di Danilo Arona
[Tutte le Cronache di Bassavilla]
(L’immagine a fianco è un’opera del fotografo d’arte Joel Peter Witkin. gg)
L’UOMO SENZA TESTA
Una notizia tratta da un giornale di cinque anni fa:
Padova. Noto commerciante di 55 anni muore perdendo il controllo della sua Mercedes sulla A 13 in località San Pelagio
E’ morto uscendo da solo di strada con la sua Mercedes. Giovanni Trevisan, 55 anni, residente ad Abano Terme, è stato decapitato dal guard-rail che ha sfondato il parabrezza e l’ha colpito all’altezza del collo, uccidendolo sul colpo. Gravemente ferita la passeggera che era al suo fianco, Maria Pistalowa, 31 anni, ballerina in un locale notturno della zona. Erano da poco trascorse le cinque del mattino quando in prossimità dello svincolo di San Pelagio la Mercedes Clk con a bordo la coppia ha iniziato a sbandare. L’auto è finita tutta a destra, cozzando per una cinquantina di metri contro il guard-rail. L’interruzione di quel tratto di protezione e l’inizio di uno nuovo è stato letale. La lamiera a tripla onda è penetrata nel parabrezza della vettura, centrando in pieno il collo del Trevisan la cui testa schizzata in mezzo alla strada, è stata anche trascinata per alcuni metri da un’ auto sopraggiunta – è stato spiegato – a velocità non elevata ma la cui conducente non si è resa subito conto di cosa avesse investito.
L’ allarme è stato dato dalla stessa donna che ha chiesto aiuto a un altro automobilista. Critiche le condizioni dell’amica del Trevisan, rimasta incastrata nell’abitacolo distrutto e attualmente ricoverata in rianimazione a Padova. Sul posto sono intervenuti i vigili del fuoco e le pattuglie della polizia stradale. Sarà compito degli agenti ora stabilire le cause dell’uscita di strada della Mercedes, quasi certamente imputabili alla pioggia. Infatti, al momento dell’incidente, sebbene il traffico fosse scarso, pioveva con una certa violenza. Probabili concause: la velocità e un eventuale colpo di sonno, visto che la coppia aveva da poco lasciato il night club dove lavora la Pistalowa.
Una notizia, purtroppo, come tante. Banale perchè coazione di un copione troppe volte già letto. E due volte banale, nonostante la truculenta eccezionalità che ricorda l’incipit catastrofico di Final Destination 2. Si potrebbe ricordare, al proposito, come sia ravvisabile da qualche tempo in certi esempi del cinema contemporaneo una certa “morale dell’incidente stradale”, una sorta di filone, curvilineo e trasversale, che attraversa più di un film horror (appunto, i due Final Destination, 11-14 destino fatale, Identity più qualche altro titolo tratti da romanzi di King), transitando per Crash (Ballard/ Cronenberg) per approdare ai preamboli di Vi presento Joe Black e Le fate ignoranti. Non è obbligatorio richiamarli alla memoria o averli visti tutti: basta prendere atto che il cinema, che sempre testimonia la realtà e qualche volta l’anticipa, sta concretizzando il fantasma dell’incidente (stradale, ma non solo) alla stregua di uno spauracchio gotico con cui fare i conti quotidianamente. E aleggia pure una terrificante analogia di cui proprio King testimonia nella sua prefazione di A volte ritornano: “scrivo roba meravigliosa per gente cui piace rallentare e guardare gli incidenti d’auto”. E allora ecco che la brutale, inaspettata casualità dell’impatto in grado di cambiarti la vita diventa la metafora che illumina tutti film che abbiamo testé citato. E poi ce ne sono altri due, Dead End di Andrea e Canepa e Voices (E se oggi fosse già domani?) di Kevin Billington, i cui protagonisti non vogliono riconoscersi come fantasmi perché in realtà sono già morti in un tremendo frontale tre secondi dopo i titoli. Da tenere a mente per le righe che seguono.
