IL REVIVAL DEGLI ANNI OTTANTA
di Chiara Cretella
Da un po’ di anni vanno forte, specialmente in area emiliana, i GEM BOY, un gruppo musicale composto da ragazzi trentenni che stravolgono le sigle dei cartoni animati, un giochino che la mia generazione ha fatto per tutta l’infanzia. Era quasi un esperimento d’avanguardia quello di trovare la rima più triviale e ridanciana. Tra suoni elettrodance e campionature robotiche, i GEM BOY riportano sul palco l’iconografia di gomma e plastica che popolava le nostre stanze da letto, tra barbie sventrate e spogliate per vedere cosa avevano come genitali, robottini di Goldrake e primi automi semoventi la cui voce sembrava provenire dall’oltretomba. Il tutto popolato da mostri appiccicosi dai colori sovrumani, rosa Big Babol e giallo evidenziatore, che, partoriti dalle patatine San Carlo, facevano urlare di paura le bambine a cui i maschietti li tiravano addosso. Antenati del Tamagochi, i bambolotti calvi chiedevano l’attenzione della piccola mamma, reclamando la poppata come piccoli esorcisti.
Intanto i primi Transformers mutanti, che sembravano usciti da Blade Runner, camminavano marzialmente nel salotto. Nel frattempo noi bimbe in camera da letto ci chiedevamo come mai le bambole Cabbage patch nascessero sotto un cavolo e come mai Big Jim, contrariamente al nome, sotto le mutande era uguale spiccicato a Barbie (sull’argomento bambole vedi: Ivo Germano, Barbie. Il fascino irresistibile di una bambola leggendaria, Castelvecchi, Roma, 2000). E Lamù, la prima eroina erotica dei cartoon giapponesi, era stata censurata, troppo ammiccante nella sua conturbante tutina da gatta per i bambini italiani.
Cresceva quindi la nostra confusione sessuale: se lo chiedevi alla mamma, ti rispondeva che le bambole non hanno sesso, proprio come gli angeli, e ti portava dal parroco per fare la Coccinella. I Lupetti li odiavo, facevano tutto loro, e poi portavano i pantaloni da montagna, e potevano sempre servire messa. Noi no, se il seno era cresciuto troppo sotto la camicetta degli Scout, non ne eri più degna. Fortuna che quando sono diventata impura mi ha spiegato mio nonno cos’erano le prime mestruazioni. Forse mia madre mi avrebbe detto che da quel giorno ero anch’io un Transformer mutante e che dall’oggi al domani ero diventata donna. Pazzesco, svegliarsi in poche ore nel corpo di un’altra! Meno male che c’erano i cartoon a spiegarci il mondo…
Nel filone per bambine c’era anche Anna dai capelli rossi, che come Cenerentola, ricalcava il topos della bella e perseguitata. Non sei bella? Puoi sempre essere solo sfigata, il che è già poetico, qualche Supereroe ti trasformerà in una velina canterina come Creamy. Diventare donna, sembravano dirci questi cartoon, era una trasformazione mostruoso/magica. CON LA FORZA DELLE TETTE VINCERÒ! suggeriva la morale della favola. Aspetta due tre anni, e diventerai anche tu come il robot-donna compagna di Mazzinga Zeta, capace di sparare al nemico seni supersonici che ricrescevano miracolosamente dopo ogni mastectomia. Forse anticipavano le protesi di silicone scoppiate di lì a pochi anni nel trash-circus del Drive In. D’altronde se proprio non eri un cesso potevi sempre sperare di passare alla storia come groupie d’assalto, come in Kiss-me Licia, il cartoon-apoteosi del New-Romantics. I capelloni del gruppo musicale erano il clone degli Europe, o meglio Mirko era la fotocopia di Morten Harket degli A-Ha, e il batterista aveva i capelli color glicine. I primi colori pastello invadevano i cartoon. Cristina d’Avena è stata la nostra santa martire, anche lei lo ha capito, e non è invecchiata. È rimasta mummificata per sempre nella sua età. Vive eternamente negli anni ’80, coi suoi fiocchi rossi in testa e le gonne a balze. Forse la notte appare vampirescamente tra le case dei piccoli borghesi e si nutre di bambini. Comunque, le giovani scrittrici di oggi non sembrano traumatizzate dall’aver perso l’ultima puntata di Candy Candy, che è stato il primo feilleuton per bambine, anche se tutte hanno poi cercato il proprio Antony che su un cavallo bianco dicesse loro: «Sei più carina quando ridi che quando piangi».
