di Giancarlo De Cataldo
Franco Limardi, Anche una sola lacrima, Marsilio Black, 2005, pp. 194, € 12,00.
Ex-militare di carriera, reduce dal Libano, Renzo Madralta, faccia di ferro, sguardo inespressivo, calma terrificante, governa con fermezza la security di un grande supermercato. Professionalmente inappuntabile nel quotidiano esercizio della repressione di borghesucce traccheggiatrici e ladruncoli di mezza tacca, ha un’amante tanto focosa nell’alcova quando gelida e distaccata sul piano dei sentimenti. Apparentemente integrato, Maldrata è in realtà guastato dentro da un’irredimibile sensazione di malessere alla quale non sa dare né forma né risposta. La passività è il suo tratto distintivo. E passivamente Renzo accetta di lasciarsi trascinare nel pericoloso gioco di una rapina ideata dal suo superiore e soi-disant amico Vittori.
Ma quando, nelle fasi preparatorie del “colpo”, che nelle intenzioni dovrebbe garantire agli sgangherati partners l’agognata “svolta”, Madralta s’imbatte nella giovane, fresca, pulita Laura, d’improvviso la nebbia che lo avvolgeva si dirada, il malessere trova una ragione e, nello stesso tempo, una risposta: ciò che Renzo inseguiva, senza saperlo, era una grande passione. Ciò che Renzo aveva sempre cercato, senza saperlo, era Laura. Sarà quella “giusta”? E il “colpo”, che finalmente assume, anche agli occhi del protagonista, quel valore di riscatto e di “svolta” che sorreggeva la confusa determinazione dei complici, il colpo andrà a buon fine? Domande a cui non si può dare risposta, in questa sede, se non si vuole privare il lettore del piacere di gustarsi il crescendo narrativo di questo notevolissimo, e per certi versi assai originale, romanzo di Franco Limardi.
Ora, i fan dell’etichetta a tutti i costi potrebbero stentare a iscrivere Limardi alla popolosa comunità degli autori di “noir italiano”. Il coacervo di esperienze narrative che siamo abituati a classificare come “noir italiano” si connota per la costante attenzione a temi di impatto sociale e politico, e per il ricorso a moduli narrativi realistici sostanzialmente mimetici del contemporaneo. Il “noir italiano” è stata la via scelta, da una ventina d’anni a questa parte, da una pattuglia di scrittori dichiaratamente antiaccademici per narrare le tensioni e i cambiamenti del Paese. Limardi sembra muoversi in controtendenza. La sua è una storia di patologie individuali. La lingua è trasognata, e persino il dialogato vernacolare, qua e là affiorante, più che realistico è, al massimo, iper-realistico. L’ambientazione evita il ricorso a dettagliate descrizioni urbanistiche, e si snoda attraverso una metropoli astratta, una provincia dai contorni indefiniti, e l’incombente presenza dei non-luoghi di smercio & commercio (super e ipermercato) che veicolano effetti di conturbante straniamento. L’esito è una drammaturgia congelata, quasi ieratica, che pare recuperare la purezza metafisica di certi classici del “noir” anni Cinquanta (David Goodis su tutti) ed ha singolari punti di contatto, anche nella sociopatia del protagonista, con il recente, bel film di Sorrentino Le conseguenze dell’amore.
Tuttavia, questi elementi, o, per meglio dire, queste modalità espressive convivono, nel romanzo, con temi profondi che ricorrono nel “noir italiano”. Vittori e Madralta sono assolutamente figli dei nostri tempi. Sono entrambi corrotti. Vittori perché pronto a tutto per i dané da realizzare presto e senza fatica, e da convertire altrettanto rapidamente e in modo indolore in vacui gadgets. Madralta perché disponibile a lasciarsi moralmente pervertire da un piano criminoso. La corruzione, patrimoniale e morale, è uno dei cavalli di battaglia del “noir italiano”. Ancora: Madralta e Vittori sono caratteri incapaci di lasciarsi coinvolgere da un qualsivoglia progetto collettivo. Il particulare è il loro Dio, il loro idolo, la loro droga. La stessa passione devastante di Renzo per Laura, nel suo tendere a un anarchico getaway senza causa, è efficace metafora del rompete le righe di un tempo (e di una collettività) che hanno perso il senso di categorie come solidarietà e condivisione.
Vi è poi, a carico del protagonista, un’altra connotazione di indubbio sapore contemporaneo: Madralta è un guardiano, un sorvegliante, un custode che varca la soglia del Male e passa dall’altra parte. Questo personaggio incarna la più plateale distorsione di quell’ossessione per la sicurezza che, insieme al mito della “tolleranza zero”, sta da anni intossicando le nostre esistenze. Ed è curiosa, al riguardo, un’altra singolare risonanza che il romanzo evoca: quella con Il cono di luce del futuro dell’evento di Giambattista Avellino, “noir” metafisico incentrato su un sorvegliante coinvolto in un crimine che lo porta a diventare, a sua volta, sorvegliato.
Le coincidenze, quando ricorrono, cessano di essere tali, e si fanno percezione condivisa. In questo senso, dunque, Anche una sola lacrima è, e allo stesso tempo non è, un “noir italiano” anomalo. La “controtendenza” di Limardi è anch’essa un’apparenza più che una sostanza. O, per meglio dire, ciò che altri dichiarano esplicitamente (talora correndo il rischio di una maniera che costituisce il vero punto critico dell’attuale condizione del noir italiano) Limardi maschera dietro modalità che, nel loro richiamarsi a una più antica tradizione, ci appaiono, con felice paradosso, mirabilmente innovative.