di Vittorio Catani
[Il presente racconto è incluso nell’antologia personale di Catani Chimere senza tempo, recentemente edita da KOL (Kipple Officine Libraria, “Bibliotheka di Avatar”, n. 1; pagg. 232, ill.ni di Giuseppe Festino). Il volume ripropone 12 storie apparse dal 1972 ad oggi. Il racconto (1985) apparve nel 1996 su Carmilla versione cartacea (anno II n. 2; ill. di Francesco Mattioli, qui riprodotte). Ulteriori notizie su Chimere senza tempo, e modalità di reperimento, sono qui.]
Basterà cambiare il mondo intero
perché cambi un singolo essere umano?
GIANNI RODARI
Si svegliò.
Percepì l’aria tiepida della notte, l’odore delle siepi di Cortile Corvino, e alla nuca la pressione del bastone. Rigido, come la sagoma china su di lui.
C’era la ghiaia, in quell’ansa interna del viottolo. Gli escoriava i gomiti e lo pungeva.
— Muoviti, animale — disse la sagoma. Incombeva con quel bastone premuto.
Loli si alzò, bestemmiando e massaggiandosi. Il mondo di Loli era fatto di paura, odore di città, carne, morte, tenebre e violenza. Un succedersi di spostamenti furtivi, sonni brevi al riparo delle siepi, ricordi sgradevoli spesso sconnessi.
Più avanti, nascosti dalle piante, dovevano esserci Mango, Bess e Trizia. Ma ora non poteva svegliarli, doveva pensare a se stesso. Si avviò lentamente, tallonato dall’altro. Lo investirono le luci e il chiasso della strada, l’oceano di gente barcollante.
Camminarono spediti.
Già da fuori non sembravano normali palazzi e le riconoscevi subito: le case degli sbirri erano gigantesche bolle luminose, dalle finestre asimmetriche uscivano fasci di luci, le facciate esibivano scritte mobili, bandiere radianti. Mentre si avvicinavano Loli distolse lo sguardo, schifato. — Dove cazzo credete di andare — disse. Folla frusciante, teste imbottite di stupex. Urtò una donna grassa dalla pelle scura che gli indirizzò uno sguardo torvo e biascicò roca. Nell’afa l’asfalto cominciò a fumare per una calda pioggia repentina.
Erano bolle luminose stipate di gente incredibile, funghi rigonfi alti dieci piani.
Quando furono dentro, vennero i soliti olo. Loli disse: — Mi sarei tagliato le palle per scommessa — mentre uomini strani ma tutti uguali scrutavano muti le sue reazioni. Lui invece non riusciva a fissarli perché avevano sguardi estremamente sfuggenti, anzi parevano non avere occhi. Davanti a lui, gli ologrammi accecanti seguitavano a sfilare in un balletto insensato. Inchiodato al suo sgabello di ferro Loli calcolò: uno ogni due secondi. Ma un altro durò di più. Vedeva un uomo di mezza età nudo, magro e muscoloso, la pelle del torace porosa. Ripreso dal basso e di tre quarti esibiva un’erezione imponente, in primo piano le vene rilevate del grosso pene, e rugosi testicoli scuri. Emanava un’aria sgradevolmente selvaggia. Reggeva per le ascelle una grassoccia ragazzina nuda intorno agli otto anni, di spalle. Loli accusò un calore all’inguine ma fu veloce a distogliere lo sguardo. Eppure qualche luce su un pannello doveva averlo tradito. Capì che anche questo olo era durato due secondi, quelli senza occhi confabulavano, verificavano. Alla fine dissero:
— Ci sono state violenze gravi, stanotte. Tu sai che devi stare molto attento. Dovete stare tutti molto attenti. — Silenzio. — Sei nella norma. Vuol dire che sei merda come tanti altri. — Un ghigno minaccioso.
Sparisci.
Loli dormiva sulla ghiaia dietro le siepi di Cortile Corvino, il minuscolo giardino perduto nei meandri della città infinita. Si svegliò col sentore di terriccio nelle narici. Era scuro, per fortuna stavolta non c’erano sbirri in giro. Strano, era più buio di quanto pensasse. E gli altri tre dov’erano? Con uno sforzo fu sveglio del tutto, ma si ritrovò affacciato su un abisso nero come lo spazio stellare. Insomma, non riusciva a riaversi. Non usava mai stupex, si tirò pizzichi e si schiaffeggiò. Si svegliò ancora ed era buio, si riebbe a una maggiore coscienza ma era ancora più buio… Da impazzire!
