di Giuseppe Genna
L’esito del referendum è un’ulteriore prova che, al di là delle convinzioni delle singole persone, noi viviamo in un Paese di merda. Questa è una nazione che non capisce un cazzo in massa, snobba i minimali della strumentazione democratica, se ne fotte di problemi fondamentali quali ricerca scientifica e statuti della vita. E’ un Paese il cui Sud persiste nel fare da zavorra elettorale di fronte ai momenti politicamente decisivi e il cui Nord è capitanato da idioti sfatti dal benessere crasso e da ragiunatt che chiedono il ritorno alla lira ma sognano la Cermhania. Questo è uno Stivale bucato, la portaerei nel Mediterraneo ormai in secca, una landa in cui si affittano le spiagge e, se non si affittano, è tutto un Riminiriccione identico alle spiagge affittate. E’ una provincia vaticana che pensa che spettrali e ossuti ominidi, con la zucchetta color porpora in testa, ancora abbiano ragioni civili da esprimere. E’ la melma dell’occidente e una disgrazia che l’oriente non si augura, quest’avanguardia del provincialismo e dello scazzo, che si sente invasa dalle scarpe cinesi ed è manipolata da lesbiche roche che nel tivvì spacciano spazzatura per realtà. Mi vergogno profondamente di viverci, in questa merda, a poche ore dall’esito dei referendum.
Dice: erano quesiti troppo difficili, esposti in forme astruse, la gente non capisce. Come se la gente, quest’odiosa palta sociologica a cui si è ridotta la comunità, non avesse il dovere e il diritto di farsi un’idea di un tema tanto centrale, tanto pressante, tanto radicato nel cuore del futuro di ognuno di noi. Fecondazione assistita e ricerca con le staminali: orizzonti terapeutici e statuti filosofici e civili fondamentali. Ma la gente non ci ha la voglia, capisce solo i Costantini, le Melisse, i Valentinirossi che ciacolano le quattro regole di grammatica che hanno appreso e soloneggiano in un’azzurrina nullità. La gente è ignorante e allora non deve decidere sui limiti della vita, sui vantaggi e gli svantaggi della bioetica e della manipolazione sperimentale. Fare uno sforzo per leggersi una paginata di Corriere della Sera su che cavolo è un embrione? Macché. E’ da settimane che vivo ogni mattina al bar situazioni da cappuccino mainstream e generalista, con gente che scambia embrioni per spermatozoi e chiude con battute chiaverecce. Non vivo a Milano, ma in una fiction con la Ferilli. Il disimpegno e il pressapochismo hanno raggiunto livelli sconfortanti. Anziché cogliere l’immensa possibilità di una decisione che, per una volta, sbaraglia le divisioni ideologiche, costringendo ammiratori dei gerarchi fascisti ad assumere posizioni superprogressiste ed ex bravi ragazzi radicali a esprimersi come Pio IX, questo Paese volta le saplle allo strumento della consultazione diretta, si accoccola nell’obnubilante torpore della parodia di democrazia a cui hanno ridotto mezzo continente. La dice lunga, la percentuale dei votanti al referendum, sulle chance di reinvenzione politica di questo Paese. Era una chance. Il risultato è che essa ha di fatto mostrato la pervicace inanità politica di ciò che si pretende trasversale e liberatorio, confermando al tempo stesso la funerea persistenza di punti di riferimento ormai sorpassati, schiacciati dal tempo e dagli errori commessi.
Questa sera un giornalista del servizio pubblico, che dovrebbe essere una persona dedita all’obbiettività, ha intervistato, con modulazioni che andavano dalla moquette allo zucchero filato alla prostrazione dei valvassini, un importante gerarca italiano della Chiesa cattolica. Questo cardinale, che è prossimo a essere sostituito dal nuovo Papa e non per colpa della prostata, enunciava logiche istituzionali che nulla hanno a che vedere con la fede e appartengono in toto a una prospettiva politica sull’esistenza. Del resto, questo è un Paese che, pur professandosi cattolico, non crede assolutamente più a paradisi e inferni e, se interrogato mediante sondaggi dal quorum assicurato, non è davvero in grado di dire se l’ostia che saltuariamente ingurgita sia simbolica o davvero la carne fisica del Cristo. La Chiesa di questo Paese è cieca e perennemente parkinsonizzata, cristallizzata al momento in cui aprirono la breccia di Porta Pia. I vescovi italiani si pronunciano sul calcio e sull’Alzheimer. E’ una Chiesa che non capisce davvero cosa sia e cosa stia dicendo il suo Pontefice, al di là delle superficiali apparenze. E’ una Curia con tanto di giornale e versamento delle tasse. Si dovrebbe dare a Cesare quel che è di Cesare, e a Dio quel che è di Dio, ma questi vogliono sia quel che è di Cesare sia quel che è di Dio. Dimenticano che per ogni Cesare c’è un Bruto.
