di Antonio Nucci
Illustrazioni di Pierangelo Rosati
8.
”…in balia di se stessi e delle proprie paure”. Cosa avrà voluto intendere? si chiedeva Walter mentre Lucia, la moglie di Enrico, portava in tavola l’insalata con i pomodori.
“Ti vedo pensieroso, Walter. Tutto OK?”
“Sì…sì certo. Sai, oggi ho conosciuto un tizio, un certo Soldani.”
“Il professor Soldani? Fu mio insegnante per un anno alle medie.”
“Lo conosci quindi, che tipo è?”
“Un bravo professore, in gamba. Mi è sempre sembrato una persona seria, a posto. Perché?”
“No, chiedevo così. Abbiamo parlato molto…delle ultime cose insomma.”
“Gran brutto periodo” si fece scuro in viso. “Sono molto in apprensione per Elisa e Marco. Spero che la polizia trovi il pazzo che sta combinando tutto questo e lo sbattano dentro vita natural durante” disse Enrico, avvalorando così la tesi del killer psicopatico, la più accreditata in paese.
“Soldani” ripeté poi. Sembò rilassarsi “Sì, era un buon insegnante. Io andavo maluccio con lui, ma del resto andavo male anche con tutti gli altri. Sai, a me lo studio…”
Estate del ’78. Ero qui anch’io? Vediamo…si, fu l’ultima estate di vacanza passata qui. L’anno dopo per festeggiare la Licenza Media andammo in Versilia. Allora fu la stessa estate in cui con Lucio scappammo da quell’enorme biscia, e la stessa di quando nel sentiero le vespe mi assalirono. Lo stesso sentiero di ieri…
“…di mascarpone?”
“Eh? Cosa?”
“Ah, ma allora siamo proprio distratti stasera. Non saremo mica innamorati?” disse Enrico con fare divertito.
“Chiedevo se volevi un po’ di dolce al mascarpone” aggiunse Lucia.
“Sì, grazie, scusa, oggi ho la testa fra le nuvole.”
“Stai pensando a ciò che hai visto ieri?” chiese lei con tono decisamente più serio.
“Mah, si, un po’ a tutto.”
Più tardi, mentre scendeva in paese la testa ritornò in alta quota.
Forse molte delle paure che provai da queste parti non erano solo ingigantite dalla mia mente di bambino. Forse sono stato testimone anch’io di eventi non del tutto naturali. Ricordo una notte in cui mi svegliai perché i miei genitori erano agitati. Mio padre era sicuro che fuori in giardino ci fosse qualcuno, si alzò e con un bastone in mano andò a vedere ma non notò nulla di anomalo. Ciò nonostante mia madre rimase molto tesa per parecchio tempo. Cosa sentirono? Io non udii nulla di particolare. E se anche così fosse che collegamento ci può essere con ciò che sta succedendo adesso? E soprattutto, cosa sta succedendo adesso?
“Non lo so. Non lo so cosa sta succedendo Walter” disse Lucio sconsolato, mentre nel giardinetto di casa Rambaldi aspettavano l’arrivo di Miriam con l’auto. “E’ tutto così…irreale. Non è solo per gli omicidi o le disgrazie. Sembra che tutti abbiano paura di tutto.”
Walter lasciava parlare il suo amico senza interromperlo e senza prendere una posizione sull’argomento.
“Io stesso, e sai che non sono un tipo impressionabile, ho avuto una paura folle sabato scorso. Ti ho detto che ero andato a pescare, no? Di solito viene Beppe con me, ma era appena tornato dalle Canarie ed era troppo stanco. Sono andato da solo. Erano le cinque o poco più e l’alba non si intravedeva ancora quando all’improvviso tutti gli uccelli hanno smesso di cinguettare. Un silenzio mai sentito a quell’ora del mattino, una cosa innaturale, come se in giro ci fosse una belva feroce, e tu sai che da queste parti al massimo ci può essere un cinghiale o qualche volpe; e io sentivo una forte sensazione di pericolo e l’ho sentita per almeno cinque minuti. C’era qualcuno, magari lo stesso qualcuno che uccide gente da queste parti. Forse erano più persone per riuscire a spaventare un intero bosco e forse…forse l’ho scampata bella.”