Paff, paff. Percosse sulle guance, mentre qualcuno diceva: — Sono Mango, accidenti a te. Allora?
— Uh…
— Cristo, finalmente — esclamò Mango, e aggiunse: — Prendi, il tuo casco Mankiewicz. Te l’ho appena sfilato. Devono averti derubato mentre dormivi… controlla le tue cose. Il mankie però te l’hanno lasciato. Ci avevi la testa dentro, l’avevano regolato su infinito.
— Hhmm… — espirò Loli. Aggiunse con voce fioca: — Grazie… Era orribile, pensavo di dover continuare a svegliarmi fino a crepare. — Aveva un’aria stravolta e non immaginava chi gli avesse giocato il tiro. Comunque non l’avrebbe mai saputo. Città-Bazaar contava ventitré milioni di abitanti, cioè di suoi nemici personali. Risvegli all’infinito: con il mankie si potevano fare cosine simpatiche, pericolose. Era stato come dover correre a velocità pazzesca nelle strade buie di un game mortale senza poter più venirne fuori.
— Pensavo a una bravata di qualche banda understupor — considerò Mango. — Be’… un’idea come un’altra.
Loli si tastò il naso, il collo: sentiva il sangue appiccicoso. Si tirò a sedere trascinandosi in fondo al cortile verso le siepi più alte, e giacque nella notte. — A voi è successo niente? — chiese. — Devo andare a casa — aggiunse lamentoso — ho anche da fare.
Aveva un lavoro, e ci teneva a conservarlo. Ora sentiva lo stomaco torcersi per la fame, e temeva i toporagni velenosi. — Al diavolo — mugugnò.
Era insopportabilmente caldo e umido.
— Siamo in estate, ormai — notò Mango acquattato nell’ombra da qualche parte. Prese a piovere la solita orina tiepida, acida.
Trizia era con loro da molto tempo. Loli non rammentava il suo mondo, quasi, prima di Trizia e loro quattro insieme. Quando s’incontravano lei cercava di stargli il più vicino possibile e alle volte lui doveva scansare goffi attacchi, anche se la ragazza non gli dispiaceva. La percepiva disponibile e soprattutto vicina, e con lei, ecco, era sentirsi a casa. Ma non sempre la desiderava. — Ti voglio da impazzire — gli sussurrava a volte Trizia nell’orecchio, quasi con un gemito. — Loli perdio-perdio-perdio. — Gli slacciava i calzoni, lo palpava, lo baciava tutto.
— Sono stata all’imago, oggi — se ne uscì Bess.
— Per cosa? — s’incuriosì Mango.
Loli la ascoltava prestandole poca attenzione, non perché Bess non ne meritasse ma perché era troppo intento a guardarla.
Ora, per esempio, si ritrovavano stesi sull’erba a Cortile Corvino in pieno sole, e Bess era bianca nuda fino alla vita. Loli fissò per qualche istante il cielo azzurro: capitava molto raramente di vederlo così a Città-Bazaar, e a lui piaceva un mondo. Tornò con gli occhi all’altro cielo, Bess.
Lei aveva una lunga freccia di legno duro di ciliegio conficcata nel fianco destro, le trapassava il fegato da parte a parte. Il sangue stillava lento, si raggrumava, e Bess doveva prendere ogni cinque ore due capsule contenenti emopoiet. La cosa spaventava Loli.
— Prima o poi morirai — le diceva. Era sicuro di amarla: gli piacevano l’odore dolce del sudore di lei sotto le ascelle, il suo alito di pesche sciroppate, gli occhi grigi, le efelidi fitte, le natiche simili a due metà di angurie. Amava il cielo sgombro e la frutta, ma come quello anche questa era cosa rara.
— Non morirò mai prima di loro — rispondeva Bess, con un gesto rabbioso verso qualcuno nascosto nei meandri di Città-Bazaar. — Uomini senza occhi e senza cervello — aggiungeva acida.
— E ti è andato? L’imago, dico — (Mango).
