HANNO SETE

di Danilo Arona

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Lo so, molti di voi pensano che su Bassavilla spesso scherzo o esagero. Come molti di voi sono convinti che i romanzi horror siano soltanto un bel prodotto dell’immaginario. Non voglio ricordarvi il banalissimo adagio sul diavolo cui nessuno crede, però molti di voi sbagliano. Se soltanto cominciassero a leggere i quotidiani con la predisposizione intellettuale di un aggiornato Van Helsing, avrebbero di che meditare. Da Castelluccio dei Sauri a Cogne, per chi crede alla Realtà Nascosta non c’è che l’imbarazzo della scelta.
Okay, resettiamoci, l’ermetismo non giova. Vi ricordare di Paolo Provera, quel nostro impareggiabile concittadino che s’incatenò in piedi all’interno del proprio sarcofago funerario un paio d’ore prima di morire e di cui vi parlai nelle Cronache n° 11?

Quello, e vi ricordate, vero, che davanti alla cappella m’incontrai con un vampiroide… Ma sì, tipo magro ed esangue, tenuta dark, spettinato come Ghezzi, occhiaie nere, labbra rosse e denti bianchissimi. Scherzo? Sentite qui, l’ho appena “sbobinato” dopo un’intervista in cui gli chiedevo il suo parere sul fatto che a Bassavilla qualcuno lo definisce uno iettatore (sì, insomma, quei tipi un po’ lugubri e particolari al passaggio dei quali, in provincia, la gente si artiglia i marroni…):
“La luce mi fa male, non mi piacciono le croci e vomito a sentire la puzza dell’aglio. Quando mi hanno battezzato da piccolo, hanno dovuto portarmi al Pronto Soccorso perché l’acqua santa mi aveva provocato delle bruciature. I vampiri non esistono, dicono, ma io cosa sono allora? Ah, mi piace molto la carne al sangue e mia nonna mi ha allevato a sanguinaccio.”
E’ l’avvìo di un’intervista surreale, avvenuta di notte in un pub, nella quale scopro che l’uomo sa quasi tutto su Dracula e affini. Ma di certo non conosce le teorie della scrittrice di Washington Elisabeth Campos sui “vampiroidi”, persone da considerarsi vampiri a tutti gli effetti e che, a differenza dei loro modelli più celebri, riempiono la casistica giudiziaria americana. Secondo la Campos, che è avvocato, questi personaggi s’immaginano di essere dei veri vampiri e si comportano di conseguenza: non escono mai di giorno, temono fortemente l’acqua benedetta e il simbolo della croce, bevono in genere sangue animale, nella cui mancanza può accadere che giungano a bere il proprio oppure, nei casi estremi e patologici (e ne esistono), anche quello di sfortunate vittime uccise ad hoc. Non a caso certi famosi assassini seriali sono passati alla storia come “il vampiro di Dusseldorf” o “il vampiro di Sacramento”.
Ovvio, mi sono guardato bene dall’esternare all’amico all’altro capo del tavolo le teorie della signora Campos. “Vampiroide” non è parola così gradevole e sembra rimandare a qualche deficit cerebrale, lontanissimo dal romantico fascino dei succhiatori di sangue. E allora gli ho chiesto se aveva intenzione di curarsi, dal momento che la sua condizione non pare il massimo per le realazioni sociali.
“Sì, mi piacerebbe partecipare a una messa nera”, è stata la sorprendente risposta. “Sai, di quelle in cui si fa fuori qualche piccolo animale e si beve un po’ del suo sangue. Non roba con vergini da possedere perché non ne mastico molto. Mi accontererei di qualche rito in comune di tanto in tanto, una storia del genere ‘grolla dell’amicizia, uno che mi passa l’animaletto ancora caldo e io tiro la mia razione dalla ferita. Sì, mi piacerebbe, ma come si fa? Non conosco nessuno di quei giri lì.”
Yes, avete letto bene: la grolla dell’amicizia satanica, versione vampiresca del joint. E, prima di alzarsi dal tavolo, ha dichiarato con aria conclusiva: “In ogni caso mi piace molto vivere la notte. Anche se sono sempre solo, mi sento bene. Prima vado al cinema, poi guardo la gente. Di giorno non mi sarebbe possibile. Arrivederci.”