Candy ha rovinato una generazione, anch’io volevo fare l’infermiera per avere i suoi stivali da crocerossina, e un casino di infermiere della mia età che ho conosciuto negli anni, me lo hanno confermato. Heidy era tragico anche di più. La sua amicizia con Clara, la piccola borghese in sedia a rotelle che guardava il mondo attraverso quelli proletari/contadini dell’amichetta, era un simbolo per tutte noi. Anche io volevo chiamarmi Clara, mi sentivo come molte senza gambe per scappare, portata in giro dalla Signorina Rottermaier, un vero prototipo della professoressa del Liceo che ti prendeva di punta.
Poi è apparsa lei, Lady Oscar. La prima eroina lesbica della storia dei cartoons. Difendeva Maria Antonietta ok, però era la prima volta che noi bimbe si pensava all’ipotesi di farci difendere da una donna-soldato con spada e cavallo bianco. Una vera Giovanna d’Arco. Ci faceva sentire tutte redente verso quella differenza di educazione che sperimentavamo in casa: «tuo padre voleva un maschietto ma ahimè sei nata tu/nella culla ti ha messo un fioretto/Oscar ti chiamerai tu».
I ragazzi erano più intrippati con Lupin, che torna a far capolino tra le t-shirt trendy/no-global. A Bologna c’è anche una radio di movimento che si chiama Fujiko, e stampa un giornalino dal nome Zenigata. Per quanto simpatico, Zenigata era pur sempre un ispettore, quelli di Radio Alice non lo avrebbero mai fatto…
Ieri sera ho visto uno special di Mtv sugli anni ’80. Sono passati in rassegna i video e le canzoni più famose dell’epoca. Terribili. Analizzandoli da lontano un paio di cose mi sono saltate subito agli occhi. La prima, non me ne ero accorta, il revival anni ’50 e il look alla Elvis. Non m’ero mai resa conto di quanto Michael Jackson assomigli ad Elvis Prisley. Basta guardare il taglio dei capelli, i borsalini, il gel, gli strass sulle giacche. Secondo, l’immaginario maschile totalmente androgino. Il massimo è stato Boy George. Ma poi c’erano anche Prince, e George Michael. Per non parlare del sofisticato Duca bianco. Bene, a guardarli ora, vestiti da principi azzurri con rose rosse in mano, mi chiedo proprio come mai l’immaginario erotico femminile fosse completamente orientato verso l’omosessualità maschile. Forse perché la repressione è stata anche repressione sessuale. Non dimentichiamoci che questa è l’epoca della guerra fredda e dell’Aids.
Ricordate Perché Pippo sembra uno sballato? È una storia breve di Andrea Pazienza che indaga gli strani rapporti tra il mondo dei cartoon e quello iperuranico della droga, un po’ come la polverina di Pollon («sembra talco ma non è/serve a darti l’allegria») che era cocaina purissima spacciata per volgare ambrosia.
È l’epoca dell’ero e della polvere bianca. Della paura del sesso, è l’epoca in cui vali a seconda dei vestiti che porti. Non potevi mica uscire di casa senza firme addosso. Anche le tettone di Drive In nella loro sovraesposizione divenivano parodiche, grottesche. Dall’altro lato c’erano le androgine Annie Lennox, Grace Jones e Brigitte Nielsen. Qualche persona normale, non bellissima, compariva ancora in questi video. Oggi invece scelgono le cantanti tra le modelle, e per di più giovanissime. L’immaginario erotico è stato spostato sulla Lolita, Boncompagni ha sedimentato e sfruttato a livello di massa il filone soft-pedofilo. Le nuove cantanti di Mtv sono cloni di un’unica entità diciottenne biondo-platino. Ritoccate al computer, sono l’estrinsecazione poetica che tutto può essere ricreato in laboratorio, serve solo un pezzo di carne da cui partire per la smembrabilità totale del corpo, rivenduta nella sua ricostruzione virtuale. Una specie di selezione della specie: «Le ballerine che si agitano nei videoclips di Videomusic esistono? Le ballerine che si agitano nei videoclips di Videomusic fottono? Chi fotte le ballerine che si agitano nei videoclips di Videomusic?» (Saverio Fattori, Alienazioni padane, Accademia degli incolti, Roma, 2002).
Comunque, a livello di stile, come gli anni ’70 erano stati innovativi e rivoluzionari, così gli anni ’80 hanno attinto a piene mani alla tradizione: giacche militari, mostrine di guerra, e poi camice stile ‘800 con gorgiere e maniche a sbuffo, pantaloni da moschettiere e trasparenze alla Cenerentola per i vestiti dell’eroine postpunk alla Cindy Lauper. E fra tutto, un tripudio di Swarowsky e spille da regina di finti topazi e paillettes. Si viveva in un mondo da favola dove anche a te, oscura e brufolosa ragazzina di provincia, poteva capitare il miracolo del Tempo delle mele, nella speranza di un sogno avverato come Sposerò Simon Le Bon.
