di Riccardo Valla
Stanislaw Lem, Fiabe per robot, Marcos y Marcos, Milano 2005, pp. 201, € 14,00 , traduzione di Marzena Borejczuk
Marcos y Marcos ha già pubblicato alcune opere di Stanislaw Lem, La Cyberiade, Il congresso di futurologia, Memorie di un viaggiatore spaziale e adesso continua la vena di Cyberiade con questo Fiabe per robot. Le singole storie hanno ormai una quarantina d’anni, ma restano sorprendentemente fresche e brillanti.
Ancor più di Solaris (1961), che è divenuto famoso dopo il film di Tarkowski del 1972 e che oggi si rivela come un’opera indecisa tra la critica contro la scienza e la riflessione sul concetto di essere umano, sono stati questi racconti a dare la fama a Lem e a portare l’attenzione sulle sue altre raccolte. Ancora negli scorsi decenni circolavano vari lungometraggi tratti dalle sue opere, ma ultimamente sembrano scomparsi dai cineforum e ne rimane traccia solo nei cataloghi del Festival di Trieste.
Nella Cyberiade (1965), spesso la struttura della favola serviva a mascherare una riflessione o una vecchia questione filosofica: per esempio, la storia di quel personaggio che entra in una realtà virtuale in cui entra in una seconda realtà virtuale in cui entra in una terza… per infine non riuscire più a raccapezzarsi su quale sia la “vera” realtà; o l’impagabile osservazione sugli studiosi che studiavano l’impossibile e i suoi vari gradi di impossibilità essendo il possibile troppo banale e già disponibile a tutti; o il vecchio problema se una copia in tutto identica sia o no l’originale, problema risolto puntando la pistola contro l’avversario e costringendolo ad accettare l’opinione opposta.
Più che La Cyberiade, comunque, è questa raccolta del 1964 a rappresentare lo spirito originale dell’autore, consistente nel presentare “le future favole di un mondo di robot”, analoghe a quelle tradizionali di Fedro o delle Mille e una notte (analogamente alle Mille e una notte incontriamo la “storia dentro la storia”: nell’ambito di una narrazione, ciascuno dei personaggi narra a sua volta una vicenda a lui accaduta).
Invece delle due figure dei costruttori di robot che compaiono nella Cyberiade, abbiamo qui una serie di re, costruttori, pianeti, popolazioni come “I Pigmelianti [che] accumulano sapienza come altri ricchezza… Per prudenza, però, collezionano sapienza ma non ne usufruiscono”, o anche simpatici cialtroni come il cavaliere che finge di avere compiuto imprese tanto eroiche quanto incontrollabili e: “Una volta salito al trono regnò a lungo e felicemente e la sua bugia non venne mai scoperta. Così si capisce subito che abbiamo raccontato la pura verità e non una favola, perché nelle favole la verità trionfa sempre”.
Per molti di questi racconti viene in mente Borges, anch’egli amante del bisticcio logico e del divertimento filosofico. Infatti anche Lem è autore di recensioni di libri inesistenti: per una buona idea, diceva, è inutile scrivere un romanzo di duecento pagine; basta scrivere una recensione di quel romanzo e sottolineare l’idea.
Secondo Darko Suvin, il principale autore di storie di robot è Lem e non Asimov. Suvin pensava soprattutto ai racconti di Io robot e probabilmente si riferiva alla fantasia inventiva di Lem, da un lato, e dall’altro, al puzzle logico di molti racconti di Asimov. In realtà il contrasto è solo fittizio: Asimov racconta psicologie umane parziali, di uomini privi di alcune caratteristiche, mentre Lem gioca sul valore immaginativo ed evocativo delle parole e dei concetti della scienza, arrivando spesso a creazioni surreali che portano una gran parte della prosa di Lem nell’ambito della creazione linguistica, alla maniera di Gadda o di Landolfi.