di Giuseppe Genna
Quello che segue non è un manifesto, ma intendo esprimere qui alcune convinzioni personali e però apodittiche, che valgono un invito ai colleghi scrittori. Per una volta, evito di includere i lettori italiani in un appello alle risorse della letteratura. Se fosse possibile classificare la tipologia di questo intervento, direi che si tratta di geopolitica della letteratura. Si può considerare, un simile appello, come l’altra faccia della moneta che i Wu Ming ci misero in mano ai tempi della Dichiarazione per i diritti (e i doveri) dei narratori. Queste mie considerazioni aspirano a essere un complemento attivo a quella dichiarazione e intendono tracciare una possibile traiettoria, che gli scrittori italiani (e, più latamente, europei) possono contribuire a fare percorrere a un immaginario alternativo a quello occidentale dominante, ma già implicitamente iscritto nei geni di questa melma con cui è andata identificandosi la fantasia del mondo industrialmente sviluppato.
1. La letteratura è l’immaginario
La letteratura non è la lingua, lo stile, il desiderio di esprimersi o recepire, le scene, i personaggi, la versificazione o la prosodia, le storie, le strutture, i singoli elementi di una ipotizzabile macchina e nemmeno la macchina stessa.
La letteratura è l’immaginario.
L’immaginario utilizza, ovviamente, i linguaggi a disposizione dello scrittore che si fa intercettore dell’immaginario stesso, ma non si identifica con tale linguaggio. Il linguaggio struttura la resa letteraria e, quindi, la resa letteraria non coincide con l’immaginario.
Esempio: la scena dell’Inquisitore in Dostoevskij non l’abbiamo letta in russo e l’abbiamo capita benissimo.
2. L’immaginario è telepatico
Lo sostiene Stephen King in On writing ed è ora di assumere questa posizione quale cardine fondamentale di una letteratura che intende esprimere non un immaginario, ma la totalità dell’immaginario possibile. L’immaginario è la radice psichica di quanto si è detto “letteratura” dal Romanticismo in poi. Si esige una terapia da questa ideologia che non ha più nulla da dire, gravida com’è di contraddizioni che non intaccano minimamente la vita delle comunità e dei singoli: ispirazione versus realismo, prosa versus poesia, genere versus genere. Esiste un unico genere ed è l’immaginario, o telepatia, o facimento di storie.
3. L’immaginario si concretizza anzitutto in storie
Non si è certi dello statuto umano dell’immaginario. Non è dato agli umani sapere se l’immaginario esista o meno a prescindere dalle vite umane. Se i fantasmi esistono davvero, sembrano esprimersi grazie a movenze dell’immaginario. Questo buco nero coincide con il principio per cui l’occhio non vede se stesso. Nonostante ciò, gli umani osservano il proprio occhio grazie a una tecnologia detta “specchio”. Lo specchio dell’immaginario sono le storie. Esse anzitutto non sono linguistiche. Sono un aggregato di sentimento che pensa, di folgorazione delle intelligenze e della storia cronologica umana. Queste storie si depositano o vengono intercettate. Nel momento in cui vengono intercettate, esse sono vive nel preciso luogo in cui il lettore le percepisce leggendo. Le storie definiscono un’indifferenza spirituale tra lo scrittore e il lettore.
4. Le storie convocano gli archetipi
Le storie sono analoghe a frasi le cui lettere sono archetipi. Le storie non coincidono con gli archetipi (esempio di archetipo: l’eroe). Strutturandosi, una storia non può evadere dalla necessità di convocare archetipi, così come non si può parlare senza usare unità minime linguistiche dette “lettere”. Però le storie non coincidono con gli archetipi. Le storie sono un luogo di convocazione degli archetipi. Convocati gli archetipi, esse sono pronte a cristallizzarsi in strutture, sequenze e, infine, in linguaggio.