In treno qualche giorno fa avevo davanti a me un fascio che leggeva Libero. Non ho potuto fare a meno di gettare l’occhio al suo giornale e di sbirciare un articolo terribile. Ridevo come una pazza ma c’era solo da piangere. Il senso era questo: i giovani finiani al congresso annuale di Alleanza Nazionale riscoprono gli anni ’80: Basta con l’impegno politico! Riprendiamoci i simpatici anni dei Duran Duran e del giusto individualismo. Gli anni il cui simbolo è stato un santo come Vincenzo Muccioli (Libero del 22 settembre). Bene, non stupiamoci se al cinema arrivano i polpettoni più impropabili, da Spiderman a Garfield. Ritornano i Supereroi in grado di salvare il mondo, la stessa fantasmagorica pretesa di Bush. (Umberto Eco, Il Superuomo di massa: studi sul romanzo popolare, Cooperativa scrittori, Milano, 1976). E questi eroi di plastica spopolano in tutti i campi: è appena stata presentata a Parigi la nuova fragranza di Thierry Mugler per uomo B* Men, ispirata ai Supereroi, contraltare maschile all’aroma di meringa del femminile Angel. Un chiaro imperativo a essere uomini, dice lo stilista, per tornare a quella virilità della forza che può salvare il mondo. L’icona del profumo è un fumetto olivastro che rappresenta un maschio superpalestrato dal colore verde militare, con una stella rossa sul petto: ecco come un simbolo comunista, denaturalizzato dal fashion-sistem, diviene una stella da sceriffo (L’Espresso, agosto 2004, lo stesso numero contiene un’allarmante intervista a Castelli che spiega come il terrorismo degli anni ’70 e quello islamico stiano facendo fronte comune contro l’occidente).
Anche i poeti si sono accorti che non ci sono più persone, ma personaggi: «In pieno neo consumismo/Paperino al turismo/e così via colloca i tuoi eroi/nel ministero che vuoi,/tra tutti Mandrake il perno/venditore d’illusioni/a capo del governo» (Vito Riviello, Fumoir, Il Filo, Roma, 2003). I fumetti, purtroppo non quelli d’autore, invadono lo spazio letterario e i manga erotici spopolano, proponendo un modello di erotismo virtuale, clonato, gonfiato come la pecora Dolly (per una ricognizione storica cfr.: Manfredo Guerrera, Storia del fumetto. Autori e personaggi dalle origini a oggi, Newton Compton, Roma, 1995). Anche gli scrittori eleggono a personaggi le merci, come nell’ultimo romanzo di Aldo Nove, La più grande balena morta della Lombardia, Einaudi, Torino, 2004. L’io narrante nella sua tutina Chicco incarna l’universo poetico/patetico del fanciullino pascoliano, quello precisamente, che è passato senza fallo dal Carosello a Bim Bum Bam. Il programma di Paolo Bonolis ci faceva credere che esistessero pupazzi rosa schoking parlanti perfettamente omologati. Anche un animale era accettato, se calzava scarpe Timberland da paninaro.
E cosa dire del revival dei B-Movies? È figlio della stessa matrice revisionista, perché il trash è bello quando dura poco. All’ultimo festival di Venezia la sezione trash ha messo in secondo piano addirittura i film di qualità. E Tarantino, nella giusta ottica calligrafica e citazionista, li rilancia alla grande in Kill Bill. Ma riportare in auge orrori come i Mondo-Movies è un’operazione estremamente pericolosa, se non fatta con la giusta strumentazione critica, perché essi rappresentano quanto di peggio, quanto di più nazi e maschilista ha prodotto il cinema degli ultimi decenni (Gordiano Lupi, Cannibal! Il cinema selvaggio di Ruggero Deodato, Profondo Rosso-Mondo Ignoto, Roma, 2003. Nella stessa collana escono a ripetizione Orrore, erotismo e pornografia secondo Joe D’Amato, e Tomas Milian, il trucido e lo sbirro. Lupi annuncia in preparazione anche l’imperdibile W la foca! Il cinema di Gloria Guida ed Edwige Fenech). Mai che il cinema italiano si ricordasse di personaggi come Gian Maria Volonté. L’Italia sentiva la mancanza del peggio del peggio. E l’arte del potere produce la sua autocelebrazione. Ecco allora i reality, i film dei Vanzina, i remake di grandi film del passato come il Commissario Monnezza, superproduzione in cui è impegnato, in questo periodo, Claudio Amendola.
Occhio, ragazzi. La repressione è al potere.