di Manfredi Starace
Proprio il genere di ufficio da direttore che ci si poteva aspettare in un posto del genere. Tutto affreschi con putti, tavoli di vetro nero e poltrone di design, in una villetta staccata dal resto della clinica. C’ero stato una volta sola, il giorno della mia assunzione, se così si può chiamare.
Con quei modi bonari da baffuto barone sessantenne arrivato, il diretur mi aveva detto:
“ Guarda, per uno come te non ci sarebbe futuro nella nostra professione. Però io mi sento in debito verso i tuoi poveri genitori e mi sento in colpa per non averti dato due consigli ogni tanto, sai sembravi uno che se la cavava benissimo da solo. Poi io ho bisogno di qualcuno che mi faccia le sostituzioni, qui all’ ultimo momento i miei dottori s’imboscano, strippano, vanno in vacanza, si danno malati e le guardie chi me le fa? “.
Eh sì, chi gliele fa?
liele ho fatte io ho per più di un anno, a dieci euro in nero l’ora, reperibile a qualsiasi ora del giorno e della notte (suoneria del telefono Mission Impossible), prescrivendo perone di Serenase a quasi tutta la popolazione della clinica.
Non ero strippato perché consapevole di aver esaurito il bonus ‘cazzate grosse’ per un po’. Come paternamente mi aveva spiegato il diretur “ la storia con la paziente può capitare, per carità …se potessi sai quante te ne racconterei . La vera stronzata è che la parte dell’ ossessivo te la sei ritagliata tu, fino a farti denunciare e sputtanare sui giornali .”
Aveva ragione, che dire ?
Era stato il nostro ultimo colloquio, poi l’avevo visto da lontano in clinica. Le sostituzioni le gestiva la responsabile del personale.
Poi una sera, mentre mi guardavo a casa di amici la finale di Coppa Campioni (o chempionslig che dir si voglia ), suona il telefono. Sguardo rassegnato e pietoso degli amici del tipo “ povero sfigato
anche adesso lo chiamano “ . Primo pensiero mio “ quel maledetto calciofilo di Scannavini si sarà dato malato e adesso mi tocca andare lì” .
“Pronto?”
“ Ti stai guardando la partita ? “ . Era lui, il direttore .
“ Beh… sì” .
“ Guarda non ti voglio disturbare oltre, vieni nel mio ufficio domattina alle dieci .”
No, non mi ha disturbato .
Solo tutto il resto della serata a pensare “ che cazzo avrò combinato mai ? .” La notte a ripetermi “ niente, niente, mai uno sgarro, gentile e carino con i pazienti, collaborativo con colleghi e superiori”. Soluzione “ Magari non ha più bisogno . Magari c’è il figlio di un luminare amico suo che non trova lavoro “ .
Alle dieci meno un minuto mi presento con faccia da patibolo. Il diretur legge le cronache sportive del più autorevole quotidiano d’opinione nazionale.
“ Bella partita, eh?”
“ Bellissima “ ribatto con velocità sospetta.
Chiude il giornale.
”Ho un lavoro per te ”.
Inizio a rilassarmi , comoda questa poltrona. . Mi avviluppo nella medesima e in un pensiero che mi dice- sono sempre pessimista, mai una volta che mi viene in mente di essere stimato, di aver lavorato bene- il pensiero s’espande troppo, il direttore mi fissa in attesa di una risposta che arriva tardiva.
“ Quale lavoro?”
“Lunedì una volante della polizia ha portato in clinica un uomo di circa trent’anni trovato in centro. Pensavano fosse un nostro paziente perché non parlava, non aveva documenti e sembrava perso” .
“ Italiano, straniero ? “
“ Sembra italiano. Ha dei tratti mediterranei, se è uno straniero magari è greco, lo distingui un greco da un italiano? Come dicevano in quel film, una faza… “
“ …una raza “
“Bravo. Era di turno Scannavini che gli ha fatto un po’ di domande . Questo niente. Scannavini gli chiede di scrivere il suo nome e lui disegna un pianoforte. Martedì sera ho fatto portare qui in ufficio il pianoforte a coda di mia moglie. Ho filmato tutto con una videocamera nascosta “ .
Tira fuori da un cassetto due telecomandi, con uno accende il televisore, con un altro il videoregistratore.
Dopo cinque minuti spegne tutto.
“ Che te ne pare ? “
“ E’ bravissimo “
“ Anche tu suonavi, vero ? “
“ Non così, di sicuro “
“ Ti sembra un brano famoso, di qualche compositore ?“
“ No, sembra che improvvisi “
“ E’ quello che pensavo anch’io . Questo è un genio. Un genio che si è perso. Che probabilmente ha sofferto molto. Dopo aver suonato, l’altra sera, si è come afflosciato”
“ Dove lo teniamo?”
“ L’ho fatto mettere in camera con Gentili”
“ Il logorroico ? Proprio con lui ?“
“Se non lo strozza potrebbe venirgli voglia di rispondere .“
“ E se lo strozza ? “
“ Non sembra violento. Comunque spero che in qualche giorno riusciamo a scoprire qualcosa su di lui. Anzi, che tu riesci scoprire qualcosa”
“ Cosa devo fare?”
“ Contatta orchestre, conservatori. Con internet te la cavi, vero? “
“ Abbastanza”
“ Manda una foto in giro, insomma vedi un po’ te . Hai a disposizione un computer, un telefono e ti sospendo dalle guardie per due settimane, alla fine delle quali valutiamo i risultati”
“Quando posso vederlo?”
“ Quando vuoi”
“ Non dovremmo lasciargli suonare il pianoforte ? “
“Ti ripeto, dopo martedì sera si è rinchiuso in sé stesso, si è spento, ma quando suonava , e tu questo non l’hai potuto vedere perché era ripreso di spalle, sembrava rinato. Ce lo farà capire lui quando vorrà suonare . Comunque per ogni evenienza ho fatto mettere il pianoforte nel nostro magazzino, tanto a casa mia non serve “ .
Si alza in piedi, dev’essere il momento dei congedi, mi alzo anch’io .
“ Buon lavoro “ .