5. Le storie sono un’immagine mobile del divenire
Prima del pensiero della struttura, avviene l’intuizione delle storie. Queste storie sono speculari alla storia, nozione aperta con cui l’uomo emblematizza il proprio interregno sul mondo. L’intuizione delle storie è la carne dell’immaginario. L’immaginario è la traduzione di un adattamento a uno stato che, nel caso della specie umana, può definirsi temporalità. Il motivo per cui le storie hanno uno sviluppo non è strutturale: l’intuizione delle storie (cioè il loro primo cogliersi) non ha sviluppo ed è identica alla semplice sensazione di essere da parte dell’umano, motivo per cui non esiste sviluppo all’intuizione “io sono una persona viva” – il che intuiamo senza linguificarlo secondo sviluppi, non abbiamo bisogno di ripeterlo in ogni momento della giornata.
Il che permette un’osservazione di ordine sintomatico: nell’immaginario non si avverte il bisogno.
L’intuizione delle storie è un momento che è assimilabile alla cruna. Per esempio la frase: “Nella mia follia supersonica riuscivo quasi a godere della situazione in cui eravamo venuti a trovarci”, di Don DeLillo in Underworld, è l’intuizione di una storia: un’intuizione priva di sviluppo che mette in moto le storie che possono passare attraverso quella cruna intuitiva.
6. L’immaginario storicizzato, culturalizzato
L’immaginario è il fondamento della storia umana. Con un atto immaginifico la specie umana dice di avere vissuto e di vivere una storia. L’immaginario pone e supera un problema di relazione tra la temporalità e l’eternità che prescinde dal tempo (e, dunque, dalla lingua). Soltanto attraverso una copula immaginaria le comunità umane si autodefiniscono. Essendo una prassi di immaginario, questa autodefinizione è dinamica, inafferrabile e continuamente mutante. Se l’immaginario si cristallizza, se l’autodefinizione diviene percepibile più come limite che come apertura, siamo di fronte alla culturalizzazione dell’immaginario. L’oggettificazione dell’immaginario mette a repentaglio la specie. La specie è diveniente, è nata vive e muore nel flusso del divenire che è l’immaginario. Arrestando per astrazione questo flusso in forme definitive, la specie compie un lavoro che ne mette a repentaglio l’esistenza. Se il simbolo della croce (vortice dinamico dell’immaginario) diviene “la Croce”, siamo di fornte a un lavoro di cristallizazione dell’immaginario. Non è che la natura diventi cultura – piuttosto, la natura/cultura diviene feticismo, culturalizzazione. L’immaginario è aperto e sempre diveniente: il che è rasserenante e angosciante allo stesso tempo. Da questa compresenza della rassicurazione e dell’angoscia deriva il potere terapeutico che le storie esercitano sulla specie umana (fiaba, aneddoto, racconto orale, etc).
7. Guerra d’immaginario
Una colonizzazione dell’immaginario viene effettuata spacciando l’immaginario per ciò che non è: lo stare limitante al posto del divenire continuo. La colonizzazione avviene per immaginario: nessuna potenza militare è definitiva, essa è sempre ribaltabile, ma qualcosa (la realtà, certi eventi storici come le battaglie) suggeriscono che qualcuno sia tanto forte da assicurarsi il dominio. Questo dominio si rovescia immediatamente in un dominio amministrato tramite la gestione delle immagini. Le cose acquisiscono un senso grazie a una culturalizzazione che viene elevata a norma sociale. Poiché l’esito non è l’immaginario, essendo la letteratura l’immaginario, consegue che la letteratura è ciò che reclama per la specie la potenza addiveniente dell’immaginario e si oppone a qualunque cristallizzazione dell’immaginario in legiferazione, in limitazione.
8. Il ventre molle dell’attuale dominio di immaginario
Attualmente il nostro continente vive una stasi di immaginario che è definibile in termini di contrazione e densificazione dell’immaginario stesso. Una lunga opera di culturalizzazione dell’immaginario sortisce i suoi effetti. L’immaginario “si sa”: segno inequivocabile che lo si è cristallizzato. L’immaginario “non si sa” mai, non può mai sapersi: non si ferma in un sapere. Esso non provoca stili di vita, ma immaginazioni suggestive, rassicuranti e inquietanti al tempo stesso. Attualmente si dispone di uno stile di vita (detto “occidentale”) che sembra non cedere il passo alle enormi aperture di immaginario. L’immaginario entra nel nostro presente occidentale con due immagini, al solito abnormi, apparentemente antitetiche e aperte – cioè: addivenienti.
