di Delia Angiolini e Nicola Pasqualetti
[I giorni e gli anni – Dalla vita di Gesine Cresspahl è il Moby Dick europeo della seconda metà del Novecento. Il capolavoro di Uwe Johnson approda al secondo volume, grazie a Feltrinelli, che lo pubblica ora nella sua splendida collana Le Comete. Riproduciamo qui la nota introduttiva dei due bravissimi traduttori. gg]
In quanto frutto estremo della parabola evolutiva del romanzo europeo, Jahrestage partecipa di quegli oggetti che hanno un sottile ma continuo crescendo émouvant fino all’epifania del senso; e il movimento è nel senso di scoprire solo alla fine insieme la risposta e la domanda. Il successo del genere giallo si basa su un movimento contrario: ad una domanda iniziale (chi è l’assassino?) fa seguito un crescendo thrilling fino allo scoprimento del colpevole. In comune c’è un gusto per l’investigazione e per il progressivo disvelamento: nel primo caso è lo status (declinante e in crisi) della forma romanzo nella società borghese a fornire l’indispensabile consenso, la venia scribendi, e il lettore si dispone per inerzia dal XIX secolo di buon grado o suo malgrado a leggere il “torso colossale”; nel secondo caso è l’obbligatorietà dell’azione penale a dare venia (anche) al commissario di riflettere sul mondo, o meglio: sulla debilitata ragione del mondo, per dirla con Carlo Emilio Gadda.
Il secondo Novecento, fase estrema di questa forma come grandioso progetto di riscatto dall’oblio, ha prodotto Jahrestage di Uwe Johnson (1970-1983) e La Vie mode d’emploi di Georges Perec (1978).
È ovvio che al progressivo allontanamento dal romanzo storico corrisponda nella lingua il passaggio da un gusto filologico ad un approccio più strutturalista, glossematico (un elenco provvisorio di numi: De Saussure, Jakobson, Hjelmslev: tre circoli linguistici e un triangolo di città, con Praga ad occupare ovviamente il vertice più importante). Non è quindi un caso che Gesine trovi il suo vero inizio a New York soltanto quando la fortuna la mette in contatto con le hostess Brøtersen & Bertoux che se ne ritornano ciascuna alla casa madre, a Copenaghen e a Ginevra, lasciando alle Cresspahl l’appartamento in Riverside Drive: può essere generato così l’anno di Gesine, che risulterebbe per altra via figlio di Roman Jakobson in un senso ancor più letterale di quello per cui, nella figura di Marie, questo romanzo è figlio di Jakob e del primo romanzo di Uwe Johnson Congetture su Jakob.
Ma è anche ovvio che nella composizione si verifichi una certa perdita di contatto con il lettore, cioè con il pronipote degli affezionati del feuilleton, il quale già di per sé fa un suo cammino di oblio della prospettiva storica: il risultato finale è il paesaggio odierno, dove la moneta del thriller ha scacciato quasi del tutto quella del romanzo, storico o strutturalista che fosse.
Non che Uwe Johnson si prenda il lusso di evadere dalla storia in un mondo di Fantàsia o in una Terra di Mezzo — piuttosto Jahrestage è inchiavardato nella storia come Lisbeth nella sua camera di morte; sorretto e strutturato da un invincibile desiderio di allontanare da sé questo calice di fiele. Qualcuno ha scritto che “l’histoire est un vieux cauchemar bariolé” — per Gesine è certo un incubo, ma niente affatto vecchio ed è piuttosto in bianco e nero o nei colori lividi di certe immagini da Nuit et brouillard (cfr. al giorno 10 marzo 1968).
Ad ogni modo i sogni vanno interpretati e ricostruiti, da qui la grande metafora dell’edificio che presiede anche a Jahrestage, sia pure in una forma più criptata rispetto al pur criptico (e redatto con inchiostro più simpatico) puzzle di 99 pezzi che alla fine si ricostruisce per lo stabile di Rue Simon-Crubellier 11, nel romanzo di Georges Perec (1936-1982).
