di Franco Berardi Bifo
[da QUEER, inserto di Liberazione]
Se cerchiamo un orizzonte comune della sensibilità e dell’attesa collettiva ci incamminiamo per un sentiero oscuro: ci sono flussi immaginari universalmente diffusi? Esiste qualcosa come un comune presentimento del futuro? Con una delle sue intuizioni migliori, William Gibson ha coniato l’espressione “Neuromanzia”, per intendere una sorta di divinazione che, al modo in cui gli antichi aruspici scrutavano le viscere degli animali o le evoluzioni degli uccelli nel cielo, scruta i flussi immaginari che si stratificano nel Mediascape globale, e nel sistema nervoso interconnesso dell’umanità.
La Neuromanzia non può pretendere di appiattire le attese di futuro ad un unico pre-sentimento, perché i tempi dell’immaginazione sono diversi, eterogenei, asincroni, legati allo sviluppo diseguale della cultura, dell’economia, della politica. Per alcuni il futuro si chiude quando per altri si sta aprendo. Chi va oggi in Cina avverte che ci sono aree della terra in cui si avverte un’energia fortissima, aggressiva e crudele, ma vitale: il gloom occidentale non va scambiato per un sentimento universale. Non parleremo dunque di un futuro indifferenziato, perché il futuro è plurale. Ma il Mediascape si globalizza, e l’immaginario diffonde flussi che percorrono omogeneamente l’intero pianeta.
Per esercitare l’arte del Neuromante dobbiamo cercare di interpretare la differenziata gamma di pre-sentimenti, alla ricerca di tendenze che si stanno rapidamente generalizzando in tutto il pianeta, e implicano una direzione condivisa dei flussi di immaginazione. Ad esempio, a quanto dicono i demografi, in tutto il pianeta (compresa la Cina e l’India, che fino a qualche anno fa sembravano fare eccezione) si è arrestata la tendenza espansiva che ha portato la popolazione terrestre a moltiplicarsi per tre nell’arco di un solo secolo. Fino a qualche anno fa i demografi segnalavano una crescita media della popolazione terrestre secondo l’indice di incremento 2.1 che avrebbe portato (si prevedeva) ad una popolazione complessiva di dodici miliardi nel 2050. Oggi l’indice è 1.85, e secondo le previsioni questo porterà ad un picco massimo di nove miliardi di abitanti del pianeta. Cosa è successo, a parte il perfezionamento delle tecniche di contraccezione che però non bastano a spiegare l’inversione di una tendenza che sembrava dover continuare? Perché ad un certo punto l’umanità ha iniziato a rallentare la corsa demografica che aveva accompagnato l’epoca moderna?
Cosa è successo nelle profondità dell’inconscio planetario?
So bene che parlando di Inconscio planetario alludo a qualcosa che non saprei definire, una sorta di riproposizione in chiave psico-mediatica di quello che lo storicismo romantico aveva chiamato ZeitGeist. Con l’espressione Inconscio planetario intendo riferirmi a qualcosa di immensamente vago: il risultato di un’elaborazione collettiva dei flussi mediatici e immaginari che affollano l’Infosfera globale, attraverso il filtro di innumerevoli culture e sensibilità, fino a produrre il tono il colore la sonorità dell’attesa di futuro prevalente.
Il futuro prevalente che disegna l’orizzonte del millennio appena iniziato ha il tono della depressione, e il colore di un’apocalisse che la tecnologia e l’economia hanno scritto nella tendenza, e non riescono a cancellare, come fosse un automatismo più forte di qualsiasi volontà. Pensiamo al futuro che si disegnava nella prima metà del secolo ventesimo, quando i regimi totalitari di massa si stavano armando per prepararsi ad un conflitto spaventoso, quando la Germania hitleriana sta mettendo in moto la macchina della guerra più mortifera che l’umanità abbia mani conosciuto. La realtà era enormemente più tragica di quella che viviamo all’inizio del nuovo millennio. Eppure, paradossalmente, in quei decenni di violenza e di terrore, il pre-sentimento era quello di un futuro progressivo.
Le ideologie confliggenti – il comunismo, il fascismo, la democrazia capitalista – avevano un profondo radicamento nella mente e nei comportamenti delle masse popolari in tutto il mondo. E ciascuna di queste ideologie prometteva un futuro espansivo, di arricchimento materiale, di ordine politico, di felicità individuale. Erano promesse false? Questo non importa qui. Quel che qui mi importa è osservare quanto profondamente fossero in grado di modellare le attese di futuro della maggioranza della gente, quanto largamente fossero capaci di allargare gli orizzonti, e come sapessero motivare all’azione, alla lotta armata, alla guerra per il conseguimento di quelli che alcuni chiamano ideali, e in effetti altro non sono che attese di mondo, fantasmi di una possibilità di vita felice. Paragoniamo quell’energia – che si espresse in forme distruttive ma anche produttive, che si manifestò come violenza ma anche come solidarietà – all’attuale presentimento di un vuoto, di un venir meno, di un’assenza di futuro.
Da quando (nel 1977, anno carico di premonizioni) Sid Vicious lanciò la sua maledizione “No future”, è venuta sulla scena una generazione che appare paralizzata dall’enorme quantità di impulsi informativi che la bersagliano, e incapace di costruire progetti collettivi che non siano quelli, ormai spenti, esauriti, privi di suggestione immaginativa, che le giungono dalla storia passata della modernità, come il sogno consumista che conquista folle immense di ritardatari, quando ormai si è rivelato un incubo destinato a soffocarci.