Buon lavoro. Certo meglio delle guardie, per carità . L’estate continentale era arrivata, aumentavano i pazienti che venivano a rinfrescarsi le idee nella clinica in collina ed io non arrivavo da nessuna parte. Ero andato di persona al conservatorio cittadino, al Teatro Comunale, avevo fatto vedere la foto a musicisti amici di amici. Niente. Avevo mandato la foto a quasi tutte le istituzioni concertistiche del mondo. Niente. Su internet mi ero guardato moltissime fotografie di concerti pianistici. Niente. Stavo tutto il giorno in quello sgabuzzino che il diretur aveva chiamato ‘ ufficio ‘, con la porta aperta per far circolare un po’ d’aria. I colleghi passavano e mi guardavano storto, per due settimane non c’era nessuno a sostituirli e non potevano andare in Riviera nel week-end.
Il Grande Capo passava e mi interrogava con gli occhi — io allargavo le braccia. Il telefono non mi serviva, non l’ho usato mai (o quasi) .Telefonare a mezzo mondo per chiedere “vi siete persi un pianista?” non mi sembrava il caso. Da un punto di vista clinico il paziente era in mano a Scannavini, poco propenso a parlare con me da quando non era stato sostituito per andare allo stadio all’ ultima di campionato.
La prima sera che ero andato a buttare un occhio in camera l’avevo visto fissare il soffitto mentre Gentili teneva uno dei suoi discorsi sconclusionati. Mi ero sentito a disagio, provavo rabbia nel vedere lì la stessa persona che avevo visto suonare così bene, lo volevo vedere inchinarsi in frac con un mazzo di fiori in mano. Ero tornato poche altre volte e mi ero buttato nel lavoro sempre più incattivito, sempre più frustrato.
L’ ultima sera dell’ultimo giorno della seconda settimana ho fatto una telefonata che non dovevo fare. Provo a giustificarmi. Faceva caldo, avevo il cervello in pappa. Era passata l’Infermiera Bonazza e mi aveva sorriso con fare troiesco, causando il risveglio di parti del mio corpo che credevo ormai sopite. Mi sentivo solo, triste e sconfitto. In queste condizioni mettermi davanti un telefono che nasconde il chiamante è un crimine.
Uno squillo. Due squilli. Tre squilli.
“ Pronto?”
“ Paola?”
Silenzio. In certe telefonate alcuni silenzi, quando sei riconosciuto, dicono molto. Dicono troppo. Non dicono belle cose . Questo era uno di quei silenzi.
“Senti, scusa, ti ho chiamato perché volevo chiederti… “
“ Ti chiedo prima una cosa io. Chi ti ha dato il mio nuovo numero? Qualcuno dei tuoi amici che lavora nei call center ? “
“ Senti, guarda…”
“ E poi ti ricordi che ti è stato proibito dal giudice di telefonarmi ? “
“ Volevo chiederti … “ ma non riesco a continuare per l’imbarazzo.
L’ unica cosa che può salvare questa telefonata è l’immortale curiosità femminile.
“ Cosa volevi chiedermi?”
“ Ecco, nei tuoi ricoveri”
“ Grazie che me li ricordi”
“ Scusa”
“ Riesci a smettere di scusarti ? “
“ Mai abbastanza. Insomma nei tuoi ricoveri ti è mai capitato di avere a che fare con un grande pianista?”
“ Guarda ho conosciuto un sacco di gente che si credeva Napoleone, quasi nessuno si credeva Mozart, anche perché lì possono bluffare poco . “
“ Dai non scherzare “
“ E’ straniero”
“ Può darsi”
“ No, te lo dico io, è straniero”
Silenzio.
“ Cos’altro sai di lui?” le chiedo.
Silenzio.
“ Cosa posso fare per lui ? “
“ Niente, adesso .”
“ Lo sai, Paola, che è proprio un piacere parlare con te ? “
“ Ascolta, adesso non posso stare al telefono, ti saluto, se vuoi puoi chiamarmi. Stai bene”
E attacca.
Sono un po’ confuso. Sentimentalmente l’unione di “se vuoi puoi chiamarmi” con “stai bene”mi rimescola tutto. Per il resto, mi sento come uno che è uscito dall’ antro della Sibilla Cumana .
Mi alzo , esco , chiudo l’ufficio e decido di andare a sbirciare nella stanza. Gentili fortunatamente dorme. Lui è seduto sul letto e guarda fuori dalla finestra.
Torno a casa, mi metto a dormire quasi subito dopo cena e lo sogno che suona il pianoforte in mezzo alle onde del mare.
La mattina dopo era il giorno del briefing sulla dead-line, come aveva detto il diretur, o il resoconto sulla scadenza, come direbbe qualche passatista. Mi presento nell’ufficio del direttore alle dieci in punto con la faccia di quello che c’ha provato.
Nell’ufficio c’è un’ altra persona, una bella mora con la faccia da dura.
“ Ti presento la dottoressa Branchina della Questura “
“ Ah”
“ Questo è il dottor Curreri “ fa il capo rivolto verso di me, la poliziotta socchiude gli occhi marroni cercando di ricordare se il mio cognome le dice qualcosa, destino comune a molti sputtanati .
“Il nostro uomo è scappato” dice proprio così il diretur, come in un film di spionaggio .
Dico di nuovo “Ah”
“ Stamattina verso le sei se n’è andato con le sue gambe. Nessuno l’ha visto andarsene , sai a
quell’ ora c’è confusione con le colazioni, le terapie”
“ E Gentili?”
“ Da stamattina non parla più”
“ Allora è vero che è un genio, è riuscito ad azzittire Gentili” mi scappa detto. Non c’è niente da fare, con il caldo non riesco a trattenere le cazzate che mi vengono in mente, ci sarà una spiegazione scientifica. Il capo e la sbirra si guardano come per dire “ questo è scemo “ .
“ Se n’è andato rubando a Gentili la carta d’identità e cinquanta euro”
“ Non va molto lontano , e poi non assomiglia molto a Gentili “ dico.
