[editoriale da The Nation tradotto da Emiliano B. Serra per IS]
Secondo un’indagine della Cbs il settantaquattro per cento degli americani afferma che il Congresso è intervenuto nel caso di diritto all’eutanasia di Terry Schiavo per motivi politici, e non perché fosse interessato a quello che stava accadendo alla donna della Florida, gli ultimi giorni della quale sono stati il centro dell’attenzione di un grottesco spettacolo da circo mediatico. Le persone hanno distintamente riconosciuto questa mossa, nel momento stesso in cui la destra conservatrice al Campidoglio la confermava nei fatti con la violenza della sua reazione alla morte di Terry Schiavo. «Verrà il momento in cui gli uomini responsabili di questo dovranno rendere conto del loro comportamento» ha ringhiato Tom DeLay, leader della maggioranza alla Camera; il senatore John Cornyn si è domandato a voce alta fissando il pavimento del Senato, se ci fosse qualche connessione tra la “percezione” che i giudici stessero prendendo decisioni politiche e il fatto che “qualcuno […] iniziasse ad assumere atteggiamenti violenti”.
Sia DeLay che Cornyn hanno ricevuto qualche frecciata a proposito per aver strumentalizzato i peggiori istinti di un Paese in cui negli ultimi mesi i magistrati e le loro famiglie sono stati oggetto di aggressioni.
Ma alcuni a Washington non è stato chiaro il senso dell’avvertimento di DeLay: mentre dovrebbe pensare a mettere sotto accusa i giudici federali, il suo reale interesse è quello di rimuovere gli ostacoli alla campagna di Bush per influenzare in proprio favore i tribunali con giudici politicamente schierati.
DeLay non ha fatto segreto della sua intenzione di andarci molto pesante nella lotta per le nomine dei giudici e Bill First, leader della maggioranza al Senato e altro interventista nella questione Schiavo, condivide con DeLay l’entusiasmo per far saltare le regole che consentono ad una minoranza di senatori di praticare ostruzionismo (inteso come estensione indefinita del dibattito) per bloccare le nomine di giudici su cui ci sia disaccordo.
Nel corso del primo mandato di Bush, quando il Senato è passato avanti e indietro dal controllo democratico a quello repubblicano, i democratici sono riusciti ad affondare dieci dei duecentonovantanove candidati ad incarichi di magistratura federale (nelle votazioni in Commissione Giustizia, sia quando la controllavano i democratici che successivamente, tramite ostruzionismo, quando il controllo era in mano repubblicana). Fra candidati respinti c’erano i più estremisti, selezionati per le Corti d’Appello dell’Ovest e del Sud, come il giudice Janice Brown della Corte Suprema della California, che sostiene che il Primo Emendamento permette alle società di fornire di sé un’immagine falsa e fuorviante senza conseguenze legali, e il giudice della Corte Suprema del Texas Priscilla Owen, le cui iniziative per minare l’assistenza alle donne intenzionate ad abortire sono state così radicali che un altro giudice conservatore, Alberto Gonzales (attualmente procuratore generale degli Stati Uniti) le ha criticate come “un irresponsabile atteggiamento di attivismo giudiziario”.
Col controllo più solido del Senato successivo alle elezioni del 2004, Bush ha risottomesso i nomi di Brown e Owen, oltre che quelli di altri cinque candidati precedentemente respinti. Nonostante il Senato sia diviso cinquantacinque a quarantacinque, i Democratici hanno ancora i quaranta voti necessari per fare ostruzionismo. Ma i leader repubblicani al Senato, incluso First, sono così determinati a soddisfare l’Amministrazione e l’ala conservatrice della base del partito, che hanno manifestato l’intenzione di invocare la soluzione radicale di riscrivere il regolamento del Senato, per rendere di fatto impossibile l’ostruzionismo nella nomina dei giudici.
La battaglia, dunque, non è solo per la difesa di una regola del Senato, ma per mantenere in essere il già compromesso sistema di controlli e contrappesi sul potere Esecutivo e sulle prevaricazioni ai danni di quello Legislativo.
L’ostruzionismo parlamentare è stato per lungo tempo associato ad un approccio poco corretto, di stampo piratesco, nei confronti del processo legislativo. Una minoranza dissidente di senatori ha storicamente bloccato nomine o leggi che non era stata in grado di evitare in nessun altro modo. Come la maggior parte degli strumenti, l’ostruzionismo può essere usato bene o male. Per ogni ostruzionismo teso a bloccare una “riforma” clientelare della bancarotta, c’è n’è sempre stato un altro per ostacolare il movimento per i diritti civili.