Salirono sulla Twingo di Miriam e si avviarono al solito bar. Quella sera all’Arlecchino Walter giocò molto a biliardo. In doppio con Lucio vinsero in agilità le prime due partite, un po’ meno agevolmente la terza, poi persero in modo netto la quarta. Dopodiché Walter passò la mano: sentiva di aver perso la concentrazione. Poco dopo arrivarono Sonia e Claudio. Lei questa volta sembrava più di buon umore rispetto alle occasioni precedenti, addirittura quasi euforica mentre raccontava il loro soggiorno a Parigi.
ComeWalter già sapeva, Kris era là con le amiche. Lo abbracciò con grande affetto e volle andare lei stessa a prendergli da bere. Walter si sentiva strano, per tutto ciò che era successo il giorno prima, certo, ma anche per gli umori che sentiva nella gente, per il racconto di Lucio, per quell’incontro pomeridiano e forse anche per la presenza di Sonia, che ogni tanto lanciava le sue solite occhiate furtive, soprattutto mentre Kris gli era attorno. Pensò a come sarebbe stata una discussione con lei riguardo la fine della loro storia. Un dialogo immaginario iniziò nella sua mente.
Sonia: Te l’ho detto, ero in crisi in quel periodo.
Walter: Eri in crisi o la tua crisi era dovuta a me? Fa una certa differenza. Preferirei che me lo dicessi con onestà.
Sonia: No, il problema era mio, ma forse qualcosa fra noi due non andava poi così bene se è finita così.
Walter: Se è finita così è perché uno dei due ha cominciato ad allontanarsi dall’altro.
Sonia: Avresti potuto provare a starmi vicino.
Walter: Non è facile stare vicino a qualcuno a cui non va mai bene niente.
Sonia: Lo so, ti posso capire.
Sarebbe veramente andata in quel modo se ne avessero parlato? O era solo una proiezione creata dal suo punto di vista? E poi lei ora stava con un altro e magari quella storia per lei era già figlia di un passato remoto.
Quella domenica sera il tempo cominciò veramente a guastarsi. Una perturbazione in arrivo dal Nord Europa aveva causato il primo sbalzo climatico in vista dell’autunno. Ciò a circa 1200 metri di altitudine significava già doversi coprire bene di notte. Walter aveva deciso di rientrare il lunedì mattina e di passare la notte a S.Clara per non viaggiare col buio. Un po’ tutti quella sera gli fecero domande sull’esperienza del giorno precedente, seppure con la dovuta discrezione.
Più tardi Walter notò che tutti avevano fatto particolare attenzione a rincasare almeno in due alla volta.
Fu Lucio ad accompagnarlo sotto casa. Raccomandò a Walter di chiudere bene le entrate.
Walter udì l’auto avviarsi e allontanarsi piuttosto celermente. Era quasi l’una quando uscì dal bagno e si infilò nel letto, questa volta senza Kris, rimasta a dormire a casa propria in compagnia di Morena.
Ripercorse con la mente i vari momenti di quella strana giornata, senza peraltro che i suoi pensieri prendessero una piega precisa; poi le palpebre diventarono pesanti e spense la luce.
9.
La camera era ancora avvolta nel buio quando gli occhi di Walter si spalancarono all’improvviso. Cercò di inquadrare la striscia di luce lunare proveniente da dietro le tende che coprivano la finestra. Piano piano i contorni della stanza si fecero più distinti. I muscoli erano tesi in tutto il corpo ed il battito cardiaco era piuttosto alterato. In quello stato di agitazione non si rese nemmeno conto del lieve strato di sudore freddo sulla fronte. Era stato un brutto sogno dovuto alla quattro formaggi un po’ pesante o qualcosa lo aveva svegliato?
Non aveva idea di quanto tempo fosse passato e non gli sembrava nemmeno di aver dormito, quantomeno non profondamente. Avrebbe voluto vedere l’orologio, ma preferì non accendere la luce. Tese l’orecchio per sentire eventuali rumori provenienti dall’atrio sottostante ma non udì nulla di strano. Tuttavia l’idea che qualcuno, ladri o peggio, potesse essere penetrato in casa sua gli suggerì di alzarsi in punta di piedi e sgattaiolare fino alla porta della camera che, per una vecchia abitudine, aveva tenuto chiusa. Aprì lentamente uno spiraglio e sbirciò nel buio dell’ingresso. Ormai le pupille erano diventate come quelle di un felino. Quando fu sicuro che non vi fosse pericolo si avviò lungo il corridoio, sempre con l’accortezza di evitare ogni rumore. All’angolo avrebbe potuto sbirciare l’atrio dalla cima delle scale e sincerarsi che non vi fosse effettivamente nessuno.