La questurina alza un ditino “Guardi le assicuro che poche persone assomigliano alle loro foto sui documenti d’ identità”
“ Io c’assomiglio “ le dico.
Il diretur e la sbirra si guardano ancora. Forse è meglio se parlo il meno possibile .
“ Le sue ricerche avevano portato a qualche risultato?” chiede la poliziotta .
Mi sento come a scuola. Allargo le braccia.
“ Ovviamente…” dice lei con un sorrisetto da schiaffi.
L’ orgoglio della corporazione ferita pervade il mio capo che attacca :
“ Il mio sottoposto ha lavorato alacremente per due settimane senza che i suoi sforzi lo portassero a risalire all’ identità del suddetto, “ il diretur sta parlando come un verbale dei carabinieri. “ Del resto ritengo che anche voi della Questura abbiate fatto le vostre ricerche …”
“ Ovviamente “ fa la sbirra.
“… che non hanno prodotto risultati. Questa è la situazione. Il quadro clinico del dottor Scannavini è solamente una serie d’ipotesi, data la difficile comunicazione con il paziente”.
Il direttore allarga le braccia. Io mi stringo nelle spalle. La sbirra davanti a cotanto linguaggio corporeo muove gli occhietti tra l’uno e l’ altro. Il diretur si alza. Mi alzo anch’io . Si alza anche la sbirra.
Il capo mi mette una mano sulla spalla:
“Hai lavorato bene. Qualsiasi cosa ti venga in mente falla sapere alla dottoressa Branchina. Oggi sei a riposo, da domani ricominci con le guardie” .
Mi scappa detto un “ Ovviamente “.
La sbirra mi fulmina. Saluto, faccio per uscire poi vicino alla porta mi giro dicendo:
“ Mi ero scordato di chiedere una cosa” mi viene fuori così, tipo Tenente Colombo, il problema è che i telefilm li hanno visti tutti. Il capo e la sbirra si guardano di nuovo, se continuo così li faccio innamorare.
“ Dov’era stato trovato dalla volante?”
“ Su via Indipendenza “
“ Vicino alla stazione o vicino alla Piazza?”
“ Più vicino alla Piazza, all’altezza della cattedrale “.
“ Ma in che direzione andava?”
“ Verso la Piazza”
“Quindi dava le spalle alla stazione , può darsi che venisse da lì “
“ Può darsi di sì, può darsi di no, del resto non aveva con sé né biglietti né effetti personali, come ben sapete” dice la sbirra congedandomi con il suo sorrisetto.
Prendo la porta prima di essere arrestato per un articolo del codice estratto a sorte.
Nel mio giorno libero gironzolo per casa fino a sera, poi mi decido a chiamare .
“ Pronto?”
“ Paola, è scappato”
Ancora silenzio.
Dovrei cercare la tariffa telefonica a parole, risparmierei molto.
“ Paola, dov’è andato?”
“Lui sa dove andare”. E attacca.
Bella conversazione. Decido d’istupidirmi davanti alla televisione e mi addormento sul divano.
Questa volta sogno di essere io a suonare il pianoforte in mezzo al mare, ma le note non escono.
Non morivo dalla voglia di tornare a fare le guardie, ma così almeno i colleghi erano tornati a salutarmi e potevo far finta che non fosse successo niente. Potevo anche provare a scordarmi Paola, se possibile. Il genio del pianoforte era stato il nostro ultimo unico legame, e lui era sparito dalla clinica e probabilmente anche dalla città.
Una notte ero in servizio, o meglio ero svaccato sulla poltrona dello stanzino delle guardie attaccato a un ventilatore che provava a darmi sollievo.
Bussano .“ Avanti”. L’Infermiera Bonazza, più strepitosa che mai.
“Dottore, Gentili delira “
Non ci posso credere, ha il reggiseno a balconcino rosso. La guardo pensando cose che non si possono scrivere.
“ Dottore?”
“Ah, allora ha ricominciato a parlare, bene”
“ Facciamo il solito perone di Serenase ? “
“ Aspetti che vengo a vedere” mi alzo con uno scatto e la precedo, che altrimenti mi tocca guardarla da dietro mentre ancheggia.
Gentili è a letto e sembra ripetere le stesse due parole. Tendo l’orecchio “ Regina Solis “ mi pare di capire. Il nome mi suona ma non riesco a collegarlo a nulla.
“ E’ religioso Gentili?” chiedo all’ infermiera .
“ Non credo dottore, quando parla smadonna più di un turco”
“Faccia il solito perone “ le dico ed esco dalla stanza, pensando che non ho più un ufficio con internet, a casa il collegamento supermegaveloce non funziona e quindi dovrò cercare il mio amico Carlo, precario a vita della biblioteca comunale nonché tuttologo.
“Ma tu dove cazzo vivi?” fa Carlo .
L’ho invitato a casa con la scusa della cassa di birra del discount e ce la stiamo scolando sul mio terrazzino.
“Qui” , rispondo io.
Sbuffa, apre la sua quarta lattina: “ Il Regina Solis è uno dei più famosi CTT, sai cos’è un CTT? “
“Vagamente “.
Sbuffa di nuovo: “ I CTT, o Centri di Trattenimento Temporaneo sono quegli ameni edifici dove vengono trattenuti, se così si può dire, gli immigrati senza permesso di soggiorno. Siamo di fronte a un obbrobrio giuridico, dal momento che nel nostro paese l’immigrazione clandestina non è reato, e per giustificare la reclusione si è ricorsi alla formula della ‘detenzione amministrativa’. Varie sentenze della Corte Costituzionale ne hanno sancito l’illegittimità, ma tanto i giudici sono tutti comunisti. Tra l’altro i CTT sono un’altra splendida eredità di quei governi della Sinistra Progressista che anche tu hai votato…”
Cerco di evitare il suo sguardo, che se la butta in politica non ne esco più fuori.
“ Di CTT ce n’è anche uno nella nostra provincia, in località, non ridere, Ponte Galera”
“ Ponte Galera? Ma dov’è ? “
“ Sperduto nella campagna ma relativamente vicino all’aeroporto, viene usato per i rimpatri forzati. Abbiamo smesso di fare manifestazioni lì sia perché era irraggiungibile sia perché una volta ci hanno fraccato di mazzate, deputati e senatori compresi. Comunque è un edificio orrendo, una ex scuola di polizia riadattata “
.”E il Regina Solis?” faccio io.
