di Giuseppe Genna
Una biografia che è automaticamente un romanzo, ma anche una discesa agli inferi. Un horror che potrebbe apparire il vertice di una fantasia malata, e invece è un’opera storica, che racconta uno degli apici più celebri del Male fattosi carne. Una catabasi allucinante in segrete sotterranee in cui corpi femminili vengono dilaniati in misteriosi rituali, si compiono inimmaginabili devastazioni fisiche e mentali, in un crescendo di misticismo sanguniario che segna la memoria umana per sempre. Angelo Quattrocchi racconta la vita, le crudeli nequizie e l’altrettanto crudele fine di una delle molte incarnazioni nere del mito di Carmilla: cioè Elizabeth Bathory, la Torturatrice, la cui vicenda terrestre potrebbe essere almanaccata come l’epica fabulistica di un Dracula al femminile, donata all’umanità dalla medesima regione che diede i natali al principe dei vampiri – l’atrabiliare Transilvania. Però, mentre il conte Dracula era storicamente altro da quello passato alla leggenda, Elizabeth Bathory fu tout court quello che si mormora atterriti dopo secoli: la più barbara serial killer della storia, una specie di demone assetato della vita altrui, un’alchimista delle interiora e degli spiriti umani, un’aguzzina spietata e memorabile.
Elizabeth Bathory nacque nel 1560 da una delle più antiche e ricche famiglie della Transilvania. Sposa del conte Ferencz Nasdasdy ad appena 15 anni, con il coniuge visse nel castello di Csejthe nella contea di Nyitra, in Ungheria. Il conte, da par suo soprannominato “eroe nero di Ungheria”, era perennemente impegnato lontano dalla sua patria, in estenuanti campagne belliche. Durante le sue ripetute assenze, un servo della Bathory, di nome Thorko, la iniziò all’occulto. Protagonista di tresche erotiche e smaccati tradimenti, la contessa Bathory iniziò a torurare le serve con l’aiuto della sua vecchia balia Iloona Joo. Era l’inizio di una malsana e stroboscopica passione per il bagno di sangue.
Allo scoccare dell’anno 1600, Ferencz morì, lasciando libera da ogni freno la malsana passione dell’inquietante vedova. Liberatasi dell’odiata suocera, sfrenatamente vanitosa ed ormai quarantenne la contessa iniziava ad essere preoccupata della vecchiaia e della sua perdita di bellezza, come in ogni buona fiaba nera che si rispetti. Si narra che un giorno una serva, colpevole di averle tirato i capelli mentre glieli stava acconciando, fu colpita dalla contessa infuriata, fino a farla sanguinare. Il sangue della giovane cadde sulla mano della contessa, che immediatamente pensò che la sua pelle avesse in questo modo acquisito la freschezza della giovane ragazza per via extravenosa. Fu dunque una sorta di ricetta alternativa al Lançome o al Gerovital che spronò Elizabeth verso la rapida escalation di truculenze e delitti negromantici. La serva non visse – stando alla leggenda – il lieto fine di ogni fiaba che si rispetti: con l’aiuto di Thorko e del maggiordomo, la contessa Bathory la spogliò e la dissanguò, versando il suo plasma in una vasca, dove poi si immerse alla febbrile ricerca dell’elisir di eterna giovinezza.
Pare che di lì a dieci anni Bathory installasse nel castello un’autentica fabbrica di fatali cosmetici. I suoi servitori la rifornirono costantemente di ragazze per il rituale bagno di sangue, ma una delle vittime, riuscita a scappare, informò le autorità sugli orrori che avevano luogo nel castello di Csejthe. Re Mathias di Ungheria ordinò quindi al conte Cuyorgy Thurzo, cugino della Bathory e governatore della provincia, di prendere d’assedio il fortilizio. Il 30 dicembre del 1610 le sue truppe assalirono il castello. Quando entrarono, si trovarono di fronte ad uno spettacolo agghiacciante: una ragazza morta nella stanza principale, prosciugata del suo stesso sangue, ed un’altra viva ma dal corpo letteralmente traforato. Nei sotterranei si scoprirono molte giovani donne imprigionate e, sepolti sotto la pavimentazione, i corpi di almeno altre cinquanta ragazze. Elizabeth fu arrestata e processata. Si rifiutò di dichiararsi colpevole o innocente e non fu mai presente al processo, sdegnosamente negò di rivelare i contenuti dei suoi segreti rituali. Di questo processo fu realizzata una trascrizione documentale, ancor oggi consultabile.
Il maggiordomo della contessa Bathory testimoniò che circa trentasette ragazze erano state assassinate, sei delle quali egli aveva personalmente assunto per lavorare al castello. Le vittime venivano legate e moncate con forbici e coltelli. La vecchia balia di Elizabeth Bathory testimoniò che circa quaranta giovani erano state torturate ed uccise. Tutte le persone coinvolte negli omicidi, tranne la Contessa Bathory, furono decapitate e cremate, e due complici furono bruciate vive. La contessa Elizabeth non fu mai condannata. Fu tuttavia ordinato che le porte e le finestre della sua camera da letto venissero murate con lei dentro, lasciando solo un foro dal quale far passare il cibo. Nel 1614, dopo quattro anni di questo regime particolare di arresti domiciliari, una della guardie si accorse che la contessa giaceva a terra: Elizabeth Bathory, la Contessa sanguinaria, era morta e si era portata nella tomba (e magari anche oltre) i segreti dei suoi rituali e il peso di una dannazione che il genere umano continua, a distanza di tanti secoli, a lanciare su di lei e sulle sue efferatezze.
Angelo Quattrocchi – Elizabeth Bathory, la Torturatrice – malatempora – 10 euro