti l’arabo Banderas diveniva padrone della lingua vichinga in una sola notte, ripetendo le parole dei nordici che gli stavano intorno. Plausibile, direi: Quante parole potevano formare il rozzo linguaggio vichingo? Non più di una ventina, a essere generosi. Il resto erano grugniti. Banderas perde anzi tempo, mentre mugola le elementari espressioni normanne.
Con Timeline il processo diventa ancora più rapido. Questa volta non si tratta di imparare il vichingo, bensì il francese, che credevo fosse più complicato. Il contesto è poi ancora più difficile di quello in cui operava Banderas. Chi deve sottoporsi al corso rapido di francese è infatti un giovane crononauta che sta spingendo lungo un fiume la contadina / principessa, seduta dentro una mastella.
Ebbene, il miracolo avviene. Banderas, che è lento ad apprendere, ci aveva messo una notte intera, prima di imparare a parlare vichingo come un vichingo. Il nostro giovane a mollo ci mette un’ora circa, forse poco più: diciamo un’ora e venti. Da quel momento usa il francese come se fosse nato e vissuto in Boulevard Saint-Germain.
Viene il sospetto che il francese antico differisse da quello moderno solo per un minore numero di parole, meno ancora di quelle vichinghe. Mi vengono in mente certe pubblicità che apparivano sui giornali quando ero bambino. La società Linguaphone (!) proponeva corsi su 45 giri per imparare in poco tempo una quantità incredibile di lingue, inclusi il greco antico e lo swahili. La cosa mi affascinava, e avrei voluto sottopormi al tour de force per sbalordire il prossimo, magari interpellando un arabo in arabo e un cinese in cinese, poi guardare che faccia facevano.
Chissà qual era il segreto di Linguaphone. Forse era il vecchio trucco dello stare in acqua a spingere una mastella con dentro una ragazza del gruppo linguistico prescelto: una somala per imparare il Tigré o il Tigrai, una lappone per imparare il lappone, una greca decrepita per imparare il greco antico. Però a quei tempi non avevo ancora visto Timeline e non conoscevo la scorciatoia.
Ma torniamo alla trama del film. I nostri eroi corrono, dopo avere recuperato il professore perduto, saltano, scalano tetti, cadono dai tetti, zompano qui e là e finiscono in mezzo alla battaglia finale per la conquista della fortezza di Castlegard. E’ tutto un gran casino ma poi il popolo vince e il tiranno è sconfitto, proprio mentre si preparava a impiccare la principessa ex contadina. L’uomo che spingeva la mastella decide di restare nel passato con quest’ultima (la principessa, non la mastella) di cui si è innamorato. Gli altri cercano di faxarsi nel presente, solo che lo scienziato cattivo ha sabotato il fax. Ce la fanno lo stesso e il malvagio fa la fine che merita. C’è anche una conclusione romantica e commovente che non rivelerò, se non per dire che le statue di un sepolcro rinvenuto a Castlegard sono quelle dello spingitore di mastelle e di colei che lui spingeva. L’iscrizione è però in inglese, e ciò fa pensare che, forse, la Guerra dei Cent’anni non sia finita come ci hanno fatto credere.
Questo scriverei a Crichton, nella certezza che il solo leggere la trama gli causerà un collasso. Di ciò mi dispiace, perché, ripeto, lo considero un bravo scrittore. Ma tutto, persino le Cronache di Riddick, è meglio della funesta eventualità di un Timeline 2.