IL DIAVOLO PROBABILMENTE
di Danilo Arona
[Tutte le Cronache di Bassavilla]
Il mese di luglio nell’anno 1986. Come ogni estate nella campagna collinare attorno a Bassavilla, il clima è torrido e opprimente. L’atmosfera quieta, pigra, quasi sospesa. La sindrome del Sole e del Silenzio, come la definirà da lì a qualche anno Pupi Avati.
Il paese si chiama Montechiaro. Ne esiste una versione “alta”, fatto tipico del Piemonte, da cui si gode un panorama che al tramonto ti concilia con la vita, tutta in pietra antica e carrugi in stile ligure. E una versione “bassa”, pianeggiante e moderna, a ridosso della statale. Un paio di ristoranti splendidi, di cucina “bastarda”, ovvero di confine.
E’ a Montechiaro, sia su che giù, che il diavolo decide di apparire nella sua forma più smagliante e coerente: enorme, orribile, cornuto, fiammeggiante, volto verdastro, occhi fosforescenti, atteggiamento minaccioso. Almeno questa è la poco credibile descrizione che ne danno alcuni bambini ai primi del mese. I ragazzini lo avrebbero avvistato in mezzo ai campi, a pochi metri dalla chiesa.
Bambini… Non c’è da fidarsi, anche se a volte loro “vedono” e gli adulti no. Se qualcuno non li ha presi in giro, di sicuro sono loro a scherzare.
Ma le apparizioni si moltiplicano. In tanti vedono, da vicino o da lontano, il diavolo. E lo vedono anche gli adulti. Poi, tra questi, alcuni notabili del paese (un funzionario comunale, el dutur, il postino) e allora, per quanto incredibile, la verità pesa come un macigno: Satana ha preso di mira il paese.
Così, in un’estate di sicuro avara di notizie vere, a Montechiaro, grazioso angolino basso-piemontese di 1400 abitanti, arriva una task-force di giornalisti come non si vedono neppure in prima linea nelle contemporanee guerre preventive: inviati de La Stampa, Il Giornale, Il Corriere della Sera, La Notte e persino dell’allora esistente Domenica del Corriere che all’agreste satanasso dedica una magnifica illustrazione di Iacono, che oggi campeggia in una cornice su una parete di casa mia. File di umani, forse più attirati nei dintorni di Bassavilla dal fritto misto alla piemontese e dal Barbera d’Alba che dagli effluvi diabolici, ai quali man mano si aggiungono gruppi di ragazzini acchiappafantasmi, ufologi, apparizionisti, free-lance del Giornale dei Misteri, new-agisti, uomini in nero e un paio di esorcisti di campagna. Insomma, avete presente quel grande film che era L’asso nella manica? Più o meno rende l’idea. E volete che, con una platea così vasta, il nostrano signore di tutte le sozzure non si programmi sortite mirate con vestiti e travestimenti diversi ad ogni occasione? Funziona proprio così. E, mentre Belzebù si concede ad ore spesso tarde anche in altre località vicine a Montechiaro (Settime, Castagno, Villa San Secondo, Cunico, Montiglio, Monale e Colcavagno, sonnacchiosi centri agricoli che non si sentono per nulla gratificati dalle visite demoniache), la stampa nazionale abbocca tutta quanta come un luccio alla diabolica esca.
“Alto due metri, massiccio, forse con un filo di pancia costretta dentro una Gibaud nera, mantello rosso, maschera grigia, scarpe gialle e corna di toro” (Bebbe Fossati, Il Giornale).
“Alto tre metri, corna gialle, coda a punta, rosso il corpo, verde il volto” (Sandro Giglioli, La Domenica del Corriere).
“Occhi fosforescenti e lunga coda” (Il Giornale di Brescia).
“Colorito cadaverico, faccia bianca da morto e una tremenda puzza di zolfo” (Laura Bosia, Stampa Sera).
“Un cappellaccio nero con le corna che spuntano di sotto, come quelle di un vitello” (Rosalba Fazio per non so quale testata).
Insomma, di apparizione in apparizione, i particolari aumentano. Nel frattempo, i carabinieri, un po’ seccati, indagano. Il parroco, Giuseppe Marello, alza le spalle e le coppiette di Montechiaro non cercano più il buio, ma si piazzano con impudica e salvifica noncuranza sotto la cristiana luce dei lampioni. Meglio il mattarello di mamma che il sulfureo e pestilenziale incedere del demonio. Nel bel mezzo della sindrome paranoica, si sparge in paese la voce che il diavolo è Tarzan, un ex saltimbanco famoso un po’ di anni prima per l’agilità circense e i costumi variopinti che ben possono adattarsi a guardaroba satanico. “E’ lui”, frase che percorre come un fremito liberatorio questo lembo di terra, zona di vitigni e sbronze colossali. Ma il povero Tarzan è in ospedale da più di un mese, ricoverato per fratture varie. Forse caduto da una liana.
La situazione precipita. Per coglierne l’essenza, servirebbe Fellini con la sua magica cinepresa. Viene organizzata, naturalmente di notte, una “caccia al diavolo”, con una battuta per le campagne cui partecipano vari cittadini di Montechiaro con forconi e randelli, i carabinieri, i due esorcisti, l’alessandrino Paolo Toselli (oggi giornalista per Focus e massimo esperto di leggende contemporanee, ma nel 1986 cacciatore di diavoli) e un esponente socialista. Alle prime luci dell’alba si torna a casa senza Belzebù, mentre il maresciallo locale dichiara ad un impertinente giornalista (Sandro Giglioli) che chiede lumi sulla presenza dei carabinieri nella caccia al diavolo: “Sì, era necessaria la nostra partecipazione. E’ una questione di ordine pubblico, la gente ha paura e ci chiede d’intervenire, di fare qualcosa. Potrebbe essere un pazzo, un maniaco: qualche anno fa, a Montechiaro, circolava un individuo che apriva le tombe del cimitero. Poi ce n’era un altro, un certo Giacomino, che terrorizzava i paesani con il lenzuolo bianco, insomma faceva il fantasma. Ci siamo riuniti con le autorità municipali, però ci sembrava un po’ ridicolo concertare un piano anti-diavolo!”
Ridicolo il piano? Chissà… Ma ecco altre apparizioni: “Era alto e ciccione”, racconta il piccolo Ivan Coffano. “Il diavolo si è affacciato da dietro un portone e mi ha ruttato in faccia”, sostiene la figlia del barista della piazza, su a Montechiaro “alto”. Dulcis in fundo, Satana si arma di coltello, aggredisce un automobilista, saltando come un orango cocainomane sul cofano della macchina e lasciando profonde ammaccature sulla portiera.
A fine agosto Lucifero scompare. Scompare perché finiscono le vacanze, i quotidiani tornano ad occuparsi della solita zavorra e i giornalisti tornano alle loro sedi ingrassati di dieci chili. Riaprono le scuole, c’è la vendemmia e nessuno trova più il tempo di vedere il cornutone. Ma il seme è gettato e il mito si sta ancora autogenerando. Qualcuno, di notte, va ancora oggi alla ricerca fra i campi e le colline di un mantello rosso e di un coltellaccio arrugginito.