Carlo si accende una sigaretta e apre la sua quinta lattina di birra, il solito salutista.
“Ci sono entrato qualche anno fa. Ti ricordi quando lavoravo come assistente sottopagato di quei giornalisti tedeschi?”
“Sì, certo”
“Dovevano fare un reportage sul nostro paese come ventre molle d’ Europa, sulla nostra frontiera sud come colabrodo “
“ Immagino quant’eri contento”
“Una pasqua. Comunque andammo giù al tacco dello stivale, là dove avvengono gli sbarchi.
Il Regina Solis si trova nel Comune di San Menone. Quel Centro è un posto difficile da dimenticare…” Carlo storce la bocca con una smorfia amara “… un incrocio tra un lager, un carcere borbonico e un girone infernale. Bambini donne e uomini già disillusi salgono e scendono le scale o stazionano dentro a dei cameroni che ti colpiscono alla bocca dello stomaco per il forte odore di miseria. Un caos mai visto”
“ Ma quanto li tengono lì dentro ? “
“ Senti, la legge è complicata e non riuscirei neanche a spiegartela bene. Dipende dai documenti, dai precedenti, dalle espulsioni. Alcuni vengono rimpatriati. Altri scappano. Altri ancora si feriscono con atti autolesionisti per poter andare in ospedale. Pochi fortunati riescono ad avere un permesso temporaneo per richiedere asilo politico, escono e si dileguano. Comunque lì decide tutto il direttore del Centro, Don Ciro Lomastro”
“Don? Cos’è un mafioso? “
“ No, quasi. E’ un prete . Cioè è uno di quei sacerdoti che puoi guardare per ore senza trovarci nulla di cristiano. “
“ Che c’entrano i preti ? “
“Eccome se c’entrano. Per la diocesi locale è un bel business. Il Ministero della Pubblica Sicurezza paga quaranta euro al giorno per ogni ospite. Il cibo e i vestiti arrivano tramite le donazioni dei fedeli. Il lavoro interno è prestato da volontari mentre la vigilanza esterna la fanno i carabinieri. Il medico, se c’è, è della Croce Rossa. Insomma tutto quello che riescono a risparmiare se l’imberta la diocesi, che ha messo lì a comandare Don Ciro, il pastore più tosto della truppa, passato indenne negli ultimi anni attraverso vari processi penali…”
“ Per appropriazione indebita ? “
“ Ma no , gli affari sono affari dappertutto. E’ stato processato per percosse, sevizie, gente tenuta ammanettata per giorni a termosifoni, a pane ed acqua , ragazze che volevano avviarsi alla luminosa carriera del meretricio ravvedute a suon di botte. Naturalmente è stato assolto da tutte le accuse. Vale più la parola di un servo di Dio o quella di quattro immigrati ? “ .
Carlo fissa sconsolato la lattina vuota. La cassa è finita, è tardi, penso che tra poco se ne andrà .
“ Quel pianista che mi dicevi “ riattacca “ forse ho capito com’è andata. Viene da un paese dall’altra parte dello Stretto, Albania, Macedonia, Kossovo. Hai detto che poteva sembrare un italiano, ma tu lo distingui un albanese da un italiano ? “
“ Mi viene in mente qualche barzelletta scema “
“ Ecco evita. Dunque lui cresce con un talento incredibile che chissà come e chissà dove riesce a coltivare. A un certo punto decide di venire nel nostro paese forse perché secoli fa eravamo il centro mondiale della musica e del melodramma, o forse perché da lui arriva la nostra televisione che ci dipinge come Bengodi, ogni sera si regalano miliardi. Allora si fa la sua bella traversata sul gommone, sbarca sul tacco dello stivale ,viene intercettato e portato al Regina Solis di San Menone.
Inizia il suo incubo, chissà quante ne vede. Riesce a scappare poi nascondendosi nel bagno del treno o in altri modi arriva nella nostra città, noto snodo ferroviario ed autostradale. Quando lo trova la volante non parla forse per non far sentire il suo accento, o forse perché è rimasto traumatizzato veramente. Nel soggiorno nella vostra clinica racconta la sua storia al suo compagno di stanza. Appena si rimette un po’ in forze scappa di nuovo. Può essere andato in qualche nazione del Nord di grande cultura musicale…”
Lo interrompo “ Non ti sembra tutto un po’ troppo avventuroso? “
Carlo mi guarda schifato, o forse è solo ubriaco.
“ Se tu parlassi con qualsiasi immigrato ti potrebbe raccontare viaggi anche più avventurosi di questo.”
“Dici ?”
“ Dico, dico. E la cosa più triste è che per ognuno che arriva ci sono tutti quelli che non ce l’hanno fatta, affogati nelle traversate, asfissiati nelle stive, congelati nelle celle frigorifere . Quella volta che andai a San Menone un vecchio, guardando lo Stretto, mi disse “ se questo pezzo di mare potesse parlare, sai quante storia di sofferenza racconterebbe ?””.
Nei giorni successivi passata la sbornia e ragionando con calma mi sembrava che la tesi di Carlo fosse la più plausibile e razionale, e smisi di pensarci. L’estate si faceva sempre più calda e io continuavo le guardie. Poi un bel giorno il magnanimo diretur decide di mettermi a riposo non pagato per una manciata di giornate, lui le chiama ‘ ferie ‘. Sospetto che questa concessione sia dovuta al fatto che con la pausa della stagione calcistica Scannavini si accolla più turni di lavoro.
Decidere dove andare in vacanza mi mette ansia allora mi riposo bighellonando in casa. La notte non riesco a dormire per l’afa e per i ritmi sballati dalle guardie notturne.
Sono le 3 e mi guardo il telegiornale della notte
“Crisi economica il premier chiede di spendere di più…”
“Gli industriali lamentano un costo del lavoro troppo alto…”
“Tremila in cassa integrazione straordinaria…”
“Autobomba a Kabul…”
“Continuano gli sbarchi a San Menone, un gommone con 40 clandestini….”