Così fu e dopo un paio di minuti, quando si sentì sicuro, si fece coraggio e accese di scatto la luce. Nessuno. Nessun segno di effrazione o tracce del passaggio di qualcuno. D’altronde perché allarmarsi tanto? In fin dei conti niente poteva lasciar pensare che la sua dimora fosse stata violata. Eppure c’era qualcosa…qualcosa che gli segnalava una situazione di pericolo. L’odore! Ecco cos’era. Quel dannato odore che ogni tanto sentiva in giro per il paese.
Dalla grande finestra nel soggiorno vide le fronde degli alberi muoversi per un improvviso e violento colpo di vento, poi più nulla. Anche l’odore era sparito, come se quella ventata se lo fosse portato via.
Senza un preciso motivo, si sentì più tranquillo e decise di tornarsene in camera. L’orologio segnava le quattro e un quarto. Faticò a riaddormentarsi poi la stanchezza prese lentamente il sopravvento sulla tensione e crollò.
Al mattino si svegliò abbastanza presto e non del tutto riposato. Solo davanti alla tazza di caffelatte collegò quanto accadutogli al racconto di Kris. Per scrupolo ricontrollò ogni angolo della casa, compresi gli esterni, incurante del tempo che così sottraeva al lavoro. Verso le nove e mezza salì sull’auto, pensieroso.
Stranamente avrebbe preferito trovare qualcosa che giustificasse l’agitazione di quel risveglio, un tentativo di scasso o un vetro infranto. Almeno avrebbe avuto una ragione per prendere qualche precauzione e per non sentirsi uno che ha paura del nulla. Le sensazioni raccontate da Kris e Morena, quelle di Lucio, così simili alla sua, e le considerazioni volutamente incomplete di Soldani vagavano senza meta nel suo cervello. Era appena arrivato al ponte sul lago che separava S.Clara dalla provinciale per Verbania quando si fermò. Deecise di riferire l’accaduto a Soldani. In fondo avrebbe tardato al massimo di una mezz’ora il rientro.
Walter parcheggiò l’auto di fianco alla casa dell’anziano insegnante e suonò il campanello un paio di volte. Nessuna risposta. Una voce lo interpellò dalla villetta adiacente:
“Chi cerca, scusi?” chiese con tono falsamente cordiale la signora con il volto appena affacciato dalla finestra.
“Cerco il signor Soldani. Sa se è in casa?”
“No. Non c’è. E’ uscito presto stamattina. Di cosa aveva bisogno?” domandò òa donna, in un tono al tempo stesso duro e timoroso.
“Niente. Volevo solo salutarlo, ma non importa. Grazie.”
La vicina continuò a sbirciare con aria sospettosa da dietro la finestra finché l’intruso non fu ripartito. Il cellulare di Walter suonò evidenziando la scritta NEGOZIO. Era Fabio che, non vedendolo a quell’ora, chiedeva istruzioni per una consegna molto importante.
10.
“Don Mario, allora io vado.”
“Certo Cesare, vai pure e salutami la tua mamma, mi raccomando.”
“E’ sicuro di non avere bisogno di me?”
“Stai tranquillo. Vai e non ti preoccupare.”
Il fedele aiutante del parroco uscì dalla porta secondaria verso le 9.30 di quel martedì mattina. Stava bene con Don Mario, quando aveva bisogno di un paio di giorni per andare a trovare l’anziana madre a Vercelli non c’era nessun problema. L’importante era non lasciarlo solo di domenica o in un giorno festivo, quando la maggiore affluenza dei fedeli rendeva assolutamente necessaria la presenza di un’altra persona.
Dopo aver pregato per una buona decina di minuti in ginocchio davanti all’altare, Don Mario si avviò verso la sagrestia per consultare un libro liturgico. Si era ricordato di un bellissimo passo del Vangelo secondo Giovanni e pensava di riproporlo per la prossima omelia, ma aveva bisogno di rinfrescarsi la memoria. In quel momento il pullman per Verbania partiva da Piazza Centrale con Cesare a bordo.
Il prete aveva appena messo piede in sagrestia quando un rumore in fondo alla navata richiamò la sua attenzione. Nel voltarsi notò un movimento sotto il telo color porpora che rivestiva il confessionale. Si diresse verso di esso e verso colui che immaginava essere un fedele bisognoso di liberarsi dei propri peccati. Non gli riuscì di capire perché quella persona si fosse infilata sotto il telo senza dirgli nulla. Forse pensava di trovare qualcuno dentro anche con la chiesa completamente vuota?
