di Giuseppe Genna
Ci siamo. Ciò che era preconizzabile, si appresta a realizzarsi anche in questa desolata landa che altrove abbiamo ciclicamente definito un Paese di merda. Dunque sulla scorta delle analisi delle intelligence occidentali tutte, risultando inevitabile un attentato in Italia delle dimensioni di quelli consumati a Madrid e Londra, si alza qui da noi un coro di voci interessanti a chiedere l’applicazione di leggi speciali e, addirittura, dello stato di guerra. I coristi più acuti sono l’eterno ex ministro ed ex presidente Francesco Cossiga e il per nulla eterno ministro Roberto Calderoli. Voci stonate? Non tanto, secondo l’estensore di questo intervento. Bisognava pensarci prima. E’ proprio il caso di ufficializzare lo stato di guerra, se questo popolo, che si affligge perché può andare sul bagnasciuga riccionese solo con le cambiali, ancora non si è accorto che in guerra ci siamo, e attivamente, dal 2001. Abbiamo soldati in Afghanistan e divisioni in Iraq, a seguito delle scriteriate reazioni dell’amministrazione Bush ai massacri dell’11 settembre. Non so se ve ne siete accorti: siamo davvero in guerra.
Cossiga sa, poi, quel che dice: è l’uomo delle leggi speciali in Italia. Ha esperienza. Si dice che il terrorismo italiano è stato sconfitto dal protocollo che portò il suo nome. Sa cosa possiamo fare noi italiani e sa come non farcelo fare. Per esempio: la strage di Bologna. Per ora, più morti delle quattro bombe londinesi. Italians do it better. Abbiamo i nostri motivi di orgoglio nazionale, noi.
Qualcosa, tuttavia, sembra preoccupante nell’invocazione di simili emergenze legislative, e non soltanto perché è l’ex “ministro K” ad avanzare la proposta. C’è, soprattutto, il fatto che abbiamo un premier che si chiama Silvio Berlusconi. Quante volte si è gridato al lupo, dipingendolo come un dittatore, quando l’amara verità è che si tratta di un leader democratico eletto dalla maggioranza degli italiani? Certo, abbiamo molti motivi per denigrarlo e preoccuparci: è un esteta brianzolo circomfuso da un fumus processuale inquietante, uno che fu iscritto alla loggia di Licio Gelli – ma il punto è che che questo imprenditore che ha fatto, chissà come, tanti dané, agli italiani piace. Lo hanno spedito a Palazzo Chigi non una, bensì due volte. Non era davvero il caso di dire che si trattava di un apostata della democrazia, uno che aveva stracciato il già fragile legame repubblicano a colpi di controllo mentale televisivo, aderendo alle più incredibili cosche parlamentari della cosiddetta Prima Repubblica. Molti censori di destra urlavano sopra chi urlava che Berlusconi metteva a rischio la democrazia. Ebbene, con l’eventuale proclamazione delle leggi speciali, il premier diventerebbe non forte, ma fortissimo. Cosa significheranno simili provvedimenti di urgenza? Sospensione delle elezioni? Polizia politica? Revanscismo razzista? Una soffusa pulizia etnica? Improbabile ma – si colga bene questo punto – non più impossibile. Una democrazia in stato di emergenza non è più una democrazia. La legalità sospesa in certi àmbiti annulla l’idea stessa di una legalità garantita dal controllo democratico. Diciamo che certi giudici stanno sul gozzo al premier – cosa può succedere nel momento in cui egli può disporre di un potenziale di intervento che esula dalle norme democratiche? E’ più facile con o senza leggi speciali eliminare avversari politici e tacitare l’opposizione?
Del resto, la strategia antiparlamentare e antidemocratica è più che esplicita, nelle palmari e idiolettiche parole dell’attuale ministro per le Riforme, Roberto Calderoli, uno dei vessilliferi della Lega sopravvissuti all’oscuro collasso cardiocerebrale di Umberto Bossi. Calderoli, non pago di avere proposto l’introduzione del calderolo al posto dell’euro, in quel contesto volkisch e paramilitare che è la pittoresca adunata di Pontida, ce l’ha fatta a svolgere un autentico sillogismo, mentre avanzava l’idea della conclamazione dello stato di guerra. Dice il Calderoli che, proposte in Parlamento, queste benedette leggi speciali sicuramente non passerebbero, perché l’opposizione farebbe muro. E allora perché non dichiarare direttamente lo stato di guerra? Così non bisognerebbe consultare deputati e senatori per indire leggi di emergenza! Eureka! Neanche Etabeta. A cosa serve la democrazia? E’ una lungaggine! Che palle il Parlamento! Che storia demodé questa roba della rappresentanza! Perché non passare direttamente alla monarchia? E’ molto più agile! Perché addirittura non fare richiesta per diventare il 53° stato degli USA? Cos’è questa ipocrisia che l’Italia avrebbe potere di decisione, quando è chiaro che facciamo quello che vuole Bush ormai non più jr? Perché l’euro, quando possiamo utilizzare il dollaro come moneta nazionale (questa, davvero, Calderoli l’ha proposta nei giorni scorsi)?
La sospensione, seppure temporanea (già, ma temporanea fino a quando?), dell’ordine di legalità democratica è uno degli stadi che preludono storicamente alla dittatura. Se uno compie un cortocircuito tra le Torri Gemelle e il verde paramilitare di Pontida, ha precisa la situazione dell’incendio autoprocurato al Reichstag e delle frange dei corpi franchi targati NSDAP. E’ tutto inquietante e ridanciano, secondo il costume italiano. Del resto, siamo una nazione che ha pensato di permettere a un pelato romagnolo di imitare l’impero dei Cesari, con tanto di bizzarre parate e simbologia non distante dai giuramenti pagani e dalle ampolle di acqua sacra.
Sia poi chiaro che le leggi speciali, anche ammesso (ma, davvero, non concesso) che abbiano avuto questa rilevanza decisiva nello sconfiggere le BR e il terrorismo italiano, non possono esercitare alcuna efficacia nella situazione in cui si trova l’occidente minacciato da attentati di matrice islamica. C’è una differenza enorme, di quantità e qualità, tra un terrorismo nazionale e un terrorismo internazionale. La circolazione di esplosivo, agenti operativi, agenti in sonno, armi, piani e comunicazioni non è assolutamente confrontabile con quella (topica e predigitale) di cui brigatisti e NAR si trovavano a disporre. Da pochi mesi l’Inghilterra aveva introdotto un pacchetto di leggi speciali, talmente restrittivo delle libertà personali da fare gridare allo scandalo. Abbiamo misurato l’efficacia e i risultati di un simile indirizzo “politico”.
Infine, va detto che ora come non mai si dà che “lo stato d’eccezione è la regola”: la geniale intuizione con cui il filosofo Walter Benjamin rovesciò le oscure profezie di Carl Schmitt. In una simile situazione, con allarmi generalizzati che ormai hanno devastato l’apparato emotivo di intere nazioni (la reazione fredda degli inglesi, dopo le bombe di Londra, è secondo me ascrivibile più all’abitudine a un terrore atmosferico che a un genoma anglosassone), è perfettamente ipocrita sostenere che non si è de facto in un regime di sospensione delle garanzie democratiche. Se un Paese è in guerra e sostiene di essere in missione di pace, ciò è possibile perché lo stato d’eccezione è diventato regola.
Sta a noi ripristinare la regola democratica, e ricacciare l’eccezione nella memoria offuscata delle trascorse dittature.