di Gianni Biondillo
[Gianni Biondillo, 37 anni, architetto milanese, autore di testi televisivi e cinematografici, ha pubblicato i noir Per cosa si uccide e Con la morte nel cuore (Guanda), incentrati sulla figura dell’ispettore di polizia Ferraro e ambientati a Milano]
Ho ricevuto un fax da una amica. È un articolo di Maurizio Cucchi sul Corriere della Seradi lunedì: Il trionfo dei giallisti, “falsi” letterati. Interessante, molto interessante.
La prima cosa che fa Cucchi è mettere, come dire, le mani avanti: a lui Lucarelli in tivù gli sembra bravo e “persino” simpatico. Bene. E poi, en passant, ci confessa che con tutta la buona volontà, lui, Lucarelli non l’ha mai letto. Non ce l’ha con lo scrittore, è proprio che Cucchi non riesce ad appassionarsi ai cruciverba (?), ai rebus (?), e ai gialli (scusate, sono tonto: ma cosa c’entra?).
Non riesce a leggere la leggendaria Settimana enigmistica, così come i noir o i thriller sono per lui “misteriosamente tabù”. Be’, uno potrebbe dire: “finiamola qui. Non li hai letti, non hai nulla da dire in merito”. No. Non è così. Non li ha letti, ma Cucchi ha un sacco di cose da dirci in merito.
La prima cosa è che “il genere domina”. Già. “La narrativa è fieramente occupata da giallisti e affini”. Per lui, che non riesce a leggere i gialli, deve essere proprio un problema. Poniamo che io non riesca a leggere poesie (fortunatamente non è così, fortunatamente io alla fonte di Cucchi mi sono assai abbeverato): deve essere una bella fatica per me entrare in una libreria e trovare solo libri di poesia. Già.
Mi viene un dubbio. Su certe cose sono un tipo preciso fino al maniacale, controllo la classifica delle vendite di questa settimana: dei primi dieci libri di narrativa italiani in classifica solo due (ho detto 2 non 20 o 200) si potrebbero classificare come giallo-noir: Romanzo Criminale di De Cataldo, al sesto posto, e La luna di Carta di Camilleri, al decimo. Il primo è Baricco.
No, no, è chiaro, Cucchi intendeva il dominio culturale, non quello delle vendite. Ora che mi ricordo, il suo romanzo era uno dei finalisti dello Strega di quest’anno. Il premio dei premi. L’avrà vinto il solito giallista, mi dico. Vado a controllare. Accidenti: non c’è neppure un giallista nella cinquina. E neppure nella selezione allargata ai primi 11 libri. Boh, non capisco.
Rileggo l’articolo, magari sono io che sono proprio tonto.
I giallisti, ci dice Cucchi, fanno “letteratura” in quanto, appartenendo ad un genere, “compiono un’operazione squisitamente letteraria”. “Ma” (ecco la frase illuminante) “lo sappiamo: la letteratura (senza virgolette) è un’altra cosa”. Così si chiude l’articolo.
Ho capito tutto.
Non ha senso, per ciò, che io ora gli spieghi che forse dovrebbe informarsi. Che “scoprire chi è l’assassino” come in una sciarada da Settimana enigmistica è una cosa completamente ininfluente nella letteratura noir (vedi, appunto, Romanzo Criminale). Che persino il morto può non esserci nel genere giallo (negli ultimi 3 racconti che ho scritto non c’è un morto neppure a pagarlo). È perfettamente tempo perso rammentargli che Sciascia di “gialli” ne aveva scritti sei, che La promessa di Durrenmatt è considerato un capolavoro del noir, che il Pasticciaccio brutto è un poliziesco a tutti gli effetti.
Non è di questo che stiamo parlando.
Vi dirò: non credo che Cucchi sia in malafede. Credo anzi che sia sincero. E neppure che stia dicendo una bugia. Cioè: penso che il suo assunto sia completamente indifferente sia al vero che al falso.
In questo senso è perfettamente inutile che io gli ricordi che se parlassi della poesia contemporanea citando come unico referente D’Annunzio, per poi aggiungerci: “tutto questo andare a capo non lo capisco, mi indispettisce, è per questo che non leggo poesia, ma ho molto da dire in merito”. O, altrettanto, se per parlare di fisica teorica mi rifacessi ad Aristotele e poi aggiungessi che non sopporto gli ipse dixit, insomma che se facessi questo, quanto meno qualcuno potrebbe chiedersi se io non stia dando aria alla bocca.
Quello che sta facendo Cucchi con il suo articolo è un’altra cosa. Sta dialogando, per sottintesi, con qualcuno. Lo rassicura. A quel “qualcuno” sta dicendo: “ehi, ci siamo capiti? Io lo so cos’è la letteratura, quella senza virgolette”. Non ha importanza se lo sa veramente o meno. E non mi soffermerei neppure sull’eventuale tono pretenzioso o snob. Quello che fa Cucchi, con quelle affermazioni, è dare una certa impressione di sé a un particolare auditorio.
Ormai ci sono. Mi ha aiutato nell’analisi del testo cucchiano la lettura illuminante di alcune pagine di Harry G. Frankfurt, eminente filosofo morale docente all’università di Princeton.
Le affermazioni di Cucchi sono sincere, insisto. E non sono, necessariamente false (“i valori di verità delle sue asserzioni non sono al centro del suo interesse” dice Frankfurt). Inoltre “non si cura di come stanno davvero le cose” (sempre Frankfurt). Infatti Cucchi ammette di non leggere Lucarelli e, la parte per il tutto, neppure tutti gli altri “giallisti”. E, come già detto, cerca di dare un’impressione di sé al suo auditorio. Tutte queste caratteristiche hanno una voce esatta nel dizionario filosofico di Frankfurt. Tutte le opinioni espresse da Cucchi nel suo articolo sono, a detta dell’esimio professore di Princeton, una cosa ben precisa: “stronzate”.
Ovviamente, aggiungo, dato che le dice un poeta laureato sono, per me, emerite stronzate.