E lo vedo. Ci sono questi profughi , ci sono i carabinieri che distribuiscono coperte e poi staccato da una parte c’è lui, con un sorriso furbo, è proprio lui , sono sicuro, viene anche inquadrato per un attimo, ha gli stessi vestiti che aveva in clinica.
“I clandestini sono stati tratti in salvo dai carabinieri e portati nel CTT Regina Solis…”
Chissà se Carlo ha il telefono acceso. Al sesto squillo vorrei riattaccare ma mi risponde una voce dall’ oltremondo :
“ Pronto ? “
“ Dormivi? “
“ Sì disgraziato, ti sembra l’ora di chiamare ?”
“ Beh potevi spegnere il telefono “
“ Adesso è colpa mia. Che vuoi ? “
“ Come faccio ad entrare in un CTT ? “
“ Non sei straniero, per tua fortuna non ci ti ci mettono dentro , anche se lo meriteresti”
“ Dai, sul serio. Come hai fatto ad entrare al Regina Solis quella volta con i giornalisti? “
“ Abbiamo dovuto far richiesta alla prefettura settimane prima, mandare fotocopie di documenti, compilare moduli. Non è facile entrare in un CTT, a volte non ci riescono neanche i parlamentari che avrebbero libero accesso “
“ Non ti è rimasto qualche contatto , che ne so quel prete ? “
“ Figurati se ho contatti con i preti ! Comunque adesso che ci penso avevo imposto ai giornalisti di sentire una voce critica, e alcuni amici fuorisede mi avevano dato il numero di un professore di liceo che presiede un’associazione antirazzista di amicizia tra le due sponde “
“ Ce l’hai ancora quel numero ? “
“ Non mi ricordo neanche come si chiama . Devo cercare tra le mie vecchie agende, se trovo qualcosa ti faccio sapere. Adesso voglio dormire. “ e attacca.
Anch’io devo dormire qualche ora , per poi partire per San Menone molto presto, visto che la giornata di domani è di ‘ esodo biblico ‘ , come dice il telegiornale.
Non sono stato l’unico ad avere la brillante idea di partire all’alba. Mi sono trovato incolonnato fin da subito sull’ Autostrada Dorsale Est. Sembra che tutta Europa si stia dirigendo verso le spiagge. Dopo sei ore non sono neanche a metà strada, anzi sono uscito a mala pena dalla regione di partenza.
Mi fermo ad un autogrill. Dopo una fila di mezz’ora per un panino veramente pessimo mi passa per la testa l’ipotesi di aver fatto una grandissima cazzata a partire, avendo fatto ormai troppa strada per tornare indietro e non avendone fatta abbastanza per tenere duro e proseguire.
Devo chiamare.
“ Pronto ?”
“ Paola sono io, l’ho visto in televisione, so dov’è, vado da lui “
“ …”
“Paola cosa posso fare per lui ? “
“ Ascoltami bene e cerca di stare zitto se ti riesce . Tu farai poco per lui, quasi niente, ma quel poco che farai sarà già molto. Hai capito ? “
“ Non tanto. Senti Paola, non è che una volta , quando vuoi tu, ci possiamo vedere? “
Paola attacca il telefono. Più confuso di prima decido di risalire in macchina e di rimettermi in cammino. Quando si è in ballo bisogna ballare, diceva Nureyev. .
La seconda parte del viaggio non è meno difficile della prima, appena il traffico inizia a scorrere viene bloccato da incidenti, tamponamenti, vedo camion rovesciati, una macchina in fiamme. Tiro un sospiro di sollievo quando entro nella Regione Del Tacco, ma dopo qualche ora mi ricordo che sulle carte geografiche è molto lunga. Superato l’ultimo capoluogo di provincia finisce l’autostrada e inizia la statale che dovrebbe portarmi a destinazione. Il traffico è finito e per molti chilometri non incontro altre macchine. Mi ritrovo a canticchiare “ Road to Nowhere “ dei Talking Heads. Intorno a me uliveti a perdita d’occhio. Poi entro in una pineta, a sinistra e a destra recinzioni e cartelli che indicano una zona militare. Mi sembra anche di vedere una specie di pallone sonda. Finita la pineta la strada continua nel nulla , sulla sinistra ho il mare.
Dopo un viaggio durato più di dodici ore mi appare il cartello del comune di San Menone, gemellato con Mentone in Francia, Mainz in Germania e altre città che iniziano con la emme .
Avete presente quando sulle guide scrivono ‘ ridente località ‘ e non si capisce cosa ci sia da ridere visto che di solito la località è un cesso di posto ? Ecco San Menone è così . Nonostante la
‘splendida posizione ‘ San Menone consiste in una brutta piazza quadrata che racchiude tutto quello che serve alla cittadina — caserma dei carabinieri, cassa di risparmio, bar, municipio- quattro strade e alcune case per la villeggiatura che anche adesso in alta stagione non sembrano molto abitate, forse perché poco valorizzate dalla vista, a qualche centinaia di metri, su un promontorio che è l’esatta punta del tacco dello stivale, di una fortezza del Settecento che a tutti gli effetti dovrebbe essere il Regina Solis. Trovo una quasi dignitosa pensione vistamare dove ceno e vado a dormire subito , spossato dalla giornata di macchina.
La notte sogno il pianoforte in mezzo al mare, ma non c’è nessuno a suonarlo.
Dormo più di quanto sia possibile dormire e mi sveglio nella tarda mattina con la luce che filtra nella camera già molto forte. Decido di fare tappa alla caserma dei carabinieri. Il maresciallo Mancuso, a capo della stazione, mi riceve subito ( “ dottor Curreri mi ha detto “ e ha scrutato in alto per vedere se il miei cognome gli ricordava qualcosa ) . E’ un bel cinquantenne piazzato dalla faccia intelligente ma un po’ assonnata. Mi dice che è a San Menone da qualche mese e non si è ancora abituato al ritmo degli sbarchi. “ E poi io sono un servitore dello Stato, non spetta a me criticare la legge devo solo applicarla, ma non capisco perché questi poveracci non possono arrivare con un traghetto di linea, tanto arrivano comunque rischiando molto e arricchendo la criminalità “ .