Si è allontanato, il vampiroide, curvo, le mani in tasca, lo sguardo triste un po’ alla Burton, mescolandosi agli animali notturni che di lui nulla sanno. Magari, chi lo sa, è affetto dalla porfiria, quella rara malattia che comporta deficienza di ferro nel sangue i cui sintomi esteriori sono molto simili a quelli del vampirismo, tipo colorito pallido e paura della luce. Già, spiegazione troppo semplice e priva di pathos. E’ più facile che si tratti di un vampiro di tipo 4, categoria di sottogenere rispetto ai primi tre tipi enunciati da Stephen King ne I Lupi nel Calla: Tipo Uno (quelli tosti che vivono più a lungo in grado di produrre non morti in abbondanza), Tipo Due (una via di mezzo tra uno zombie scemo e un vampiro con un barlume d’intelligenza) e Tipo Tre (“Sono come le zanzare, non sono in grado di creare altri vampiri, ma si possono nutrire. E si nutrono, accidenti se si nutrono…”)
In realtà il tipo non è l’unico vampiro che abbiamo a Bassavilla. Come ho già scritto, io ne conosco un sacco. In più, anche questo l’ho ricordato più volte, abbiamo gente che “vede e che sente”, spettri e SuperSpettri (l’amatissima Melissa) e, non ultime, le streghe. In città ha appena “aperto i battenti” la Congrega di fede Wiccan “L’anello della Rosa”, le cui sacerdotesse celebrano i loro riti dietro il cimitero. Dicono che Alessandria è perfetta per l’Energia della Mano sinistra. E la Gran Sacerdotessa Thenesis è una pupa coi fiocchi.
Abbiamo una lezione da trarne? Io penso di sì. Forse “lezione” non è termine opportuno, ma credo che occorra cominciare a “leggere fra le righe” (e oltre…) della narrativa horror, sia quella di oggi che quella di ieri e dell’altro ieri. Se si ritiene che non sia un caso che gente come Chuck Palahniuk e Bret Easton Ellis vi siano approdati all’ultima ora, un salutare dubbio mi assale quando m’inoltro nella lettura di un Robert McCammon o di un Christhoper Golden: sono ragazzacci che si sono inventati tutto o stanno parafrasando una verità planetaria cui nessuno crede? Prendete ad esempio i libri della Gargolyle, più che benemerita iniziativa editoriale che ci sta portando in Italia testi di gotico contemporaneo che forse mai avrebbero qui visto la luce: di che ci parlano? La lista dei sei titoli sin qui usciti (Chelsea Quinn Yarbro con Hotel Transilvania, Joseph Nassise e RiverWatch, Passarella con Wither, Michael Laimo e Dal profondo delle tenebre, McCammon e Hanno sete, Golden con Di santi e d’ombre) è quasi esemplare: qui si racconta di vampiri e congreghe stregonesche, da sempre considerati “parassiti dell’immaginario” a discapito di una Storia occulta e segreta che li ha visti ora come protagonisti ora come vittime sacrificali da parte dei poteri costituiti. Pensate che la tesi sia indigeribile? Io penso di no. Ho raccolto nel corso dei miei anni trascorsi a “indagare”, un po’ per gioco e un po’ per perversione, un mare di “prove” sul fatto che là fuori, in mezzo ai reticoli della realtà che percepiamo come tale, c’è dell’altro, anzi dell’Altro. E mi ripeto: leggete i quotidiani con un occhio diverso. Ne sono la miglior conferma. Alcuni dei miei libri sono materiati esclusivamente con estratti dalla cronaca, ma li si etichetta come “fantastici”.
Vi fornirò alcune prove, se le Cronache avranno la fortuna di proseguire. So bene che con le ciance non si va da nessuna parte. Nel frattempo, a proposito dei succhiasangue di McCammon e di Golden (procuratevi questi due libri, lo consiglia persino Joe Lansdale…), faccio mie le considerazioni che l’antesignano Emilio de’ Rossignoli affidò alla carta nel 1960:

“Credo nei vampiri e non sono in cattiva compagnia. Prima di me, vi credettero Rousseau e Byron, Mérimée e Baudelaire, Swinburne e Poe, Gautier e Hoffman, Goethe e D’Annunzio. Vi hanno creduto sacerdoti come don Calmet, Padre Brugnolo, Giuseppe Davanzati: scrittori come Ranfft, Burnet, Rehrius, Shaack, Fritsche; medici come Krafft-Ebing, Berthollet, Hartmann, Castelneau, Lombroso; magistrati, professori, scienziati. Prima che Roma fosse un solco quadrato sulle rive del Tevere, ci credettero Sciti e Caldei, Egizi e Greci. E Roma edificò la sua potenza temendo la loro sete. Dopo, nel tempo e al di fuori del tempo, a Oriente e a Occidente, a Settentrione e nell’estremo Sud, i vampiri continuano a vivere. La scienza e la tecnica non li hanno annientati, ma sono riusciti a renderli più pericolosi. Ora, mordono a distanza, ricorrono alla medicina e alla chirurgia, si mimetizzano fra i criminali e gli psicopatici, ma anche fra le persone normali. Hanno cancellato le loro origini e sono diventati letterati, artisti, avvocati, medici, industriali. E spesso non si accontentano più del sangue: vogliono l’anima. I vampiri sono fra noi, la cronaca stessa ve ne offre la prova ogni giorno.
Credo nei vampiri. Popolano le cronache criminali di nomi vecchi e nuovi, ma tutti legati a storie d’incubo: Jack lo Sventratore, Peter Kuerten, Andréas Bichel, John Haigh, John Reginald Christie, Max Gufler, Heinrich Pommerenke, Burke e Hare. Escono dalle nebbie del passato come Gilles de Rais, Jacob Kavanski, Arnoldo Paolo de Madreiga. Sorgono dai cimiteri del presente come Nicolas Broda, Vanja Gica, Elefteria Kalkias, Irene Minas.
Li ho rievocati in un brivido — fantasmi senza pace — toccando gli squallidi oggetti della loro condanna, i cunei di frassino e il martello, in una casa serba.
Li ho sentiti, come un sottile e perfido profumo dell’aria, dinanzi alle porte chiuse, segnate dai grappoli d’aglio e dal pesante silenzio dell’attesa.
Li ho uditi nel vento della notte, là dove sono temuti. Li ho compresi quando ho conosciuto la sete, la fame, l’amore, il timore di morire. Li ho visti, forse.
Mentre scrivo queste righe, ho una lettera davanti a me. E’ datata: ‘Budapest, 3 novembre 1956’. Anche per questo pezzo di carta credo nei vampiri.
Io devo credere, perché un uomo, un amico, mi ha scritto. Ed era forse già morto sulle barricate della rivolta quando ha tracciato quelle poche righe. La lettera dice:
‘Ora sono veramente solo. Ricordi il mio incontro nel cimitero di Recks? Ne feci una relazione minuta, ma omisi di proposito un particolare. Nel lottare con l’altro fui morso alla mano. Era una ferita da nulla, ma il segno rimase. Adesso, penso che sia restato anche nella mia anima. Spero che non c’incontreremo più; non voglio che tu veda come sono e che mi paragoni a com’ero. Ma se dovessi — che non sia, che non sia — trovarmi sulla tua strada, ricorda ciò che tu e io sappiamo e fa cessare questo strazio, per l’amore di tua madre.”
Quello che io e lui sappiamo è il potere risolutivo della picca. Per questo — con la pietà nel cuore — credo nei vampiri.”

(Emilio de’ Rossignoli, Io credo nei vampiri, Milano 1960)