DESCENT
di Danilo Arona
In data 19/12/2005 ricevo una nuova mail da Paolo Toselli.
Caro Danilo,
scusa se ti riscrivo, ma quel frammento scaricato da Internet che ti ho inviato nel settembre 2005 a proposito della ragazza fantasma della Highway 104 in Virginia mi ha fatto scattare una certa molla di cui sono qui a renderti conto. Il fatto è che, se il legame fra miti del folclore moderno e presunti fatti di cronaca ha da essere rappresentato da quel nome femminile che sembra ritornare ossessivamente nelle tue ricerche (almeno quelle di cui riferisci nelle “Cronache di Bassavilla”), una certa zona di quell’autostrada offre ben più di qualche bizzarra, e francamente inquietante, coincidenza.
Andiamo per ordine, o almeno nell’ordine delle mie scoperte. Allora, c’è questa zona fra il Nord Carolina e la Virginia dell’autostrada 104 con tutte le sue — straclassiche – leggende, quasi tutte incentrare sul cosiddetto Vanishing Hitchhiker e che vanno a formare quel folclore tramandato oralmente che da anni catalogo con passione certosina. Molti testimoni, dal 1999 a oggi (più in là ti spiegherò il perché dell’anno in questione…) hanno raccontato di una giovane autostoppista, vestita di jeans e giubbotto rosso, di solito caricata su una macchina durante una notte piovosa e che svanisce dalla medesima durante il tragitto. Una di queste storie, accaduta vicino a Woodson, riferisce di un camionista che ha aperto il portello del mezzo e la ragazza (che ha sempre nelle varie descrizioni lunghi capelli biondi) si è dissolta davanti ai suoi occhi ancor prima di salire. Un altro racconto, finito anche sui giornali locali, descrive un giovane autista che carica la bionda e questa mostra una faccia completamente scorticata e sanguinante. E poi altri fatti, che qui chiamano le “maledizioni di Melissa”: tantissimi incidenti inspiegabili tutti concentrati nell’identica zona, pneumatici che si squarciano inspiegabilmente mandando le auto fuori strada, cellulari che funzionano male o non funzionano del tutto, macchine che si fermano senza alcun motivo tecnico e i guidatori che, una volta scesi, odono misteriose voci provenire dal ciglio della strada. Infine la storia della Bloody Rock, uno strano masso sulla corsia d’emergenza che sembra cambiare di posto ogni giorno che passa, come dotato di vita propria.
Allora, è proprio partendo dal masso che ho scoperto ulteriori coincidenze. Davanti alla zona incriminata si apre il Parco Nazionale dell’Arkansas con la famosa, almeno per gli americani, Mammoth Cave, un sistema di caverne sotterranee che con le sue 330 miglia di passaggi a ben cinque livelli sottostanti si può considerare il più grande del genere esistente al mondo. Da più di centocinquant’anni Mammoth Cave funziona come attrazione turistica, visitata ogni anno da migliaia di persone ed è certo che la Bloody Rock proviene da questi recessi sotterranei. E sono numerosissimi i visitatori che sostengono che in quella sorta di mondo infero non si provano soltanto i brividi della claustrofobia, ma anche quelli determinati da misteriose apparizioni spettrali. Al punto tale che da si è creata nel tempo una vera e propria mitologia di fantasmi quanto mai famigliari ai membri del personale addetto alla sicurezza. Tra i tanti ecco lo spettro di Stephen Bishop, antesignano delle guide delle caverne. Bishop era uno schiavo nero che nel 1838 guidava i primi gruppi di turisti attraverso i cunicoli. Molte guide a quel tempo erano schiavi di colore ma Bishop era considerato il più abile professionalmente e molte delle sue mappe sono in uso ancora oggi. E amava a tal punto il suo lavoro nelle grotte che quando venne affrancato dalla condizione di schiavitù, lui rifiutò perché avrebbe dovuto lasciare quel posto di guida. Molta gente sostiene (oggi!) di avere incontrato Stephen Bishop all’interno degli oscuri corridoi delle caverne, e questa specie di Caronte di colore è così diventato il più riverito tra i fantasmi del Cave. Ma il nutrito repertorio delle apparizioni del sottosuolo comprende — guarda caso — anche una bella donna del sud che si chiamava Melissa.