Già, perchè sta per seguire una “nuova” (nuova, almeno per le Cronache) urban legend nata a ridosso del tremendo incidente di cui abbiamo scritto all’inizio. Il commerciante morì nel settembre del 2000. Cinque anni sono più che sufficienti perché una leggenda metropolitana abbia ad autogenerarsi e a diffondersi attraverso le vene mediatiche. Eccone il plot:
Questa storia si svolge in autostrada. Un tratto imprecisato, non importa se a Nord o a Sud. E’ mattina: da poco sono passate le cinque. Una coppia, un uomo e una donna a bordo di una Mercedes nera, sta viaggiando alla volta di Padova. Lei è un’entraineuse polacca e lui un cliente più che affezionato, forse quasi innamorato, che vorrebbe farle cambiar vita. Sta piovendo forte. All’altezza di San Pelagio la macchina, lanciata ad alta velocità, inizia a sbandare slittando di lato e va a cozzare contro il guard-rail della corsia d’emergenza. Per qualche strano difetto tecnico l’airbag non si apre, ma per fortuna i due indossano la cintura di sicurezza e i danni sembrano limitati a qualche ammaccatura e al vetro frantumato dal rinculo della carrozzeria sulla barriera. Ancora sotto shock, l’uomo si prende fra le mani la testa che ha sbattuto contro il vetro. Ha qualche taglio fra i capelli e le mani gli si sporcano di sangue. Quindi si rivolge verso la sua compagna di viaggio e vede che sta più o meno bene, per quanto spaventata. Apre la portiera e si sporge a guardare: nella pioggia battente, qualcuno si sta avvicinando alla loro macchina forse per aiutarli. Allora lui decide, un po’ ammaccato e dolorante, di andargli incontro e lo comunica alla donna, dicendo: “Torno subito, dico a questo tizio che stiamo bene e verifico i danni alla macchina”. La ragazza lo segue con lo sguardo: effettivamente, nel buio piovoso, vede due figure che confabulano a pochi metri dalla loro macchina. Cade un fulmine e tutta la scena s’llumina d’un bianco abbagliante con l’accompagnamento di un frastuono infernale. Intimorita dalla situazione e dall’assenza del suo compagno, la donna si volta di nuovo e scorge soltanto più un’oscura silhouette, ferma e immobile. Allora esce dalla macchina e si dirige verso la figura, notando che anche la persona di cui non riesce a sorgere le fattezze ha preso a camminare nella sua direzione. Sino a quando non sono esattamente di fronte, la donna presuppone che si tratti dell’uomo che l’accompagnava in macchina. Ma, con sorpresa, a un metro circa l’una dall’altra, l’entraineuse polacca scorge davanti a sé una ragazza bionda, pallidissima e fradicia d’acqua, con un giubbotto rosso stinto e corroso dall’acqua.
“Mi scusi, dov’essere andato mio amico?”
La risposta le giunge da una strana voce che sembra provenire da un’altra direzione, diversa da quella della bocca della ragazza bionda.
“Colpo di fulmine, sorella. Mi ha appena confessato di aver perso la testa per me!”.
E, alzando la mano destra, la bionda esibisce la testa insanguinata dell’amico dell’entraineuse.
L’urlo, l’inutile fuga: un’altra donna che scompare inghiottita dai misteri dell’autostrada.
Sicuro, è una leggenda. Però abbonda di elementi di verità. I protagonisti sembrano proprio loro, Trevisan e la ballerina. La macchina è quella, idem la dinamica dell’incidente con il tragico particolare della decapitazione. E, se mettessimo assieme che il tutto è accaduto in località San Pelagio dalle parti di Padova, che la data era un “19” e che la tipa descritta nella urban legend è bionda e calza un giubbotto rosso, quale conclusione dovremmo trarne?
Melissa è sempre lì, sul confine tra realtà e leggenda. Dove spesso si muore sul serio.