— Era l’olo di un… film. Film. Capito? Quelle proiezioni antiche. Con un tipo famoso, Humphy Bockart…
Mango (una smorfia): — Buono?
— Pazzo, vi dico. — Ora era il musetto di Bess a torcersi. Scoppiò in una risatina. — Non dovrebbero far circolare storie così assurde!
— Ogni volta che vai all’imago torni scontenta, però ci rivai — la canzonò Trizia con uno sbadiglio. Anche lei era al sole, nuda, e lasciava voluttuosamente che i raggi la violentassero. Stringeva una mano di Loli.
— Quelle storie — disse Loli a Bess spalancando gli occhi — le danno perché ci sono… — si toccò la fronte con l’indice — …quelle come te.
Mango rise.
Ecco, forse adesso era chiaro, pensò Loli. Bess gli piaceva perché era diversa. Conosceva più fatti degli altri. Faceva cose diverse. Si sarebbe fidato ciecamente di lei, anche se a volte diventava così strana.
* * *
Era giorno, ma era scuro perché mancava il sole. Il cielo doveva essere da qualche parte, chilometri oltre lo strato di nubi come una spugna sporca che orinava indifferente rigagnoli verdastri appiccicosi. Giù per la stretta rotostrada, nel frastuono e nelle luci tra i palazzoni di Quartiere Quarzite sfilava una piccola folla silenziosa. Le donne, sedute a terra a gambe incrociate, esibivano sulle lunghe frecce che le trafiggevano al fianco piccoli seni duri ed eretti dalle larghe areole rilevate. Gli uomini accosciati avevano anch’essi le frecce; molti mostravano toraci lucidi glabri e grossi seni pieni, ballonzolanti alle scosse della rotostrada. Fuggevolmente Loli pensò che il seno maschile gli piaceva molto, e non era questione di mode né di sesso. Ma non aveva mai trovato voglia e soldi per fare il trattamento.
Si era seduto accanto a Bess, e lei pareva concentrata in un pensiero o forse in un’orazione. Si osservò intorno. — Cosa si fa? Che succede, poi? — le domandò con timidezza.
Bess aprì un solo occhio grigio e grande, e lo fissò. La pioggia le scioglieva i trucchi indelebili (in realtà da pochi crediti) dei capelli color miele, degli occhi. Viso e seni erano rigati da rivoletti anneriti sottili come crepe. — Ssst! — disse lei in tono di rimprovero, ma in realtà Bess pareva lieta che lui, di solito indifferente a certi argomenti, le avesse chiesto di stare lì con lei. La ragazza gli si accostò all’orecchio sussurrando: — Ora vedrai. Fra noi oggi c’è addirittura… — Ancora quel nome straniero, che lui stentava a ricordare. — C’è Güciün Nüfüs — ripeté Bess. — È arrivato dalla Turchia apposta per stare con noi. Güciün Nüfüs significa…
Il vero nome del turco era un altro, gli spiegò, ma Güciün aveva scelto quello perché era più idoneo, avendo a che fare con idee quali potere e gente; parlando a bassa voce Bess gli sfiorò l’orecchio e Loli fremé, lo stomaco gli si strizzò dolorosamente e deliziosamente. — Sta maturando qualcosa di molto brutto, Loli — disse Bess, e il suo sussurro era a un filo dal silenzio. — Qualcosa di tremendo, e lo sanno bene alle Centrali degli uomini senza occhi. Invece noi a Città-Bazaar sappiamo poco o nulla, ma vogliamo fare tanto.
Era proprio perché gli piaceva l’aura di stranezza di lei, che Loli stavolta aveva insistito ad accompagnarla in quella insolita processione. — Vivere senza paura sarebbe magnifico — disse Bess. — Senza la paura del…
La ragazza dovette interrompersi, lei e Loli traballarono: la rotostrada aveva subito un blocco improvviso. Da chi? Frontalmente, dal mucchio di gente seduta si sollevò guardingo un individuo imponente. Aveva cranio rasato e pelle color mattone, occhi penetranti scuri come caffè di soia. Alzò le braccia nude e prese ad arringare urlando in una lingua sconosciuta. Loli capì che era quel turco, Güciün. Poi si scatenò l’inferno.