“Ha bisogno di confessarsi?”
Non ebbe risposta. Il telo si gonfiò leggermente per un istante, come per uno sbuffo di vento. Avvicinandosi Don Marioavvertì nelle narici odore di…di cosa? Non sapeva proprio a cosa accostarlo. Una sensazione di disagio si impadronì di lui. Ripeté la domanda con voce malferma.
“Deve confessarsi, scusi?”
Non udendo nulla allungò la mano sul telo e lo scostò. Vuoto. Nessuno era dentro il confessionale. Eppure era sicuro di aver visto un movimento ben preciso. Si guardò attorno con ansiosa perplessità. Sentì un’improvvisa ventata alle sue spalle. Prima che potesse girarsi il pesante candeliere quasi colmo di candele accese gli si rovesciò addosso. La giacca prese fuoco con una rapidità incredibile, come se qualcuno l’avesse cosparsa di alcool.
“Oh, Signore!”
Il prete cercò di non perdere la calma e di levarsi la giacca ormai ridotta a una torcia, ma le fiamme avevano già intaccato buona parte del gilet e della camicia. Corse verso l’uscita, qualcuno l’avrebbe visto e avrebbe cercato di spegnere le fiamme sulla sua schiena già gravemente ustionata. Il bruciore era terribile. Nel precipitarsi inciampò in una panca stranamente non allineata con le altre e cadde. Le fiamme su di lui si trasmisero anche alla panca di legno e le lingue di fuoco cominciarono a innalzarsi e a devastare anche il resto del suo corpo. Cercò di sollevarsi, ma si sentiva venir meno. Provò a trascinarsi. Il corpo non gli rispondeva più.
“AAAHHHH!!!!!!” Cominciò ad urlare. Dopo due minuti perse conoscenza e chiuse gli occhi, per sempre. Poco dopo il fumo cominciò a uscire dalla chiesa e qualcuno accorse.
11.
Erano le sei del pomeriggio quando Kris comunicò a Walter la notizia dell’incendio nella chiesa. Don Mario era ricoverato all’Ospedale di Groppiano in gravissime condizioni. I medici disperavano che potesse salvarsi.
“Quando sono entrati in chiesa era già avvolto dalle fiamme. Ma cosa diavolo sta succedendo qui? Non è possibile una cosa del genere” disse con un misto di rassegnazione e paura.
“Lo so, è tutto incredibile. Pensa che ci eravamo parlati tre giorni fa. Non so che dire. E’ proprio vero: troppa sfortuna, ci dev’essere qualcosa sotto.
Verso sera, quando ebbe finalmente un attimo di tempo, Walter consultò l’elenco del telefono e rintracciò il numero di Soldani.
“Immagino sappia anche lei di Don Mario.”
“Ero in ospedale due ore fa. Il medico aveva appena firmato il certificato di morte. Piuttosto strano che tutto sia successo proprio pochi minuti dopo che Cesare era uscito.”
“Non mi dirà che sospetta di lui?”
“Di Cesare? Oh, no, non volevo dire questo. Intendevo dire che è una coincidenza quantomeno singolare che tutto ciò sia successo appena Don Mario si è ritrovato da solo.”
“Pensa che qualcuno gli abbia dato fuoco?”
“Ho parlato con un poliziotto mentre ero là. Sembra si tratti proprio di uno sfortunato incidente.”
“Ma lei non ci crede, vero?”
“Mah, nessuno è stato visto aggirarsi nei dintorni della chiesa né prima né dopo il fatto. E intorno ci sono molte case.”
“Quindi cosa conclude?”
“Concludere? Non sta a me farlo e probabilmente non ci riuscirei con cognizione di causa. Cambiando discorso: la mia dirimpettaia ha detto che uno sconosciuto mi ha cercato. La descrizione le calzava a pennello.”
“Ero io, infatti.”
Il racconto di Walter fu breve e preciso.
“Ciò che lei ha provato o sentito ieri notte pare sia successo un po’ a tutti qua in giro. Credo…che dietro ci sia un pericolo reale. Così reale da essere percepito da i nostri sensi in maniera quasi istintiva, animale.”
“Non so perché, ma quando parlo con lei ho l’impressione che sappia più cose di quanto non voglia mostrare. O sbaglio?”
“Anche questo è un particolare che lei rileva grazie a un istinto” rispose Soldani con quel tono di voce sempre ermetico. “Può darsi che anch’io abbia qualche buona intuizione, ma quando si parla di omicidi ci vogliono prove tangibili. Dica la verità: tutta la situazione la incuriosisce molto, vero?”