Gli ho detto di lavorare nella famosa clinica Villa Matamoros del Nord e che avevamo perso le tracce di un paziente. Gli porgo la foto. La guarda con attenzione.
“ Di persone ne vedo tante, ma questa foto mi ricorda qualcuno. Dovrebbe essere arrivato con uno degli ultimi sbarchi. Però c’era qualcosa di strano…”
Non lo interrompo, sperando che continui.
“ …era staccato dal resto del gruppo, sembrava non avere molto a che fare con gli altri, che abbiamo scoperto essere due famiglie imparentate tra loro. Non aveva documenti. Era quasi asciutto, mentre gli altri si erano inzuppati durante la traversata. “
“ Insomma sembrava uno capitato lì per caso “ faccio io.
Il maresciallo fa una smorfia e arriccia il naso nello stesso momento.
“ E come poteva essere possibile ? Si è fatto docilmente accompagnare al Centro con gli altri.
Per un attimo mi è passato per la testa che fosse lo scafista, ma non ne aveva l’aria, come dicono i francesi, non aveva…”
“le physique du rôle…”
“Esatto “
“Lei non riuscirebbe a farmi entrare nel Centro ? “
“ Noi dell’ Arma non abbiamo nessuna giurisdizione e nessuna autorità sul Regina Solis, facciamo solo la sorveglianza. Dovrebbe chiedere alla Prefettura, se riesce ad aspettare qualche settimana. Altrimenti può chiedere all’unica persone che può farla entrare subito, il direttore Don Ciro Lomastro”
“ Come lo contatto ? “
“ A quest’ora, ogni giorno che il Signore gli manda, Don Ciro si beve un litro di vino rosso al bar centrale”
“ A mezzogiorno? Con questo caldo? “
Il maresciallo sorride “ Ci vuole ben altro, vedrà”.
Mi congedo, ringrazio e mi avvio alla porta ma mi arriva la sua voce : “ mi sono scordato di chiederle una cosa…” anche Mancuso dell’Arma ha visto molti telefilm del Tenente Colombo.
Mi giro “Dica”
mi parte la suoneria del cellulare “ mi scusi “ , rispondo al telefono mentre il maresciallo alza il sopracciglio sinistro.
E’ Carlo: “Ho trovato il numero del professore, si chiama Sandro Conti, però adesso mi devi raccontare”
“ Carlo ci sentiamo dopo” .
“ Diceva maresciallo? “
“ Il vostro paziente è pericoloso ?“
“Assolutamente no “ e me ne vado.
Il bar centrale è dall’altra parte della piazza. Il sole picchia duro. Attraverso la strada ed entro in un esercizio abbastanza squallido, ma non molto frequentato, a parte le mosche. Non sembra esserci neanche il barista.
C’è solo una presenza, in clergy-man, seduta a un tavolino con davanti un bicchiere pieno e una brocca di vetro quasi vuota. E’ uno degli uomini più grossi che io abbia mai visto. Ha due badili come mani, un collo da toro che sorregge una testa d’uovo pelata. Degli occhiali con montatura nera ingrandiscono due occhi azzurri che mi fissano da quando sono entrato nel bar.
“ Don Ciro ?” Il prete muove la testa impercettibilmente, continuando a fissarmi. Mi presento e gli chiedo se può darmi qualche informazione. Indica la sedia davanti a sé. Sono intimidito, non ha ancora aperto bocca. Seduto al suo cospetto mi sento un nano. Meglio se entro subito nel cuore della questione. Tiro fuori la foto: “ Ha mai visto questa persona?”.
La guarda per un attimo e mi risponde una voce tonante da pulpito:
“ Può darsi , ne vedo molte di persone, perché me lo chiede ?”
“ E’ un nostro paziente, nonché un pianista di grande talento…”
Muove una mano con un gesto sprezzante e m’interrompe:
“ Sapesse quante me ne arrivano di persone di talento, sapesse quanti me ne arrivano che sanno ballare, cantare, recitare, giocare a pallone , e pensano di arrivare nel paradiso in terra”.
Si beve in un sorso un bicchiere di vino e se ne versa un altro.
“ Ci vuole umiltà! “ urla dando una manata sul tavolo che mi fa sobbalzare insieme al bicchiere e alla brocca .
“ Bisogna stare al proprio posto! “ , un’ altra manata.
Poi abbassando un poco la voce : “ Questi sono i peggiori , quelli che sobillano gli altri, perché non si vogliono adattare alla vita che li aspetta fuori, dove se ne fregano delle loro capacità e il lavoro migliore che riusciranno a fare sarà il muratore”
“ Non dovrebbe essere così “ provo sommessamente a dire io
“ Non sia ipocrita! Lei sarebbe disposto a farsi soffiare il posto da un albanese? “ .
“ Beh… sì “ dico io, pensando a un anno di turni di notte.
“ Non menta ad un prete! Lei ha figli ? “
“ No”
“ Male. Se avesse un figlio bravo a calcio, o capace di suonare la chitarra, sarebbe disposto a vedere che gli passa davanti il figlio di un profugo? “
“ Quando faccio un figlio glielo dico “ .
Mi guarda con aria di sfida mentre beve un altro bicchiere.
“ Che poi sono liberi di fare quello che vogliono. Mi hanno dipinto come un boia, ma la porta del Regina Solis è aperta per chi se ne vuole andare . Vuoi andare a cercare fortuna nel mondo, vai!
Tanto qui mi puoi disegnare tutti i pianoforti che ti pare, ma dove lo trovo io un pianoforte in questo posto dimenticato da Dio? “ e indica la piazza.
“ Ci sono anche quelli che mi ritrovo di nuovo al Centro, più morti di fame di prima. Alcuni hanno gli occhi bassi, sono diventati umili. Don Ciro di qua, Don Ciro di là, come cagnolini. Altri tornano più arroganti di prima, più cattivi di prima “
“ Cosa succede a queste ultime persone ? “ chiedo infastidito.