Decine di figure sbucarono forsennatamente dai vicoli laterali. Su, a picco tra i palazzi addossati scoppiò un fischio assordante e Loli fu accecato dal faro di un enorme tank a degravitazione. Il bestione si districava appena tra le cime frastagliate delle costruzioni, caddero mattoni e calcinacci, la strada era troppo stretta perché il tank scendesse. Loli intuì che Bess e i suoi amici avevano scelto quella via di Quartiere Quarzite proprio perché più riparata. Ma intanto coloro che sopraggiungevano di corsa, evidente, erano uomini senza occhi e Loli li maledisse insieme ai loro olo truccati. Si trovò coinvolto in un corpo a corpo in cui arti, urla, pioggia, rumori, boati, s’intrecciavano come nodi insensati di una immensa fune. Uno gli fu addosso e Loli gli sparò un calcio ai testicoli con tale furia che la scarpa si incastrò nell’inguine. — Bess! — urlò con tutto il suo corpo.
Un individuo massiccio stringeva non il bastone rigido di tutti i senza occhi ma un’insolita lama arcuata scintillante, con sopra impresse una falce sottile e una stella. La brandì avvicinandosi a Güciün, rimasto eretto e apparentemente insensibile. Loli perse di vista entrambi, qualcuno strattonò Bess percuotendola. Gli si oscurò la vista, picchiò forsennatamente da ogni lato. L’uomo senza occhi fece una cosa orrenda: strappò con violenza la freccia dal fegato di Bess e cominciò a infilzargliela al seno, alla gola, al ventre…
Era notte, probabilmente. Comunque a Cortile Corvino era buio. Mango disse piano:
— Non dovevi farlo, Loli. Non dovevi portarcelo qui.
Loli piangeva in silenzio da ore, e ogni tanto aveva un singhiozzo. Ai loro piedi sulla ghiaia buia giaceva semisvenuto l’uomo senza occhi. Il suo braccio destro aveva contrazioni. Trizia era accosciata al fianco di Loli e ogni tanto gli poneva delicatamente una mano sulla spalla, asciugandogli le lacrime con le labbra. Gli disse:
— Se la piastrina funziona ancora, alla Centrale lo localizzano e sanno che è qui. Se gli hai rotto la piastrina, sanno che devono cercarlo.
— Li avremo addosso comunque, maledizione — grugnì Mango.
— La piastrina… sono riuscito a metterla fuori uso — rispose finalmente Loli, rompendo il silenzio di ore. — Dovrà morire prima che quelli verranno a cercarlo. Dovrà morire male.
Non si poneva il problema se dovesse dispiacergli farlo. L’avrebbe fatto. Per Bess. Non era nuovo ad azioni del genere, benché fosse la prima volta che prendeva lui l’iniziativa.
Con rabbia e uno schianto interno Loli cancellò le immagini di Bess, soprattutto l’ultima, la più atroce. Il prigioniero stava riavendosi, forse per la decima volta. Farfugliò qualcosa: — Non… fate… Cosa cercate da me…
Più che capire quel rantolo, Loli l’aveva intuito; ebbe una sghignazzata e cominciò a muoversi lesto come un animale, e per prima cosa mise in bella vista il focus. — Adesso sta’ ben sveglio, coglione, guarda cosa ti succede. Lo vedi? — Gli sventolò la lattina di focus sotto lo sguardo spento.
— Un momento! — intervenne Mango — ve ne siete accorti o no? Cristo, la foga vi rende ciechi. Questo ha sui bicipiti il tatuaggio giallo. Pestava pure lui nel mucchio ma era uno dei capi… Ok, ecco un’idea. Se questo è un capo saprà certo qualcosa, e prima deve parlare per bene. Loli, l’hai conciato troppo male e da sé non può farcela a dire quello che vogliamo sapere. Tira fuori il tuo dannato mankie.
Loli prese il casco lucente e lo porse a Mango, che lo calzò con forza sul capo dell’uomo. Gli allacciò le fibbie dietro la nuca, lo regolò dai piccoli bottoni laterali. L’uomo senza occhi ebbe il cranio incapsulato nella lucida palla nera uniforme, interrotta solo in corrispondenza del naso e della bocca da un filtro diffusore circolare, di colore più opaco. — Gli hai ridotto la lingua a brandelli a furia di pestarlo. Eh-eh. Ma ecco che adesso parlerai lo stesso, uomo senza occhi, mi senti? Perfetto! Di’, cosa stanno preparando di tanto strano lì alle Centrali? Abbiamo sentito certe cose, ultimamente. Che c’è di vero?