La prima immagine è la fine del pianeta e della specie.
La seconda immagine è l’espansione extraplanetaria della specie.
Questi sono gli autentici vortici di immaginario che costituiscono, per loro quintessenziale natura, il ventre molle del dominio con cui si è culturalizzato l’immaginario occidentale.
9. Ancora sul ventre molle del dominio di immaginario
Ecco un articolo recentemente apparso su un grande quotidiano nazionale:
Una nuova indagine del Seti Institute e del National Geographic Channel
Vita aliena: due terzi degli americani ci crede
I due terzi degli americani pensano all’esistenza degli E.t. Se contattati da un alieno, 9 su 10 non esiterebbero a rispondere
WASHINGTON (Usa) – La vita aliena esiste? E, in caso affermativo, che tipo di evoluzione ha conosciuto sugli altri pianeti? Domande anche troppo inflazionate, si direbbe, ma che tornano di grande attualità dopo che un nuovo studio commissionato dal SETI Institute (il celebre laboratorio scientifico che va a caccia di alieni sfruttando il calcolo distribuito via Internet) e dal National Geographic Channel ha provato a sottoporle a un campione di cittadini americani. Almeno i due terzi degli americani sono convinti che sugli altri pianeti la vita esista: lo si scopre scorrendo i dati e i commenti dell’indagine, dalla quale emergono informazioni piuttosto sorprendenti. Ad esserne certi sono soprattutto gli uomini (69 per cento), meno le donne (51 per cento) e il 90 del totale si dice intenzionato a rispondere a un eventuale messaggio proveniente dalle galassie lontane. Inoltre, il 72 per cento di quanti credono nell’esistenza di una dimensione extraterrestre si dichiara “eccitato” e “pieno di speranze” sull’eventualità. Si tratta soprattutto dei rispondenti di sesso maschile, mentre le donne rivelano in maggioranza nervosismo e paure. Tra i vari capitoli del rapporto, uno è stato dedicato a domande più a carattere “qualitativo”: 7 cittadini Usa su 10 pensano che le forme di vita intelligenti sugli altri pianeti siano simili a quelle umane, e la stessa percentuale si dice convinta che tali entità siano in possesso delle tecnologie adeguate per comunicare e viaggiare nello spazio.
L’immaginario è una potenza che confonde i termini del verisimile e dell’inverisimile. Il futuro tutto e un passato remotissimo si presentano, gemellari, nello sporgersi dell’immagine alla specie.
La ricerca del National Geographic asserisce semplicemente che, al cuore del dominio dell’immaginario occidentale, esiste un buco di immaginario non culturalizzato.
10. Andarli a prendere
Viene reclamato il diritto e il dovere di andare a prendere gli umani che intercettano, confusamente, le immagini aperte di cui sopra, e di compiere quest’opera letterariamente. Quest’opera detiene i criteri formali con cui si esegue:
– il genere storico e il genere fantascientifico divengono equipollenti;
– il genere storico e il genere fantascientifico mutano in generi ancora sconosciuti nei termini linguistici (cioè strutturali, retorici, stilistici) con cui stanno per essere realizzati;
– ogni opera di genere storico e fantascientifico, se è tale, cioè se è in grado di entrare nelle immagini aperte di cui sopra, fa genere a sé;
– non si parla più di generi ma di esperienze di immaginario o esperienze letterarie.
L’imperio ha un buco, è il suo ventre molle. La letteratura è in grado di allargarlo. Di lì entrano correnti di immaginario che si traducono in esperienze interiori, collettive, politiche, estetiche, riassumendo in sé le storie e la storia della specie.
11. Prassi
Lo abbiamo visto. Lo facciamo.
Andiamo là e li prendiamo.