di Danilo Arona
[Tutte le Cronache di Bassavilla]
MAD (Alessandria 1951- Milano 2000)
“Vivo a Milano, ma da Alessandria non ho mai traslocato, quindi non rimpiango questa città che non ho mai realmente lasciato. Non morivo dalla voglia di andarmene, ma non ho mai nemmeno per un attimo immaginato di rimanere, di avere lì un futuro. In realtà forse è il mio futuro che non ho mai immaginato. O forse sì, pensavo che sarei diventata grassa e alta, ma non è capitato. L’unica cosa che sapevo era che volevo dipingere. In realtà, prima dei diciott’anni non ho mai viaggiato e non ho neppure avuto le chiavi di casa. Quando sono arrivata a Milano negli anni Settanta mi pareva il paese di Bengodi, la fine del mondo”.
“Ero venuta per studiare architettura, dopo aver scartato Torino e aver seguito i consigli di un caro amico architetto. Non ho mai fatto un vero trasloco, perché ad Alessandria ho continuato a tornare, ma non ho conservato legami profondi con persone di Alessandria, perché i miei amici sono andati via come me. Tornavo a casa il sabato, poi ripartivo la sera della domenica, non mettevo il naso fuori di casa e stavo con i miei genitori. Non ho percepito un vero distacco. Solo dopo dieci anni, nei quali ho continuato a pensarla come una città senza auto né traffico continuando a confonderla con la città della mia infanzia, mi sono accorta che era cambiata. Adesso mi pare che la differenza con Milano non sia poi così netta.
Le piazze sono le cose che dal punto di vista architettonico mi piacciono di più e alle quali è collegata l’idea degli spazi di Alessandria. Ma molto è frutto del mio immaginario. Le piazze si sovrappongono alla nebbia e agli uomini avvolti nel mantello che andavano in bicicletta uscendo dalla fabbrica Borsalino in via Cavour. Qualcosa che ricordo volentieri è il Circolo del Cinema, per me un’importante occasione di avvicinarmi al cinema che continuo ad amare. Ho visto film che forse non rivedrei, ma che avrei potuto vedere solo lì.
Un altro elemento per me legato ad Alessandria è la mancanza di immagini a colori. La mia infanzia è grigia nel ricordo, i colori sono pochi a parte le matite colorate e i libri. Soprattutto i libri Garzanti d’arte e i cataloghi Ingegnoli.
A Milano ho trovato subito lavoro, semplicemente rispondendo ad un’inserzione, per cui non ho fatto a tempo a rimpiangere quella città che sapevo di non avere lasciato.
Non esiste poi una modalità alessandrina di vivere, ma come per tutte le città di provincia un certo perbenismo, il gusto e l’abitudine al pettegolezzo. Quando uscivo al pomeriggio mia mamma sapeva alla sera dov’ero stata perché qualcuno le telefonava. A Milano invece puoi non essere nessuno quando sei in giro.
A ben pensarci un tratto alessandrino mi è rimasto, questa tendenza autoronica e un po’ autodistruttiva a buttare giù anche se stessi, il vezzo si sottovalutarsi, tanto che a me sembra sempre di non fare cose eccezionali, stupendomi del fatto che qualcuno lo pensi: in fondo faccio l’unica cosa che so fare, anche se mi chiedono: Ma come fai senza agente?
Alessandria ora è come Milano. Strade piene di negozi eleganti, tante botteghe di gastronomia. Una grande e golosa cultura del cibo. Non trovo poi molta differenza nel modo di vestire tra le milanesi e le alessandrine. Si nota molto di più con le romane che sono fantasiose, scenografiche e sovraccariche. Al nord si adeguano di più alla norma. La norma è ciò che trasmette la pubblicità della moda, nel senso del classico per chi è insicuro e si riconosce, per acquistare sicurezza, in una categoria sociale o in una firma.
Io disegno e scrivo, ma oggi per me la scrittura è un accessorio. Non è stato facile: l’atteggiamento comune, allora come oggi, di fronte a una che disegna, se mostra di saper anche scrivere, è: Ma allora non sei deficiente, sai anche scrivere!
Mad (Maddalena Sisto), giornalista, architetto, illustratrice, osservatrice appassionata del suo tempo, ha raccontato con i suoi disegni trent’anni di moda, design, costume e un mondo femminile che cambiava restando lo stesso. I suoi disegni, quelli pubblicati sui tantissimi periodici a cui ha collaborato (quasi tutti), quelli con cui riempiva infiniti taccuini, che seminava su biglietti del treno e scatole di fiammiferi, che usava per lasciare messaggi e dare istruzioni a casa, sono più o meno elaborati, più o meno colorati, più o meno connotati dalla collaborazione con questo o quel giornale, ma sono tutti pervasi da un’ironia in stato di grazia e da una sorridente comprensione/compassione dei vizi e delle virtù delle donne del suo tempo. Mad, figlia di Bassavilla (magari suo malgrado), è oggi un mito, essenziale e non chiassoso. In questo stralcio di racconto-intervista, per il quale tutto è dovuto all’amica giornalista Maria Luisa Caffarelli (che l’ha redatta nel 1997, tre anni prima che Mad lasciasse prematuramente questo crudele pianeta), ci piace evidenziare il tratto saliente, efficace e geniale con cui è dipinta la Città Grigia, luogo vitale del noir che tentiamo di raccontare, assieme ad altre Cose, nelle nostre “Cronache”. Quella “mancanza di colori” che pure è la somma di tanti altri colori, da Simenon a David Goodis, perchè provincia è ovunque, e spesso — ovunque — significa “lontano da dove”. Ocra mistery, nero paura, rosso sangue, il porpora della follia: se mescoli il tutto — anche agitando forsennatamente — viene fuori il grigio. Infanzie lontane, domeniche deserte, le nebbie che nascondono gente avvolta nei mantelli. Un alveo primordiale che, di tanto in tanto, partorisce indelebili schegge di arte e di bellezza.