Silenzio. Poi un rantolo, un filo:
— C’è… un esperimento, in preparazione. Imminente, e se… riuscirà… il mondo cambierà. L’uomo cambierà. Il mondo sarà trasformato. Per sempre.
— Ragazzi, sentite — lo schernì Trizia. — Caga un sacco di stronzi.
— Impossibile col mankie regolato così. Be’, lascia perdere il mondo e scendi al nostro misero livello, coglione — continuò Mango. — A noi, cosa succede?
— Non… succede solo a voi. Succede… — L’uomo dovette interrompersi dilaniato da un lungo, epilettico accesso di tosse. Un filo di sangue mucoso colò sotto il mankie giù per la gola imbrattando la ghiaia. — Succede… a tutti i ventitré milioni di porci stupratori delinquenti drogati di Città-Bazaar e di tutte le luride città del mondo… — L’uomo ansimò, e anche se quella era una sincerità meccanica estorta dal mankie Loli capì che il prigioniero, certo, era felice di quanto stava vomitando e lo odiò, lo odiò fino a considerare inadeguata la sua stessa morte. — Alle Centrali… esistono altre Centrali più segrete… vogliono ritarare… le coordinate antropiche. Ecco, le parole che conosco… sono queste, ma voi non capite il loro significato. Ci sono… cose apparentemente immutabili, costanti… cosmologiche… che saranno trasformate. I rapporti fra gli uomini cambieranno completamente… Bisognerà cambiare il mondo intero perché cambi… anche un solo misero essere umano. — La voce si spense, l’uomo affannò.
— Hai finito? — chiese Loli con apparente indifferenza. Ora armeggiava intorno all’uomo e piangeva di nuovo. — Mango, tu e… — Per continuare dovette fare uno sforzo. — Tu adesso sei rimasto l’unico di noi che capisce le cose che dice. Ha ragione? — Anche Bess le capiva, ma lei capiva ben altre cose.
Mango sospirò. — Mi prenda un accidente, una cosa sola è chiara come il sole. Se quello che ha detto è vero… Oh, be’. Peggio di così… Dai, sbrighiamoci adesso.
I pestaggi e l’ulteriore costrizione a parlare erano costati all’uomo la lingua dilaniata, a pezzi. Una schiuma bianca e rosa mista di saliva e sangue gli cresceva dalle narici e agli angoli della bocca. Ma ora che avevano usato l’uomo senza occhi, dovevano semplicemente gettarlo.
Nel cielo coperto non c’era luna, solo un alone anonimo che era il riflesso delle luci di Città-Bazaar. Certi fiori della notte spargevano aromi per Cortile Corvino e gli alberi che fiancheggiavano i sentieri di ghiaia avevano catturato una cupa luce violastra. In quel punto si aveva l’illusione che la città fosse lontana, che fossero remoti i palazzi grandi come montagne illuminate da dentro. Il focus veniva usato per la disinfestazione contro i toporagni e nelle zone infette. Durante tutta l’operazione, mentre apriva rapido la lattina e cospargeva il corpo denudato dell’uomo, Loli non aprì bocca e gli altri due si limitarono a guardare. Nel volgere di attimi, un chiarore delicato si accese spontaneamente a Cortile Corvino, salendo oltre siepi. Disteso, immobile, l’uomo senza occhi si accese tutto di una tremula fiammella azzurrina, spettrale, contorcendosi in spasmi violenti, emettendo suoni rochi come piccoli spari. La fiamma era selettiva della sola materia organica, con un crepitio appena udibile bruciava senza inquinare, senza diffondere puzzo di membra e viscere divorate.
Non sarebbe rimasta traccia.
Loli era in piedi, immobile. La mascella rigida tradiva lo sforzo di simulare indifferenza, gli occhi erano persi in un incubo o incanto lontano. La cosa sulla ghiaia diventava sempre più scura.
* * *
Trascorse tempo. Settimane. Il primo a scomparire fu Mango.
(Continua)