Don Ciro mi fissa per un minuto buono.
“ Niente “ risponde, ma la faccia sembra dire altro.
Devo provarci, tanto ormai è persa.
“ Lei sarebbe disposto a farmi vedere il nostro paziente o a farmi entrare nel Centro ? “
“Non ci penso nemmeno“ e inizia a guardare dietro la mia testa. Sta guardando l’uscita, il messaggio è chiaro. Mi alzo, bofonchio un “ grazie lo stesso “ ed esco del bar.
La luce mi acceca, ho caldo, non respiro. Per quello che ho ottenuto posso anche tornare a casa mia.
Calma. Provo a chiamare Paola .
“ Messaggio gratuito, il numero da lei chiamato non è esatto “.
Calma di nuovo. C’è un po’ d’ombra sotto la statua del milite ignoto. Chiamo Carlo dicendogli che a breve ci rivedremo in città, mi dà il telefono del professore .
Chiamo Sandro Conti. Sì certo, si ricorda dell’unica intervista della sua vita, è molto affabile, chiede subito di farsi dare del tu e insiste per avermi a cena, oggi pomeriggio non può vedermi perché deve dare ripetizioni.
Ho qualche ora libera, posso andare al mare, chissà se in questo buco di città qualcuno mi vende un costume.
Dopo un pomeriggio in spiaggia ero quasi riuscito a convincermi di essere venuto a San Menone in vacanza, anche se non era vero.
La sera mi presento a casa di Sandro Conti, un piccoletto con le basette bianche che porta un cappello da pescatore anche tra le mura del suo appartamento, un disordinatissimo bilocale pieno di libri. Il professore cucina molto bene, la cena è gradevole e innaffiata da molte bottiglie di un ottimo vino locale, forse lo stesso del sacerdote. Sandro mi dice subito “ Al Regina Solis non mi ci fanno avvicinare, riesco ad avere qualche informazione grazie ad una mia collega insegnante che presta volontariato là dentro e mi racconta tutto quello che vede. “
“ Perché ti racconta tutto ?“ gli chiedo.
“ Siamo amici intimi “ e strizza l’occhiolino.
Vuoi per il vino, vuoi per la fiducia che m’ispira racconto a Sandro tutta la storia del pianista. Mi ascolta in silenzio. Finita le cena ci accomodiamo in poltrona, lui fuma la pipa mentre ci beviamo un liquore al limone.
“ Da quello che mi dici, e non ho motivi per non crederti, sembra che non sia arrivato l’altra sera, sembra che si sia fatto trovare sul punto degli sbarchi per farsi portare al Regina Solis “
“ E’ quello che penso anch’io ma sembra assurdo “ rispondo.
“ Infatti è assurdo . Capita che qualcuno torni nel Centro. Per esempio quando scappa e viene ripreso nella regione. Oppure ci sono quelli che vengono espulsi, rimpatriati, ritornano clandestinamente, vengono intercettati per la seconda, terza, quarta volta. Quello che non succede mai è che qualcuno decida liberamente di tornare in un Centro come il Regina Solis. Anche se uno è alla fame ci sono tanti altri modi per sfamarsi, meno dolorosi. Può darsi che sia veramente pazzo, ma allora che senso aveva fare tutto questo teatro ? Bastava andare alla porta del Centro e fare toc toc”.
Mi scappa da ridere , anche perché sono già brillo.
“ Oppure “continua Sandro ”è tornato per un motivo particolare che vuole nascondere”
“ Quale ? “
“ Conosci le culture dei popoli dall’altra parte dello Stretto ?”
“ Non molto “ ammetto.
“ Sono molto simili a come eravamo noi anni fa. Sono popoli con un forte senso della famiglia, del sangue, dell’onore e della vendetta. Se necessario si deve vendicare anche il cugino del cugino del cugino”. Sandro s’ interrompe per qualche secondo poi riprende.
“ In quel posto da incubo che è il Regina Solis pare siano sparite delle persone. In paese si parla anche di morti”
Guardo Sandro negli occhi che riprende
“ Sai quanta gente ho conosciuto dall’altra parte dello Stretto che voleva fare la pelle a Don Ciro ? C’è la fila”.
Sandro smette di parlare. Provo a tirare io le conclusioni.
“ Insomma vorresti dirmi che è tornato al Regina Solis perché ha un conto in sospeso? “
“ Può darsi “.
Non ne abbiamo più parlato. Finita la bottiglia di liquore che ormai era tardi, Sandro ha insistito per riaccompagnarmi alla pensione, voleva fare due passi. Ci siamo salutati affettuosamente, mi ha chiesto di farmi sentire e di farmi vivo se ripassavo di lì.
Salgo in camera a fatica, ho la testa pesante, a malapena riesco a svestirmi. Mi addormento subito.
Mi svegliano delle sirene, sembrano tantissime. I vetri della camera tremano, ci sono elicotteri. C’è una strana luce. Mi alzo, vado alla finestra. Ancora sirene. Vedo cellulari e pullman blu della Pubblica Sicurezza, autobotti dei pompieri, un elicottero passa bassissimo . La direzione di tutti è il promontorio. Il Regina Solis è in fiamme. Si sentono degli scoppi. Non è vero. Ho bevuto troppo. Mi gira la testa, non riesco a stare in piedi. Mi butto sul letto, chiudo gli occhi.
Una tenue luce naturale filtra adesso nella mia camera. E’ molto presto. C’è qualcuno nella camera, sento dei passi.
In piedi, davanti al mio letto, c’è il Maresciallo Mancuso. Accanto a lui c’è un altro carabiniere, più alto, più giovane, che ha due cerotti sul viso.
“Buongiorno” provo a dire.
Il maresciallo non è in vena di convenevoli.
“Le devo chiedere un favore. Mi può far rivedere la foto che mi ha mostrato ieri?”
“E’ nella tasca dei pantaloni”.
Il maresciallo prende i pantaloni da terra, fruga con perizia nelle mie tasche, tira fuori la foto e la mostra all’altro carabiniere.