L’edificio è metafora antistorica (gegen die Geschichte) per eccellenza, poiché nell’edificio i materiali presi dalla geologia dei sedimenti (Schichten) vengono ricombinati e in parte strappati alla vicenda minerale con un gusto architettonico che espone in piena luce materiali a suo tempo metamorfosatisi nelle viscere della terra; è così che accanto al magistero della filologia tedesca e al suo gusto geologico di forare carote nella storia delle parole compare in Jahrestage un gusto chimico per le libere associazioni.
Passando dalle strutture simboliche e sotterranee alle evidenze strutturali, possiamo osservare come anche nel secondo volume prosegua la scansione temporale di un capitolo per ogni giorno (sarebbero queste le impalcature esterne dell’edificio immenso) e si arrivi a due terzi dell’anno newyorkese di Gesine Cresspahl. Colpisce il fatto che, a dispetto dell’ovvia continuità cronologica, il capitolo iniziale del 20 dicembre presenti un vero e proprio nuovo incipit (Das Wasser ist tief unter der Strasse versteckt) che riprende quello del primo volume (Lange Wellen treiben schräg) e a cui si ricollega l’incipit del terzo (Das Wasser ist schwarz) al 20 aprile; tutti e tre gli attacchi (1970, 1971, 1973) sono la descrizione straordinariamente sospesa e “statica” di un’azione piena di dinamismo qual è quella dell’interagire con il liquido elemento: cavalcare le onde del mare, tuffarsi nel rimbombo dei tuffi in piscina, increspare nuotando la tetra quiete di un lago artificiale al mattino.
Tre nuovi inizi dunque, perché in realtà Jahrestage non è una tetralogia, il quarto volume è da intendersi come esito teratologico sul corpo del terzo — e in effetti al quarto volume (1983) non è riservato alcun incipit particolare, o al massimo uno in tono minore rispetto alla rigida simmetria degli altri tre. Sorge la domanda se gli incipit vogliano individuare l’effettiva scansione di una trilogia, con una sfumatura significativa da attribuirsi a ciascuno dei membri della triade — oppure se questi attacchi siano espedienti letterari esteriori, come dei Leitmotiv ad uso di un pubblico stremato di Wagnerites. Se questa scansione ha una qualche nettezza, qual è la funzione dei tre membri? Jahrestage è divisibile come Guerra e pace in quattro agili volumetti Bur o ha quanto meno l’articolazione della Trilogie du Nord di Louis-Ferdinand Céline? E se la risposta è la seconda, qual è il ruolo costruttivo peculiare di ognuno dei volumi?
Quando poi andiamo a valutare più da vicino il giuoco delle tre parti di cui è costituita la narrazione giorno per giorno, vale a dire: collage di trafiletti di stampa (perlopiù dal New York Times); narrazione del presente newyorkese di Gesine e di Marie; narrazione del passato meclemburghese dell’eroina eponima — qual è e come cambia (e perché) il peso relativo di esse nel corso della narrazione? Perché non vi è dubbio, questo peso cambia, già in questo secondo volume rispetto al primo, e cambierà moltissimo a mano a mano che la vicenda nel passato vedrà Gesine prima adolescente e poi alle soglie della maturità e dell’esame di stato.
Se questa enorme struttura si sottrae alle aspettative del realismo ingenuo, pure non sfugge a due domande ingenue: da dove Gesine tragga le informazioni estremamente circostanziate su accadimenti familiari precedenti la sua nascita, o della sua prima infanzia; da dove Marie derivi la sua curiosità e maturità eccezionali per una bambina di undici anni — ma per provare a rispondere alla seconda domanda occorre aspettare il terzo volume.
E magari per la risposta alla prima può essere d’aiuto la curiosa appendice che spicca alla fine del volume per essere introdotta dopo l’ultimissima frase (La terza parte di questo libro comincia…) e per essere redatta in caratteri tipografici diversi.