La storia che la riguarda data verso la fine del 1800 e sembra uscita dal film Via col vento: lei, molto giovane, si era perdutamente innamorata del suo insegnante privato, un gentiluomo di Boston, che però non la degnava di uno sguardo perché aveva una relazione con un’altra donna. Abitando in quella zona, Melissa ben conosceva i cunicoli del Mammoth Cave e un giorno, spinta da un folle desiderio di vendetta nei confronti dell’uomo, lo condusse a perdersi nelle caverne e qui lo abbandonò. La cronaca riporta che lei finse disperazione nel denunciare la scomparsa dell’uomo. Si organizzarono ricerche in lungo e in largo, ma invano. Dopo alcuni anni, Melissa si ammalò di tubercolosi e, in punto di morte, confessò alle persone che l’assistevano la sua colpa, pregando Dio di poter raggiungere ancora per una volta il Mammoth Cave. Melissa morì, ma la leggenda sostiene che lei tornò dalla morte e ancora vaghi per i cunicoli alla ricerca del suo amore scomparso. Molti dicono di vederla, avvolta in un vestito rosso d’epoca, e di udirne i lugubri lamenti. Il suo nome figura anche negli opuscoli che si ritirano all’ingresso del giro turistico nelle immense caverne del Mammoth.
Tutto ciò potrebbe sembrarti di scarso significato e, soprattutto, non attinente alla “Melissa” sulla quale stai indagando. Però… c’è un però ed è un dubbio che spartisce sempre qualcosa con la faccenda del nomen omen. Praticamente davanti all’ingresso del Parco Nazionale, laddove iniziano i percorsi del Mammoth Cave, lì, su quell’autostrada, è stata travolta nella notte del 19 dicembre del 1999 una ragazza bionda senza documenti. Portava, come i vari hitchhikers di cui ti ho parlato prima, dei jeans e un giubbotto rosso e l’incidente la sfigurò, perché il suo corpo venne trascinato per metri e metri prima di finire contro la Bloody Rock (che si chiama probabilmente così proprio da allora…). Capisci che guazzabuglio? E’ successo anche in America, alla stessa data, e nelle stesse circostanze: una notte di pioggia, una tipa che non si da dove provenga, e quel nome… Il mio corrispondente di Foaftale News mi racconta di una strana pista investigativa seguita da un solo giornale locale di Ararat: quella di una ballerina di lap dance che lavorava a Daytona Beach e si chiamava, vedi tu, Melissa George. Secondo il giornalista, quella ragazza era la stessa tipa che ispirò un certo David Smith a battezzare con quel nome un virus informatico di sua invenzione.
Ma, Santiddio, non è la stessa storia che ti sei inventato tu per le Cronache di Bassavilla? Com’è possibile che le tue allucinazioni di scrittore, di colpo, iniziano a trovare un riscontro reale e retroattivo? Hai un parere al riguardo? E ce l’hai anche, per caso, su quest’ultimissima notizia che sta facendo il giro del mondo?
Mancano da diversi giorni notizie di una una spedizione speleologica composta di sole donne, tutte giovani tra i venti e i trent’anni – Sarah McDonald, Juno Mendoza, Elizabeth Reid, le sorelle Rebecca e Sam Mulder e Holly Noone. Le ragazze si sono perse nel Crystal Cave, un sistema cavernoso adiacente al Mammoth Cave nel Parco Nazionale della Virginia. Mentre il Mammoth è regolarmente gestito e visitabile anche da sprovveduti turisti al seguito di guide esperte, il Crystal Cave è un sistema a sette piani altamente pericoloso e percorribile solo da persone di specifica preparazione.. Da indiscrezioni trapelate dalle squadre di soccorso pare che nell’unico corridoio che porta all’ultimo livello sia avvenuto un crollo. Il Crystal Cave è da sempre oggetto di paurose dicerie. C’è chi sostieneche nei suoi anfratti si trovino ancora i Crawlers, un’antica razza di cavernicoli predatori e cannibali che non disdegnerebbero di salire di tanto in tanto alla superficie con le conseguenze del caso. Leggende, dicono da queste parti. Ma qui di giovani e meno giovani ne sono scomparsi parecchi nel corso degli ultimi anni.
Ma — accidenti, Danilo! – questa faccenda non è la trama di un film horror uscito pochi mesi fa? Per quale assurdo motivo adesso la stanno spacciando per vera?
Paolo