di Giuseppe Genna
Dal 1990 a oggi i tempi sono cambiati, anche se non sembra. C’era allora una guerra tra Stati Uniti e Iraq — e c’è anche oggi. A scatenarla, George Bush — come oggi. Un periodo di recessione incombeva sull’occidente industrializzato — ça va sans dire, anche oggi. Eppure in questi quasi quindici anni è cambiato qualcosa di profondo, di essenziale, di sfuggente anche se platealmente sensibile. E’ cambiata la circolazione delle informazioni. A imporre questo mutamento di paradigma è stata una realtà politica emergente, collettiva e inarrestabile. Il Movimento dei movimenti ha praticato, da subito, un’incredibile e rivoluzionaria modalità di osmosi tra realtà differenti e, prima dei Novanta, piuttosto lontane. Non che prima non esistesse una comunicazione digitale: le BBS, per chi desiderava, esistevano anche nell’85. E’ tuttavia cambiato l’accesso a un mezzo tanto potente e diffusivo come la Rete. Da élite a massa. Kali emerge. Con un’evidenza conseguente a questa opera di subitaneo allargamento: il contraccolpo ideologico su ciò che prima sembrava essere un segreto battuto a colpi di tamburo tra aree distanti di un’immensa foresta, e che ora ha perduto l’aura di segreto, per acquisire lo statuto di informazione legittima.
Non sono ancora disponibili testi sociologici all’altezza dell’analisi che meriterebbe questo mutamento epocale. Mi limito a osservare che si può definire il protocollo comunicativo da cui si è usciti alla fine degli Ottanta come “età della paranoia” (con ovvio riferimento a quella “dell’ansia” richiamata da Auden). Intercettata dalla grande letteratura, soprattutto americana, se si pensa a Pynchon e DeLillo, l’età della paranoia faceva perno su una situazione geopolitica che era massivamente riconosciuta come definitamente dualistica: la guerra fredda aveva abituato gli occidentali a un clima di conflitto atmosferico, dove era tuttavia sempre possibile riconoscere uno dei due confliggenti. Certo, le zone grigie imperavano. E imperava l’ideologia del segreto, come in ogni rappresentazione spettacolare che si rispetti. Se pensiamo che al conflitto tra Spettacolo Diffuso (USA) e Spettacolo Concentrato (URSS) il teorico Debord sostituiva nell’88 una nuova nozione, lo Spettacolo Integrato (rappresentato, a detta del filosofo francese, proprio dall’Italia), era chiaro che ci si accingeva a un mutamento dei rapporti tra Potere e masse. L’ideologia del segreto, questo infinitamente seduttivo sillogismo carico di suspence e di promessa messianica di comunicare a pochi iniziati Come Veramente Stanno Le Cose, veniva veicolato da una letteratura, quella di genere, che non poteva aspirare, per divieto del Potere stesso, al ruolo di letteratura tout court. Le Carré era un abile manufattore, non uno scrittore a tutto tondo.
Ed ecco cosa è cambiato negli anni Novanta. Il genere letterario che parla del segreto senza mai smettere di accennarvi, cioè il genere nero, trionfa: vale a dire, trionfa mercantilisticamente. “Il vero è ciò di cui non si parla” osservava Debord, facendo riferimento al nucleo nero del Potere, il Segreto Inconfessabile. Ma cosa accade quando il mass market parla senza requie del Segreto? Accade che il Segreto non è più tale, non è più vero. Esso viene laicizzato. L’aura sacrale si sposta a un altro livello e, se la civiltà è matura, si scioglie nell’indefinitezza delle pratiche collettive. Il che è propriamente successo. Se si indagava sul Bilderberg Club, quindici anni fa, si rischiava di essere considerati reazionari; se lo si fa adesso, si è Michael Moore. E’ un vantaggio non secondario essere liberi di parlare di tutto: esserlo materialmente (ed è chiaro che le cosiddette nuove tecnologie, che non lo sono per nulla, ci danno una mano) ed esserlo ideologicamente (è un sollievo non rischiare di essere percepiti come fascisti, solo perché si va a mettere il naso nella teoria dei complotti).
La controinformazione è venuta imponendosi, insomma, quale modello informativo: non è più controinformazione, è informazione e basta. Se questo slittamento virtuoso ha cambiato il volto della comunicazione, si attende di osservare come la sua poetica venga elaborata dalla letteratura, che è sempre una spia interessante per comprendere le traiettorie del politico, il quale non può fare a meno di operare sull’immaginario collettivo. Per ora, la letteratura è rimasta al palo. Il trionfo dell’insulso genere investigativo è puro mercato che non lascerà tracce nella gloriosa storia delle poetiche. Poiché in ballo, come sempre, c’è l’intensità della percezione della morte, con tutto il suo corollario materiale, che è il vero buco nero del Potere (sia esso religioso o amministrativo), sarà consigliabile una rapida fuga dalle gabbie di un genere che ha ormai sviluppato un’estrema facilità nel rappresentare i cadaveri — sorta di processo anestetico collettivo che, in tempi di Potere diffuso, fa tanto comodo a tutti. Trarre oro dal letame è l’alchimia segreta e profondamente filosofica del mercato che comanda a ogni latitudine. Bisognerà, quindi, che la letteratura si adoperi a non fornire letame al mercato.
Con la pubblicazione di TUTTO QUELLO CHE SAI E’ FALSO (Nuovi Mondi Media) abbiamo assistito a una rivoluzione culturale in Italia. Questo testo, che tempo fa avrebbe fatto rizzare i capelli a ogni illuminista, non sortisce più il medesimo effetto: il titolo è stato per mesi ai vertici della classifica riguardante la saggistica. La classifica più importante: l’editoria ha visto in questi anni crollare la fiction a favore dell’imporsi di saggi, ammesso che LA RABBIA E L’ORGOGLIO possa definirsi tale. Significa che la controinformazione, che rimaneva legata a movimenti rizomatici finché affidata al gorgo della Rete, è stata individuata dal mercato quale nuovo letame da cui ricavare nuovo oro. Lo spettacolo di FAHRENHEIT 9/11 resta tale: è prima di tutto uno spettacolo, e poi una denuncia. Vincendo a Cannes, Michael Moore non ha potuto evitare di venire ingurgitato nel grande teatro delle icone, da cui poi è stato espulso in forma di divo. Basti considerare l’anonimato del postatore medio in un forum di Indymedia con l’approdo alla Propedeutica di Controregime a cui Moore è stata destinato: l’anonimato contro il divismo (seppure a fin di bene) è sociologicamente significativo e politicamente rilevante.
La controinformazione e il processo di irradiazione della Rete devono quindi trovare un futuro. Il custode della permanenza della controinformazione nella prassi conoscitiva di una comunità planetaria è, alla fin fine, la stessa esistenza di una comunità politica planetaria. La variabile importante non è la comunicazione e nemmeno il medium scelto, sia esso vecchio o nuovo dal punto di vista tecnologico. Il perno attorno a cui ruota tutto è la comunità politica che ha eletto a nuovo paradigma un’informazione esplosa, decisamente meno controllabile di quella che ha nutrito le menti della generazione precedente alla mia.
[Questo intervento è uscito sul mensile LETTURE]