di Anselmo Cioffi
[Avevamo già presentato ai nostri lettori il corrusco romanzo di Alan D. Altieri Magdeburg: L’eretico, primo di una trilogia sulla Guerra dei Trent’anni che si annuncia possente. Non riteniamo superfluo tornarvi sopra, con questa ampia recensione di Anselmo Cioffi, a uso dei ritardatari. Questi sono ancora in tempo a rimediare…] (V.E.)
Hieronymus Bosch, vissuto a cavallo tra Medioevo ed Evo Moderno, è il pittore che a mio parere incarna meglio lo spirito visionario e decadente di queste due epoche, quello che al senso incombente di catastrofe, unisce la dimensione confusa e violenta in cui l’uomo si viene a trovare, la diffusa perdita di identità. Azzeccatissima quindi la scelta di aver posto a copertina di questo libro l’immagine tratta da un particolare dell’anta di destra del Trittico del Fieno, una delle opere più suggestive del grande maestro fiammingo. Particolare dedicato alla costruzione dell’Inferno, ma un Inferno che ha tutte le apparenze di essere molto terreno.
Quali siano le differenze sostanziali tra le due epoche non sta certo a me stabilirlo, che comunque ci sia una certa continuità logica, ideologica e filosofica è difficile poterlo negare, questo in barba al Rinascimento, che tale è solo per alcune espressioni umane e solo per un elite più colta e più ricca. Saranno l’Illuminismo, prima, e la Rivoluzione Industriale, poi, che metteranno fine forse, ma non in maniera definitiva, a questa continuità storica. Un secolo – il XVII, nel quale è ambientato il romanzo – in cui ancora non era stata scoperta perfino la circolazione sanguigna, come lo stesso Altieri ci ricorda alla fine nei ringraziamenti.
La Guerra dei Trent’anni (1618 – 1648), che fa da sfondo e da protagonista principale al romanzo di Altieri, è uno degli esempi più eclatanti di tutto ciò. In pieno Seicento molto ancora, nella sfera del potere e in quella ideologica religiosa, doveva essere fatto per procedere verso un cammino di innovazione, e questo avvenimento incarna conseguentemente la contraddizione storica più evidente del periodo, quella da cui prenderà avvio il nuovo assetto politico e sociale dell’Europa stessa.
Ma la Guerra dei Trent’anni è anche e soprattutto, in questo contesto storico, il simbolo di quanto la guerra, come ripetuto più volte nelle pagine del libro, sia eterna. Sia cioè diffusa nelle relazioni umane, nelle dinamiche di potere e in quelle ideologiche. Ma che eterna lo sia soprattutto per chi la guerra la subisce, per le masse dei diseredati e dei reietti. Eterna, allora come oggi. E poco importa che sia una guerra di religione, anche se in definitiva è fondamentale che lo sia, perchè dietro l’apparente odio ideologico, gli attori veri sono sempre gli stessi: il potere e l’economia.
Magdeburg – L’Eretico è il primo volume di quella che nelle intenzioni dello scrittore sarà una trilogia sulla Guerra dei Trent’anni e sin dalle prime tre pagine, dal primo capitolo, quello che ci coglie è come un pugno nello stomaco: veniamo precipitati in un’atmosfera malsana, mortifera, oscura e gotica, che ci accompagnerà per il resto del romanzo. Ma, a conferma di quanto dicevo più sopra, si ha netta la sensazione, in questo breve ma folgorante incipit, che quello di cui siamo spettatori non sia avvenuto solo in un’epoca ben precisa e che sia invece il luogo ben noto del regno della guerra, a prescindere da epoche e luoghi.
La vicenda si svolge per lo più in Turingia e in Sassonia, nel cuore della Nazione Germanica e del Sacro Romano Impero degli Asburgo. Le guerre di religione causate dalla Riforma Luterana, dallo Scisma e dalla Controriforma, trovano il loro apice appunto nella Guerra dei Trent’anni, guerre che a parte l’effimera Pace di Augusta, voluta dai potenti e subita dal popolo, non hanno mai smesso di insanguinare l’Europa. Ma si svolge anche a Mgdeburg, città luterana, baluardo della nuova fede, posta a nord dell’Impero Asburgico.