L’appendice è stata inserita da Uwe Johnson su espressa richiesta del suo editore Siegfried Unseld; in una lettera del 10 agosto 1971 a Max Frisch a proposito delle circostanze della sua redazione Uwe Johnson commenta: “Io avevo più di una perplessità, poi però ho ceduto alla sua [di Unseld] richiesta di scrivere un indice dei personaggi che compaiono nei volumi I e II. Perché spesso non sapeva chi fosse questo veterinario che ricompariva, e non voleva ricordarsi di quando il personaggio era stato introdotto, appena duecento pagine prima. Temo ne verrà fuori un registro a suo esclusivo uso e consumo”.
A parte il fatto che Johnson ha ragione, visto che anche un romanzo molto più breve ma sufficientemente russo come il Dottor Zivago produce ben presto una ridda di personaggi imparentati tanto più inestricabile — l’autore comunque non ha compilato un registro dei personaggi, bensì un oggetto del tutto autonomo, che pone più problemi di quanti dovrebbe risolverne.
Innanzi tutto, vi si trova elencata solo una parte dei personaggi del romanzo, quelli che appartengono al “complesso” di Jerichow. Ma l’aspetto più importante è che queste persone vengano riproposte “Con gli occhi di Cresspahl”, cioè in un’altra ottica, giustapposta a quella di Gesine, la quale informa altrimenti e “per contratto” la prospettiva dell’intero romanzo: dietro l’apparenza di fornire un riassunto ordinatore nella massa di personaggi, date e avvenimenti, Johnson rompe il dogma della prospettiva predominante di Gesine trentacinquenne.
L’appendice ha il carattere di un’intervista e, come recita l’introduzione protocollare, si tratta di “notizie fornite nelle circostanze dell’anno 1949, alle domande di una sedicenne. Lui aveva 61 anni”. La struttura di intervista isolata dal contesto è sottolineata dall’uso pressoché esclusivo della forma verbale (Konjunktiv I) che in tedesco è propria del discorso indiretto; questo comporta nella traduzione il ricorso ad artifici per mantenere costantemente l’attenzione sul fatto che si tratta di risposte, di una visione anch’essa soggettiva, alla quale viene per così dire negato il modo indicativo, rafforzando per contrasto la predominanza di Gesine.
Inoltre il dialogo del 1949 si situa cronologicamente al di fuori del testo del romanzo e rappresenta perciò una sorta di compatto salto in avanti rispetto al luglio 1945, dove approda la narrazione del passato raccontato nel secondo volume e da dove riprende la narrazione nel terzo.
Alcuni episodi vi vengono raccontati sotto un’altra luce mentre altri aggiungono elementi nuovi, assenti nella narrazione di Gesine (per esempio gli accenni all’infedeltà di Papenbrock padre); altri ancora vengono anticipati rispetto alla loro collocazione nel testo principale.
A maggior ragione in questa diversa prospettiva si vede chiaramente come le laconiche esternazioni di Cresspahl non possano in alcun modo fondare, se non come inventario generalissimo, la ricostruzione che Gesine fa, almeno fino al 1943, e sicuramente — cosa che è più importante: fino a tutto il 1938.
Così, non solo rimane aperta la domanda da dove Gesine tragga il suo passato remoto, ma tale domanda trova anche una risposta negativa: non dalla reticenza disperata di Heinrich Cresspahl riguardo alla vicenda di sua moglie — ed è questa vicenda la pointe dell’intero romanzo, quella che anche avrebbe dovuto occupare la posizione centrale, a metà di uno svolgimento in tre volumi.
Le domande riguardo alla struttura dell’edificio sono quindi sottilmente tematizzate; se Johnson “accondiscende” formalmente ad aiutare il lettore che ha bisogno di tenere insieme i personaggi della “saga”, lo fa riproponendo la necessità di una lettura che appunti la sua attenzione non sull’intreccio delle vicende nel tempo, ma sui problemi del principio costruttivo; in questa tematizzazione il ruolo più attivo è svolto da Marie, che a più riprese, nel pieno dei suoi diritti di committente e perfettamente di nuovo nei suoi panni di persona ingenua, pone la questione: “Solo vorrei sapere con che meccanismo viene su”.