Il dibattito illimitato era permesso fino al 1917, quando il presidente Wilson, preoccupato della prospettiva che alcuni senatori contrari all’intervento in guerra (come Robert La Follette) si servissero dell’ostruzionismo parlamentare per opporsi alla sua fretta di intervenire nella Prima Guerra Mondiale, convinse il Senato ad adottare la regola che consente ai due terzi dei senatori di votare per porre termine all’ostruzionismo.
Nel 1975 il rapporto è stato modificato a tre quinti (o sessanta voti), e così è rimasta. Ma fin ora c’era stata raramente una seria discussione sull’opportunità di eliminare l’ostruzionismo.
Se questo dovesse accadere, se la cosiddetta “opzione nucleare” dovesse passare, il Senato diventerebbe un ramo modificato del governo. In assenza di regole che richiedano la considerazione di punti di vista e valori minoritari, il Senato diventerebbe qualcosa di poco diverso rispetto alla Camera, in cui il partito escluso dal potere è quasi ridotto a spettatore.
E’ per questo che Robert Byrd, decano del senato e più ardente difensore delle sue regole, ha chiamato la “opzione nucleare” una «bomba legislativa che mette in pericolo il diritto al dissenso, al dibattito illimitato e alla libertà di parola».
Questa “opzione nucleare” potrebbe prendere varie forme. Nell’ipotesi più probabile, il vice presidente Cheney (presidente del Senato) potrebbe decidere che l’ostruzionismo nei confronti delle nomine dei giudici sia incostituzionale. Se una risicata maggioranza di senatori sostenesse questa mossa, questo tipo di ostruzionismo diventerebbe praticamente impossibile, e basterebbero solo cinquantuno voti per approvare una candidatura. I democratici perderebbero il loro ultimo strumento per bloccare le decisioni di Bush non solo per i seggi delle Corti minori, ma anche per quelli della Corte Suprema, per i quali tutto è certo tranne il fatto che diventino vacanti prima che termini il suo mandato.
Se l’ostruzionismo sopravvivrà nella sua forma attuale, ai democratici verrà riconosciuta una significativa vittoria legislativa nel mantenere aperto il procedimento nella lotta per le nomine alla Corte Suprema […].
Ma non ci sono abbastanza senatori democratici per fermare First e compagni. Bisogna che la schiera degli oppositori si allarghi, che vengano inclusi almeno una manciata di repubblicani, e sarebbe sensato iniziare con i moderati […].
Se mai c’è stato un momento in cui si è reso necessario che i repubblicani che ragionano prendano le distanze dall’ala jihadista del loro partito, quel momento è questo. Ma fare pressione sui conservatori assennati serve fino a un certo punto. Già due ex senatori con intatto pedigree conservatore, James McClure dell’Idaho e Malcom Wallop del Wyoming, hanno sostenuto in una lettera aperta al Wall Street Journal che abolire l’ostruzionismo potrebbe significare la fine del Senato come “corpo permanente con regole permanenti”.
Mentre First e i suoi alleati affermano che vogliono solo cambiare il regolamento riguardante la nomina dei giudici, McClure e Wallop ribattono che «E’ ingenuo pensare che quello che viene deciso per l’ostruzionismo nelle nomine dei giudici non verrà poi adottato nell’equivalente processo legislativo». Aggiungono inoltre che «Senza la possibilità dell’ostruzionismo, un futuro leader di maggioranza potrebbe proporre degli interventi internazionali discutibili con solo una o due ore per il dibattito, tempo a malapena sufficiente a informare l’opinione pubblica e radunare i cittadini contro l’approvazione».
Gli abusi che McClure e Wallop temono non devono essere una preoccupazione solo per i senatori democratici e per gli ex senatori repubblicani; gli attuali senatori che ritengano opportuno dare voce a qualcosa di più della più stretta ed oltranzista ala del loro partito (persone come il senatore dell’Arizona John McCain) hanno la responsabilità di alzare la voce. A maggior ragione se sono in grado di sentire un chiaro richiamo nelle seguenti righe inspirate dai loro costituenti: questa non è una questione di repubblicani contro democratici e nemmeno di liberali contro conservatori; questo è il momento in cui siamo chiamati a decidere se questo Paese dovrà rimanere una democrazia in cui chi governa deve agire secondo le regole, oppure se diverrà un sistema in cui chi vince prende tutto, in cui la più grave delle paure dei fondatori, la tirannia della maggioranza, diverrà l’eredità permanente lasciata da George W. Bush, Tom DeLay e Bill First.