E’ un sogno di potere quello che muove i singoli signori della guerra e non la libertà di culto, che riguarda solo loro e non i loro sudditi, costretti a conformarsi alla coscienza del proprio padrone. Ed è un delirio visionario di onnipotenza quello che muove uno dei protagonisti principali del romanzo di Altieri, a cui si contrappone un disilluso senso di giustizia da parte del suo antagonista.
Un romanzo storico superbo, dalle tinte molto intense, di quelli che solo una nuova genia di scrittori italiani sanno scrivere: Wu Ming ed Evangelisti su tutti. Estraneo ad annacquamenti e ad artifici atti a rendere digeribili eventi altrimenti ritenuti poco letterari. Un romanzo di una crudezza a volte esasperante, con un linguaggio che potrebbe apparire in alcuni momenti fuori luogo, ma che, pensandoci bene, fuori luogo non è. Un libro non adatto a tutti i palati, in cui il rosso del fuoco e del sangue e il nero delle tenebre e della peste la fanno da padroni, richiamando ancora una volta i colori del dipinto di Bosch.
Non si inganni il lettore più esigente e più avveduto, non si tratta dell’ennesimo tentativo di seguire una tendenza che oggi gode a livello editoriale di molte fortune, e sorta solo per esigenze puramente commerciali. Cioè quella tendenza vuota che pretende di essere mossa dalla ricostruzione storica e ci propina solo paccottiglia, fatta di misteri dei Templari, di cabale e cabalisti, di complotti metastorici, senza alcun nesso evidente né un riscontro reale che possano essere definiti minimamente attendibili. Quei prodotti che si distinguono per la loro mediocrità letteraria, con uno stile che non può nemmeno essere definito tale.
Un romanzo storico a tutto tondo e di un autore che però non disdegna la definizione di scrittore d’azione, dove quindi l’elemento avventuroso ha uno spazio molto ben definito e dove il taglio gotico è marcatamente presente nella resa di alcune situazioni e di alcune figure, che possono apparire quasi una concessione al fantasy e che invece sono un ulteriore omaggio al più volte da me citato pittore fiammingo. Situazioni e figure senza le quali non sarebbe stato possibile rendere con una tale efficacia l’atmosfera e la percezione della reltà che si aveva all’epoca.
Altieri è bravissimo, non c’è mai un momento di stanca nel suo romanzo, il ritmo è serratissimo e in ogni momento della storia mantiene alta la tensione anche solo con la pura descrizione di paesaggi, luoghi, situazioni e persone. Si viene avvinti in una spirale di parole, eventi, fatti, colpi di scena e si resta completamente esterrefatti di fronte a tanta capacità narrativa e a tanta fantasia.
Magdeburg – L’Eretico potremmo considerarlo benissimo anche un romanzo contro la guerra, ma sarebbe purtuttavia una definizione un po’ troppo superficiale. La crudeltà, l’efferatezza, l’ineluttabilità, l’eternità della guerra, come viene dipinta nel romanzo, ne fanno più che altro un’opera di un pessimismo assoluto, a prescindere dalle vicende dei personaggi stessi. Ma sono anche ben definite le cause che stanno a monte della guerra: essa non è certo dovuta a motivi legati alla natura umana, ma a dinamiche strettamente storiche.
La meticolosità con cui vengono ricostruiti lo sfondo e l’ambientazione è davvero ammirevole. Ma Altieri non si accontenta di ciò. Affida a un personaggio in particolare il riassunto degli eventi dell’epoca, accompagnando ancor più il lettore in un viaggio affascinante e mai banale nelle profondità della Storia.
Decisamente uno dei libri milgiori del 2005. Affermo ciò con maggiore soddisfazione costatando che molta della letteratura italiana odierna, che in qualche modo si vuole di genere, non ha nulla da invidiare al resto della letteratura internazionale. Il fatto che Altieri possa essere benissimo definito un grande artigiano, anche se non sarei del tutto d’accordo, non sminuisce affatto le sue capacità e a noi non resta altro che sperare che non passi troppo tempo per leggere il resto di questa trilogia.