Per quanto possa sembrare improbabile, in un contesto di piena restaurazione anticonciliare, il cardinale Carlo Maria Martini, 78 anni, in queste ore vede salire le proprie quotazioni. Le voci sugli esiti dell’imminente Conclave stanno del resto raggiungendo il livello del tumulto, in queste ore. Però a questa voce in particolare, che ci arriva da fonte solitamente bene informata, ci piace credere, se non altro come ci piace credere a certa realizzabilità di desideri impossibili. Oltre all’indubbia opposizione politica che dovrebbe affrontare una simile candidatura “progressista”, giocano contro la nomina a pontefice di Martini due fattori essenziali: una malattia cronica e l’età (78 anni). Vero è che, nel caso gli elettori scegliessero l’opzione di un papato breve, cosiddetto di transizione, il fattore anagrafico non sarebbe ostativo, anzi. Preoccupa invece la salute dell’ex arcivescovo della diocesi milanese. Preoccupa altri, di contro, la messe di opzioni davvero rivoluzionarie che Martini considera praticabili, e di cui dà testimonianza nell’intervista che pubblichiamo, rilasciata giusto un anno fa al Tempo. [gg]
Eminenza, qual è il nucleo del pontificato di Giovanni Paolo II ?
Io mi rifarei alla prima Enciclica “Redemptor hominis”, cioè la dignità dell’uomo redento da Cristo. In tale principio, collocato nell’orizzonte del Vangelo, sta il punto più alto del pontificato di Papa Wojtyla.
E le difficoltà che invece sono emerse?
Non riguardano tanto la persona del Pontefice, riguardano il cammino della Chiesa nella storia. La Chiesa deve sempre affrontare nuove situazioni. E oggi si tratta di rispondere alla domanda: come convivere fra diversi senza farsi del male, senza confondersi e magari quando si condivide lo stesso territorio. Già S. Paolo ammoniva: “Se vi mordete e divorate a vicenda, guardate almeno di non distruggervi gli uni con gli altri”. E ancora: “Non vi fate illusioni: non ci si può prendere gioco di Dio. Ciascuno raccoglierà quello che ha seminato”.
Collegialità. Sinodi. Centralismo e partecipazione. Un bilancio in chiaro e scuro.
Il bilancio è complesso. Certamente il Vaticano II e poi papa Paolo VI istituendo nel 1965 il Sinodo avevano in mente uno strumento significativo, una specie di “Consiglio permanente di reggenza” della Chiesa insieme al Papa. Questa intuizione si è sviluppata solo in parte. I Sinodi hanno avuto il grande merito di mettere insieme i vescovi, di farli conoscere, di permettere loro di scambiarsi pareri. Ma non sono diventati quel Consiglio permanente della Chiesa che si era proposto il Concilio, quindi c’è ancora della strada da fare.
Per mesi i principali giornali hanno parlato di lei. Hanno scritto che il cardinale Martini voleva o proponeva un Concilio Vaticano III! E’ stato un abbaglio giornalistico o questa esigenza è e rimane un’esigenza dell’intero episcopato mondiale?
Io non ho mai parlato di Vaticano III perche’ l’espressione può essere fraintesa e può confondere. Vaticano III significa rimettere in questione tutti i problemi così come ha fatto il Vaticano II. La mia proposta andava in una direzione diversa. Convocare, di tanto in tanto, delle assemblee sinodiali veramente rappresentative di tutto l’episcopato e – perchè no – universali (Sinodi e Concilio sono la stessa parola) per affrontare questioni in agenda nella vita della Chiesa. Un’esperienza che valga a sciogliere qualcuno di quei nodi disciplinari e dottrinali che riappaiono periodicamente come punti caldi sul cammino della Chiesa.
Se ho ben capito, i Sinodi degli ultimi anni sono serviti a poco. Lei, il 7 ottobre 1999, raccontava nell’Aula Paolo VI davanti al Papa il suo “sogno”, quello di affrontare temi come la carenza di ministri ordinati, la posizione della donna nella Chiesa, la sessualità, la disciplina del matrimonio, l’ecumenismo. Orbene, i Sinodi non sono certo nella linea da lei indicata?
Sì, i Sinodi, sin dall’inizio hanno mostrato difficoltà a fondere il rispetto delle opinioni di tutti i vescovi con una capacità decisionale reale. La dimensione decisionale, teorizzata, non è stata esercitata. Non vedo perché tale capacità decisionale non possa comprendere l’intero episcopato…
Lei si riferisce a più di 4500 vescovi. Sono un numero imponente.
Io credo che oggi, con i mezzi di comunicazione e di trasmissione del pensiero, è facilissimo mettere insieme le persone. Ciò sarebbe utile ed eviterebbe che le culture diverse in cui è immersa la Chiesa vadano un po’ per conto loro. Dal confronto dei diversi linguaggi e dalla condivisione degli stessi problemi possono venire decisioni che aiutano la Chiesa ad affrontare con più forza il futuro.
La grandezza di un pontificato si giudica anche dal meccanismo di reclutamento dei vescovi. E’ un meccanismo che soddisfa o c’è qualcosa da rivedere? E poi non c’è solo collegialità, partecipazione dall’alto, c’è partecipazione dal basso.
