di Toni Negri
Theatrum politico-oeconomicum: questo potrebbe essere il titolo di questo libro, dove Adelino Zanini ripercorre, attraverso l’analisi del pensiero economico di Adam Smith, di Karl Marx, di Joseph Schumpeter e John M. Keynes, i punti cruciali dello sviluppo dell’economia politica tra il XVIII e il XX secolo (Filosofia economica, Bollati Boringhieri, 24). Per Zanini si tratta della sintesi di una vita di studio – una vita di studio che è stata sempre aperta ad una critica dell’economia politica che andava più in là (raggiungeva l’azione rivoluzionaria) di quanto l’atmosfera accademica permettesse. Due personaggi: il Politico e l’Economico; un coro: le passioni degli uomini. Non è male questa scena, appena metafisica – non alla Salvador Dalì ma alla greca, etico-politica ovvero ontologica, un percorso teatrale vissuto dentro un destino critico i cui attori sono del tutto materiali e i cui capitoli sono quelli della storia del moderno.
Quattro sono, dunque, gli atti del dramma in cui si rappresenta l’incrocio tra il politico e l’economico nell’età moderna e nel suo sviluppo. Il primo atto assume la sovrapposizione del politico e dell’economico in quanto immediatezza del governo delle passioni. «L’attività umana appare generatrice di un nuovo ordine: etico, economico e perciò politico». Adam Smith è l’eroe di questo passaggio: «dalla Theory of Moral Sentiments alla Wealth of Nations la sua profonda revisione del paradigma settecentesco consiste nella sovrapposizione che la teoria articola attraverso una propriety che governa le diverse passioni sociali ed egoistiche. Senza nessuna soluzione di continuità, la sovrapposizione tra etico ed economico si estende così al Politico; per mezzo del lavoro, si definisce una mathesis antropologica ed un ordine sociale superiori sia ad ogni apriorismo materialistico sia ad ogni categorizzazione del Politico come puro dominio». Questa sovrapposizione, che passa attraverso le passioni, ha naturalmente una portata critica: Smith identifica le mediazioni di questo processo nella costruzione di una società civile retta dal prudent man. «Smith è l’ultimo grande autore che riesce a coniugare etico, economico e politico e a dare alle tre sfere una sembianza unitaria» sebbene proprio in questo manifestarsi sociale dell’accordo fra le sfere dell’agire umano si determini la prima irresolubile crisi della società borghese.
L’ospite inatteso
Atto II: è Karl Marx che chiarisce come la fusione dell’etico, del politico e dell’economico non sia tenibile. La differenza consiste nello sfruttamento: meglio, prima nel plusvalore come eccedenza del produrre di cui il capitalista si appropria, in secondo luogo nella differenza creativa che il soggetto proletario introduce nel processo produttivo. Son belle le pagine che Zanini dedica alla percezione marxiana di questa rottura. La differenza non è semplicemente ontologica anche se è fissata dallo sfruttamento su questo livello, la differenza è anche un tratto di incommensurabilità fra le strategie discorsive che si applicano allo sviluppo capitalistico. L’uso che Zanini fa qui del marxiano «frammento sulle macchine» è davvero interessante: in esso egli coglie non semplicemente la dismisura oggettiva del lavoro intellettuale scientifico ma la soggettività degli attori che sono in gioco. La trasformazione di ciò che il lavoro vivo è in quanto attività economica e di ciò che esso è quando diviene soggetto socializzato, classe operaia, è completamente legata alla scoperta del lavoro come soggettività, all’esistenza storicamente inconfutabile di un soggetto che ha sovvertito regole e concetti del politico. Siamo qui al centro del theatrum politico-oeconomicum rappresentato da Zanini: le concordanze mozartiane del «Flauto magico», che ci descrivono la sovrapposizione delle passioni e della storia, sono arrivate a svilupparsi nella drammaticità e nella differenza delle grandi sinfonie beethoveniane.