“Bordon è lui?”
“Sì, siòr maresciallo”
“E’ successo qualcosa?” provo a chiedere.
“Questa notte, pensavo se ne fosse accorto, c’è stata una rivolta al Regina Solis. Il suo paziente” e mi lancia mollemente la foto con due dita “o quello che è, visto che da quello che ci risulta lei non potrebbe esercitare, dottor Curreri” dice le ultime due parole come se dicessi due parole molto brutte “…era alla testa del tumulto. Un vero capo. Gli altri vociavano, strepitavano, lui guidava tutti con lo sguardo”
“Ci sono vittime?” chiedo
“Molti feriti, uno in fin di vita, quasi morto, Don Ciro Lomastro.”
“Si figuri se quella pellaccia non sopravvive” mi scappa detto, il maresciallo mi guarda malissimo e dice:
“E’ stato pestato a sangue per ore, poi la rivolta è finita. E’ sembrata un’ esecuzione”
E’ partita la suoneria del telefono. Il maresciallo alza tutte e due le sopracciglia mentre io trovo il telefono nei pantaloni. Rispondo, c’è qualcuno che urla “Dai! Grande! Ho sentito alla radio! Sei lì? Hai visto qualcosa? “
“Carlo ci sentiamo dopo”. Attacco.
“Mi scusi”
Il maresciallo mi fissa per qualche secondo. Poi “E’ una strana coincidenza. Lei arriva in paese, passa tutta la serata di ieri con un noto estremista locale”(chi? Sandro? )“e nella notte scoppia una rivolta mai vista. Posso darle un consiglio fraterno?”
“Non devo lasciare la città?” dico io
“No, questo si dice solo nei film americani. Io le consiglio di lasciare il territorio del comune entro un’ora. Buongiorno.” Sbatte i tacchi e se ne va, portandosi dietro Bordòn.
Subito dopo il cartello “San Menone — Arrivederci” fermo la macchina ed inizio a respirare. Chiamo Sandro.
“ Sandro, hai visto che è successo?”
“Sì, un casino. Il maresciallo Mancuso mi ha convocato in caserma per il pomeriggio”
“Io l’ho già visto. Sai dirmi qualcosa in più sulla rivolta?”
“ La mia amica mi ha detto che al momento il Regina Solis è vuoto. Nella notte hanno impacchettato tutti su pulmann e cellulari e li hanno portati nella tua provincia, nel centro di Ponte Galera. Saranno tutti rimpatriati”
“Quando?”
“Forse domattina, sicuramente fanno passare la notte”
“Perché aspettano?”
“Sai, in questi casi i ragazzi della Pubblica Sicurezza si vogliono divertire un po’”
Il viaggio di ritorno è stato un calvario di traffico come all’andata. Ho provato a chiamare Paola “Messaggio gratuito il numero da lei chiamato non è esatto”.
Poi ho deciso di chiamare il diretùr sul numero super riservato, solo per le emergenze.
“Pronto?”
“L’ho trovato!”
“Chi?”
“Il pianista. Mi serve un favore” e gli ho spiegato tutto.
Sono arrivato in città nella tarda serata. A casa ho guardato sulla mappa come si arriva a Ponte Galera. Domattina ho un appuntamento.
Il giorno dopo arrivo con la macchina, quasi contemporaneamente al camion del trasportatore, davanti all’entrata del Centro di Trattenimento “Ponte Galera”. Il cielo è carico di nuvole nere. L’edificio è un parallelepipedo di vetro che ha davanti uno spiazzo pieno di pullman blu e cellulari. Il cancello ha le sbarre altissime, così come alta è la recinzione con filo spinato. Il trasportatore mi chiede:
“Dottore, proprio qui glielo devo lasciare?”
“Sì”
Scarica il pianoforte a coda del direttore.
“Dottore chiama lei per farlo riprendere?”
“Sì”
E se ne va.
Il poliziotto nella casermetta all’entrata ha visto la scena, ha strabuzzato gli occhi e si è attaccato al telefono. Esce dalla casermetta e viene verso di me.
“Cos’è? Uno scherzo?”
“No” dico io.
“Allora cosa ci fa questo pianoforte qui?”
“Guardi, provo a spiegarle. Qui dentro voi avete un pianista bravissimo”gli mostro la foto“un genio della musica, un talento incredibile. Se lei potesse sentirlo suonare, se voi poteste sentirlo suonare, lo lascerete libero. Faccia uscire questa persona” mi arriva una goccia d’acqua “non se ne pentirà”.
Il poliziotto non l’ha neanche guardata la foto, continua a fissarmi.
“Lei è pazzo o mi sta prendendo in giro?”
“Non mi crede? Guardi, provi a chiamare la dottoressa Branchina della questura. Le può spiegare tutto. La chiami.”
Il poliziotto guarda il pianoforte, scuote la testa, si gira, va verso la casermetta. Telefona.Inizia a piovere Nello spiazzo dietro al cancello c’è del movimento, gli agenti della Pubblica Sicurezza stanno facendo salire delle persone sui pullman. Il poliziotto attacca il telefono. Viene verso di me. I pullman accendono i motori. Il poliziotto ha la pistola nella mano destra. Il cancello si è aperto.
“La dottoressa Branchina dice che ovviamente lei è pazzo. Sposti il pianoforte da davanti all’entrata”.
“No”
Mi punta la pistola sul naso.
Scandisce:
“Sposti —il- pianoforte- da —davanti- all’-entrata”.
Mi ha convinto. Inizio a tirare il pianoforte con le mani, con fatica,fino al ciglio della strada opposto. Piove sempre più forte, anzi diluvia. I pullman escono e girano a sinistra, direzione aeroporto. E ad un certo momento lo vedo. Ha la faccia attaccata al finestrino. Sembra abbastanza pesto. Guarda me, guarda il pianoforte. Gli si illuminano gli occhi. Sorride. Alza una mano e la muove come per fare ‘ciao’.Anch’io alzo una mano. Non riesco a muoverla. Non mi ricordo chi lo diceva: “Al cinema e sotto la pioggia, se piangi non se ne accorge nessuno”.