“Sì, infatti. Credo che ci sia un collegamento tra i fatti dell’estate del 1978 e quelli che stanno succedendo adesso. Non so quale, ma sono convinto che ci sia. Ma forse lei preferisce non interessarsene.”
“Non è così. E’ mia opinione, però, che la vicenda debba essere studiata senza preclusioni di alcun genere. Uscendo dagli schemi, valutando anche le ipotesi più irrazionali. Lei crede di avere abbastanza elasticità mentale? Voglio dire: per guardare le cose anche da punti di vista non convenzionali?”
“Mah, sì, credo di sì almeno.”
“Quando pensa di ripassare di qui?”
“Nel fine settimana probabilmente.”
“Riuscirebbe a fare un salto qui prima, magari una sera? Così potrò mostrarle alcune cose e approfondire l’argomento con lei.”
“Potrei forse mercoledì sera. La chiamerò per conferma.”
“D’accordo, faccia in modo di venire. La saluto.”
12.
Kris spinse la porta in avanti quasi senza aver finito di girare la chiave nella toppa e la richiuse immediatamente. Dopo un sospiro per tirare il fiato per la lunga corsa si mise alla finestra a guardare con gli occhi sbarrati. Niente. Non si vedeva nulla. Non si vedeva ma…SI SENTIVA! Lo aveva sentito dall’inizio del viottolo strusciare fra i cespugli e avvicinarsi. Era tesa come una corda di violino e se qualcuno o qualcosa si fosse mosso alle sue spalle probabilmente sarebbe svenuta. Fuori il vento si era alzato di intensità.
“Quanto tempo fa è successo?” chiese Walter allarmato.
“Circa mezz’ora” rispose lei all’altro capo del telefono.
“E non hai chiesto aiuto a nessuno?”
“Non avrei saputo cosa dire. Magari era solo una grossa biscia. Non è detto che fosse un’uomo. Appena mi è passata la paura mi sono infilata le scarpe da tennis e sono corsa in paese per stare in mezzo alla gente.”
“E adesso cosa conti di fare?”
“Tra poco sarà ora che torni al lavoro. Poi stasera non so. Ho paura di tornare a casa. Dio, Walter, mi sembra di diventare pazza.”
“Senti: io stasera devo passare di lì per parlare con una persona. Quando arrivo ti telefono. Magari tu aspetta in un bar, ok? Verso le otto sarò lì.”
“Hai sentito dei bimbi morti avvelenati?”
“Sì, l’ho letto sulla cronaca locale; la seguo tutti i giorni ormai.”
“Mia sorella conosceva la madre. E’ disperata. E per di più sospettano di lei.”
Attese un paio di secondi per trovare le parole giuste. “Cerca di non pensarci e non perdere la calma. E soprattutto non rimanere mai da sola.”
“Va bene, ti aspetto.”
Walter passò l’intero pomeriggio in stato di agitazione, senza riuscire veramente a concentrarsi sul lavoro. L’idea che Kris potesse essere in pericolo orbitava intorno a lui. Ricollegò istintivamente il racconto di lei alle sue paure di bambino: la fuga a perdifiato dallo sciame indispettito e quella dall’enorme biscia.
Erano circa le 19,45 di mercoledì 14 settembre quando parcheggiò di fronte al Bar Centrale, quello da dove partivano i pullman per ogni direzione.
Kris era seduta a uno dei tavolini con accanto l’inseparabile Morena.
“Con chi hai detto che devi parlare?”
“Con quel tale che ho conosciuto sabato scorso, ma appena finito ti chiamo al cellulare.”
“Rimani qui stanotte? Morena ha dei parenti a casa e poi non voglio approfittare sempre di lei” disse, mentre la sua amica era al bagno. “In fondo non posso scomodare sempre tutti per ogni piccolo timore.”
“Se qualcuno ti seguiva di nascosto non è un piccolo timore, soprattutto di questi tempi e da queste parti.”
“Ma in fin dei conti non ho visto nessuno. Forse ho esagerato, magari sono un po’ esaurita. Adesso Morena mi accompagna da mia sorella, ceno con lei e poi ti aspetto.”
“Se faccio tardi ti mando un messaggio. Sei un po’ più calma ora?”
“Adesso sì. Ti voglio bene.”
Si abbracciarono, poi Walter le lasciò l’indirizzo di Soldani per ogni eventualità.
(6-CONTINUA)