Con ciò si è solo percorsa la metà di questo libro: già ora è tuttavia il momento di chiedersi perché esso sia così interessante. Perché, dopo aver immaginato il «concetto di società civile» sulla base di una felice sintesi di presupposti passionali, ne ha fin qui aperto il destino al conflitto – cioè ad una articolazione interna sempre più contradditoria, non perché teoricamente attraversata da contraddizioni discorsive ma perché ontologicamente scavata da impossibili soluzioni. Le articolazioni della società civile sono possibili da descrivere quanto le contraddizioni della società civile sono impossibili da risolvere.
(Devo dire che questo discorso a me piace, per una ragione molto semplice ed immediata: quando – nel postmoderno – la società civile diviene concetto così generale da poter essere confuso con la moltitudine, non è forse possibile utilizzare categorie discorsive che permettano di considerare la moltitudine alla stregua della società civile? E’ proprio questo che Zanini mostra come irrealizzabile: la moltitudine è realtà ontologica, rivelazione del mondo dello sfruttamento a partire dal lavoro generale, sociale, percepito come soggettività).
Il terzo atto ci conduce ormai all’interno della società civile matura: qui Schumpeter comincia ad articolare la disgiunzione fra l’etico, l’economico ed il politico. Non solo a disgiungere questi campi di attività ma a coglierne le dinamiche indipendenti (quando per indipendenza, spaziale e/o temporale, si intenda l’autonomia del soggetto imprenditoriale, capitalistico): ora, il capitale si sviluppa su due assi fondamentali, quello della determinazione del mercato monetario (dimensione spaziale) come suo nuovo terreno specifico e quello della fissazione dell’agire innovativo come sua specifica dinamica temporale. Schumpeter ha già interiorizzato la divisione, la disgiunzione del sociale.
Innovare per accumulare
La società civile è completamente ormai scissa fra accumulazione e innovazione. Si tratta per Schumpeter di capire quali possano essere le regole di sfruttamento e di innovazione effettivamente capaci di mantenere nella durata il processo di sviluppo capitalistico. Se sono i fascisti che normalmente assumono questo problema come fondamentale, Zanini qui studia i non-fascisti (nella storia italiana potremmo qualificarli come gli «azionisti»): Schumpeter ora, e poi Keynes. Schumpeter è, ci dice Zanini, il logos stesso dell’economico nella crisi del capitalismo maturo. Egli cerca di rifondare il capitalismo riconducendone, oltre la crisi economica, il destino al paradigma dell’imprenditore innovativo. (Ma l’imprenditore, nella definizione schumpeteriana, è forse ormai tragicamente condannato all’impossibilità di ricomporre il mondo).
Atto IV: John M. Keynes, ovvero di una nuova sintesi tentata in nome della società civile. Una sintesi questa volta costruita a partire dalla completa presa di coscienza della crisi dell’economia politica, dall’incertezza che ne deriva per i comportamenti e lo sviluppo delle passioni borghesi e dalla necessità conseguente di mantenere il capitalismo imponendogli una norma politica. La norma politica è ormai diventata, e riconosciuta, come l’elemento interno, fondamentale per il mantenimento e la riproduzione del sistema capitalistico. Il biopolitico si fa biopotere. Zanini segue in maniera estremamente articolata il rapporto che si stende fra presupposti metodologici (probabilistici e decisionali) e categorie economiche a partire dalle quali la ricostruzione dell’equilibrio è a Keynes possibile attorno ai parametri fondamentali della normazione: moneta e Stato. Siamo ormai interamente entrati sul terreno delle convenzioni (nei rapporti politici, di forza fra le classi sociali), non c’è più possibilità di considerare l’economico ed il politico come separati (ma sicuramente sono separate le dimensioni e i riferimenti di classe dell’economico e del politico, nonché la soggettivazione degli attori).