I sistemi possono essere perfezionati così da tenere sempre più in considerazione anche i pareri della gente. Importante è acquisire un ventaglio il più ampio possibile di pareri sui candidati. Partecipazione dal basso? Io ho sperimentato nella mia Chiesa locale una forte presenza del popolo di Dio. Anche a riguardo della successione episcopale questo popolo si è espresso, ha fatto conoscere i suoi desideri. La categoria di “popolo di Dio” va approfondita, coltivata ma essa è ormai acquisita nella storia della teologia e nella storia della dottrina cristiana.
Lei vede solo cardinali in Conclave o il Conclave potrebbe essere arricchito da altre presenze?
Le proposte sono state tante. Potrebbe essere ragionevole rappresentare meglio le Conferenze Episcopali con la presenza, in Conclave, dei Presidenti delle stesse Conferenze. Non nego che il Collegio dei Cardinali abbia già una sua rappresentatività, però un Conclave allargato terrebbe maggiormente conto della articolazione della Chiesa che guarda al Papa come momento fondante della propria unità.
“Ingravescentem aetatem”. Un cardinale compie 80 anni ed è “out”, fuori dal Conclave. E’ d’accordo?
E’ bene mettere dei limiti di età anche nella Chiesa. Ci possono essere casi di persone estremamente vitali, ma è meglio seguire le prudenze umane biologiche e dare spazio ai giovani. Compiuto il proprio dovere ci si fa da parte. Nella Chiesa ci sono persone sagge che possono far sentire la loro opinione anche al di là di un semplice ballottaggio.
Diaconato femminile. Rimane sempre un terreno minato. Lei e’ un biblista. I teologi, o la maggior parte di essi, lo ritengono un tema improponibile.
Non saprei dare una soluzione teorica. Sicuramente assistiamo al fiorire di nuovi ministeri. E per quanto riguarda la loro efficacia i ministeri femminili nella Chiesa sono di primaria importanza. Penso al tema della carità, assistenza ai disabili, pace, ambiente, vita, ecologia, famiglia. Tutto ciò va riconosciuto e promosso.
Siamo di fronte ad una vera e propria “diaconia femminile”?
E’ così. Una diaconia che merita un riconoscimento maggiore di quello che viene attualmente reso possibile dalla legislazione canonica.
Nel conflittuale rapporto fra cristiani, mi riferisco in specie a quello fra cattolici e ortodossi, chi deve fare un passo indietro?
Ognuno deve fare un passo verso il Vangelo, non so dire se avanti o indietro. Il Vangelo è libertà, purezza di cuore, assenza di pretese, desiderio di valorizzare l’altro, rinuncia ai privilegi. Nessuno è esente dal fare passi decisi verso un Vangelo più vissuto.
La ripetuta richiesta di perdono di Papa Wojtyla ha provocato più di un malumore. Alcuni suoi colleghi vescovi hanno trovato imbarazzo nel tradurla in linea pastorale. E lei?
Io ho accolto con gioia questa richiesta di perdono. Il Papa ha fatto una scelta “conciliare” e ha interpretato bene il momento ecclesiale di grande sincerità, fiducia, onestà. Chi riconosce i propri errori si sente forte della forza dello Spirito. Se lette nel contesto del Vangelo le richieste di perdono non presentano difficoltà. Anzi. Sono un atto di coraggio e di onestà.
A proposito delle radici cristiane d’Europa e della Costituzione europea, che ne pensa?
C’è un problema di etichetta e un problema di sostanza. La sostanza è che la nuova Costituzione europea riporti nella pratica delle sue leggi quei valori del primato della persona e della sua relazionalità che sono lo specifico cristiano dato al continente. Se poi c’è un accenno esplicito alle radici cristiane con una formulazione condivisa da tutti, bene. L’essenziale però è che i valori cristiani siano nei fatti, non semplicemente una etichetta.
Non ha l’impressione che il “sale della Chiesa” sia diventato insipido?
La Chiesa passa continuamente da periodi di progresso a periodi di crisi e declino. Ciò non è un fenomeno generalizzato. Il pericolo che lei denuncia però esiste. Ogni qualvolta la Chiesa vuole conformarsi o piacere al mondo e non segue più il Vangelo rischia di diventare sale scipito. La Chiesa ha il dovere di rifarsi continuamente alla parola di Dio e al Vangelo. Questo è ciò che io ho sempre sostenuto come principio di fondo della vita ecclesiale.
Riesce a individuare nella Bibbia, nel “Primo o Secondo Testamento” come li definisce lei, una frase che sostenga la Chiesa nel suo cammino, che la renda piu’ fiduciosa e credibile?
La parola che ripete Gesù tre volte nel capitolo VI del Vangelo di Matteo: “Il Padre che vede nel segreto ti ricompenserà”. Il che vuol dire non tanto esteriorità, apparenze, vita mediatica, bensì la realtà nascosta della vita quotidiana vissuta con fedeltà al Vangelo. E’ qui l’essenziale per ogni esistenza cristiana.