Non si discute qui del “sì” e del “no”. Si discute delle incredibili prese di posizione di vertici istituzionali che caldeggiano il non ricorso alle urne, che spacciano doveri elementari (su cui la democrazia si regge e attraverso i quali viene sentita propria) con diritti da zapping televisivo. Tatticismi, strategie minuscolissime rispetto all’enormità dei problemi affrontati, dinieghi a mezza voce, roboanti appelli da ex democristiani pronti a sfruttare una sconfitta totale dei cittadini, oltre che delle coppie sterili e dei ricercatori scientifici. Salvo poi, sulle stesse pagine che hanno imposto un martellamento surreale circa l’astensione (mai così prossima, in questo caso, all’astinenza) leggere le parole enfatiche di retori nazionalisti fuori tempo, che lamentano la fuga dei cervelli all’estero. Stiamo scherzando? Fossi un genetista, partirei stanotte per la California.
Considerazioni ulteriori che non vengono fatte o si fanno a voce bassissima, mentre si vocifera mediaticamente sullo storico pellegrinaggio ciellino per l’astensione. Anzitutto è una elementare questione di fantastico. E’ mai esistito un frangente del fantastico in cui l’umanità, intravvedendo una possibilità pratica di intervenire sulla materia, se ne sia astenuta? La materia su cui si votava doveva essere il pane di scrittori, artisti, intellettuali: gente che, a diverso titolo, si dovrebbe occupare di fantastico. Il fantastico è lo spalancamento delle possibilità nella storia. L’assordante silenzio che in occasione del referendum la comunità intellettuale italiana ha fatto pervenire ai nostri padiglioni auricolari è sintomatico: non esiste una comunità intellettuale e, se esiste, è una comunità di gente che non si rende più conto che, in quanto intellettuali, ci si occupa precisamente di queste cose qui. Philip Dick se ne è occupato in tempi non sospetti, i nostri scrittori non se ne occupano manco in tempi sospetti.
Ancora. Il ruolo vicario della politica. E’ plausibile che l’arco costituzionale venga terremotato da questioni tanto centrali? A cosa stavano pensando i rappresentanti politici quando stendevano o votavano quella legge? Uno può considerare la legge 40 infame o legittima, ma ha il diritto di chiedersi a cosa pensavano i rappresentanti del popolo, democraticamente eletti, mentre votavano quegli articoli. Farsi trovare così impreparati, così spensieratamente approssimativi costituisce un sintomo di assoluta gravità. E’ incancrenita più che mai la macchina della rappresentanza. I richiami della retorica ciampista sono ridicoli o deleteri, rispetto a questa, che è una realtà di fatto. L’istituzionalizzazione diviene un meccanismo pericolosamente vuoto e incerto, quando è privo del sentimento di appartenenza, cioè di validità, cioè di rapporto tra popolazione e politica. Lo stato confusionale della classe cosiddetta dirigente, sovrapponibile a quello che ha còlto i rappresentanti della Chiesa rispetto a cosa sia Dio, è il segnale di una debolezza intrinseca del processo democratico. Nell’indifferenza, e non negli applausi, cresce il rischio del collasso delle repubbliche. La strategia tecnocratica, che prevede un progressivo allontanamento del citoyen dalla politica, vive in questo momento il suo buco nero. E’, storicamente, il momento in cui si fanno sentire le pressioni dei lumpen e che queste vengono intercettate e reinterpretate dalle destre estreme. Lo scivolamento nel coma prepolitico da parte degli italiani è uno stato di incertezza cronica: dove sarà direzionata quest’inerzia, non si sa. Non si sa nemmeno se verrà direzionata. Certo è che non si tratta di un segnale di salute. La febbre della democrazia si sta rovesciando una febbre e basta. Urge una risposta di movimento.
E’ a coloro che sanno cercare, scavare, reperire ragioni che, a questo punto, si può rivolgere un appello. La mobilitazione di immaginario deve crescere di gradiente. Deve commistionarsi, cogliere ogni possibilità e suggestione che offra la comunità, nazionale o internazionale. Non si può affidare all’elaborazione di un odontotecnico brianzolo l’enorme dimostrazione di civiltà che la Francia ha fornito in occasione di un altro referendum, quello sulla Costituzione europea. Bisogna comprendere che le battute grottesche degli odontoiatri brianzoli sono una sfida sul piano dell’immaginario, dell’interpretazione, della ricezione. Bisogna sottrarre terreno a chi direziona l’immaginario secondo traiettorie reazionarie. In quest’opera, noi di Carmilla ci proviamo, ci abbiamo provato, continueremo a provarci.