(Nell’atto III e nell’atto IV abbiamo seguito il passaggio da Gustav Mahler ad Arnold Schönberg. Queste sono le musiche che qui risuonano.)
Che dirvi di questo libro? Innanzi tutto che è utile. E’ cioè un libro che centra gli argomenti ed i passaggi cruciali dell’economia politica e della politica economica nei secoli della maturità capitalistica e ne riorienta la valutazione. Dal punto di vista scientifico è un libro di una finezza estrema: se la bibliografia vi sembra ingombrante, guardatela con attenzione, è sempre una bibliografia sottilmente ragionata e vi conduce su sentieri che hanno senso e fine. Non è Google. Ma in secondo luogo, questo libro è importante perché, nel costruire il rapporto tra «Politico» ed «Economico» nel contesto delle passioni dell’uomo (e delle critiche e delle disgiunzioni e delle sintesi possibili) pone un problema futuro. Presente e «a-venire».
Zanini ha curato, assieme a Ubaldo Fadini, il Lessico postfordista (Feltrinelli), un testo che annunciava la crisi delle categorie del moderno (da Mozart a Schönberg, tutta insieme questa musica) e che apriva al … postmoderno? Io non so: può essere il postmoderno, ma possiamo anche chiamarlo altrimenti, purchè si seguano le due linee che Zanini indica.
L’impossibile società civile
La prima: dal punto di vista metodologico consiste nel considerare l’economico non come indipendente né come succube del politico ma senz’altro come biopolitico. La crisi delle categorie del moderno ci porta a ricomporre i personaggi del sociale sul terreno biopolitico, ovvero nella sintesi realizzata delle varie dimensioni (passionali) che percorrono l’incontro (lo scontro) del politico e dell’economico. Certo è che una storia strana, perversa ma efficace, quasi una teleologia negativa, ha distrutto ogni possibilità di mantenere l’ipotesi della «società civile» come fulcro dell’analisi sociale, nel mentre fissava come irreversibile l’insieme vitale delle potenze produttive. E’ qui, nel contesto dell’analisi di Zanini, che si può cogliere l’estrema importanza di un discorso metodologico alla Foucault: un paradosso certamente, che distrugge l’oggetto e propone un soggetto scisso ma attivo. Di quale rilevante intensità comunque!
Dal punto di vista politico, il percorso di Zanini è ancora più significativo. Distruggendo, dal di dentro dello sviluppo dell’economia politica, il concetto di «società civile», egli implicitamente conclude all’affermazione di consistenza di un «comune» scisso dal potere capitalistico, eppure agibile dal punto di vista delle passioni di libertà. Il concetto di moltitudine si sovrappone qui, fracassandolo, a quello di società civile. La scienza dell’economia politica si è, nel suo corso, trasformata in agire della politica economica: questo agire lascia libero il terreno per una presenza attiva e propositiva dei soggetti della moltitudine. Nelle sue scissioni e disgiunzioni la politica economica si apre alla «militanza del comune», cioè ad un nuovo terreno di azione per la politica economica. Questo libro, portandoci al livello della critica matura dell’economia politica, ci fa capire che una macro-economia democratica non potrà mai essere ridotta alle ingenue battute e illusioni della democrazia partecipativa. Quello che si esige qui, a partire da questo passaggio, è una teoria dell’esercizio del potere da parte delle moltitudini, ovvero, per dirla semplicemente, un «esercizio del comune».
Grazie a Zanini per averci criticamente introdotto a questa problematica, mai come oggi tanto attuale. (E per chi volesse, avendo bisogno di una giustificazione metafisica, ripercorrere i passaggi critici fin qui indicati, c’è la possibilità di farlo: basta leggere, di Adelino Zanini, Retoriche della verità [Mimesis, 2004], libro deleuziano a detta dell’autore, ma probabilmente altrettanto schumpeteriano e keynesiano di quello qui recensito.)
da il manifesto – 03 Giugno 2005