di Giancarlo Zizola
[Giornalista vaticanista, autore di importanti saggi quali Il Successore e L’altro Wojtyla, Zizola è uno degli analisti più acuti e informati in fatti di Chiesa. Questo articolo sull’imminente Conclave è a nostro parere, tra i molti pubblicati in questi giorni da tutte le testate italiane, il più completo e pedagogico circa gli schieramenti interni che vanno ad affrontarsi nel segreto della Sistina, ed è apparso sul Sole 24ore]
Due linee fondamentali si confrontano nel collegio degli elettori del successore di Giovanni Paolo II. I “riformisti” appoggiano un papa abbastanza giovane per affrontare un regno di almeno dieci anni. Un papa disposto ad impegnarsi sui nodi della crisi della Chiesa attraverso una politica di riforme e capace di riparare le fratture interne ereditate dal wojtylismo. Nell’altro campo, i “conservatori”, partigiani di un “wojtylismo senza Wojtyla”, sono invece decisi a sfruttare a fondo l’impulso dato dal papa polacco per ricollocare la Chiesa in un ruolo pubblico influente di fronte alla crisi della società moderna sui terreni etico e politico.
Gli uni e gli altri sanno che le questioni che aggravano le scelte del futuro papa sono strategiche. Colui che, fra i 120 cardinali elettori, sarà chiamato a rivestire l’abito bianco, diventerà il pastore supremo di circa 1 miliardo e 50 milioni di fedeli,di cui l’87% abitano ormai il Sud del pianeta. È anzi in Africa,in Asia e in America Latina che abitano i cattolicesimi più vitali per espansione apostolica.
Perché non è più attuale la domanda: Papa italiano o straniero?
Le opposizioni convenzionali del dibattito elettorale precedente nei due conclavi dell’estate 1978 — papa religioso o papa politico, papa italiano o papa straniero – questa volta sono considerate a Roma come obsolete, dal momento che la ricerca del successore del papa slavo si situa oggi a un altro livello, senza paragoni più ricco di universalismo e più esigente. Questa dimensione si è incarnata nella tendenza internazionalista sviluppatasi con le creazioni di cardinali nel 2001 e nel 2003. Grazie alle scelte di Wojtyla è aumentato nel Sacro Collegio, sia pure di pochissimo, lo spazio della “Terza Chiesa”, con una sostanziale equiparazione della rappresentanza fra i cardinali dell’America Latina,dell’Africa e dell’Asia, da un lato, e quelli europei e specialmente italiani dall’altro. Ancora negli anni 60 questi ultimi erano la schiacciante maggioranza.
Nel programma dell’ala riformista figurano così due degli apporti più importanti del pontificato di Wojtyla: il dialogo della Chiesa con l’ebraismo, con l’islam e con le altre religioni del mondo, e il cambiamento di certe modalità nell’esercizio del potere papale, una riforma da lui stesso preconizzata nell’enciclica “Ut unum sint”. Per realizzare questa riforma, il prossimo papa dovrà dedicarsi a ridurre il peso della Curia romana e fare evolvere il governo della Chiesa verso un sistema collegiale, come lo aveva stabilito il Concilio Vaticano II a metà degli anni 60.
Gli altri punti del programma riformista riguardano cambiamenti sul ministero sacerdotale l’ordinazione della donna, l’assoluzione generale, il celibato del clero, l’accesso ai sacramenti per i divorziati e sul decentramento alle Chiese locali specialmente africane e asiatiche, mortificate dal tallone vaticano. Una modifica profonda è prevista per il sistema di selezione e di nomina dei candidati all’episcopato, dopo le crisi scatenate in varie Chiese dal sistema centralizzato vigente. Paradossalmente si trovano anche nella Curia romana dei cardinali disposti a condividere, almeno in parte, un programma di riforme. Nei settori cardinalizi riformisti si vorrebbe associare questo piano al fascino simbolico di un papa latinoamericano per spingere sul trono di Pietro un uomo capace di rappresentare l’alternativa spirituale della Chiesa dei poveri al dominio globale del denaro.
L’opzione latino-americana: Maradiaga e Bergoglio
La figura emergente in questo scenario è l’arcivescovo di Tegucigalpa (la capitale dell’Honduras) Oscar Andrés Rodrìguez Maradiaga (1942), un religioso della Congregazione salesiana che riunisce un ventaglio di interessi nei più svariati campi e parla cinque lingue. A Roma egli si è fatto conoscere come membro del Consiglio “Cor Unum” e del Consiglio Giustizia e Pace. Eletto dal Sinodo dei vescovi alla segreteria generale (1994-2001), è stato segretario del Sinodo per l’America curando il documento postsinodale “Ecclesia in America”, diagnosi inflessibile della dottrina neoliberista.
L’argomento principale a favore di un candidato latinoamericano è il valore simbolico del primo salto transoceanico del papato, oltre che il riconoscimento dovuto a una cristianità che raccoglie più della metà dell’insieme della Chiesa romana. In quest’area è trattata anche la candidatura dell’arcivescovo di Buenos Aires, cardinale Jorge Mario Bergoglio (1936), gesuita emerso alla ribalta per il suo attaccamento personale alla Chiesa dei poveri, il ruolo positivo svolto per favorire la soluzione della crisi economica argentina, la delicatezza con cui ha mediato con i teologi della liberazione al tempo della loro condanna romana.
Nella prospettiva di un’opzione simbolica dei nuovi mondi, anche l’Asia è pronta a presentare una candidatura: il nome dell’arcivescovo di Bombay (oggi Mumbai) cardinale Ivan Dias corrisponde alle aspettative di una nuova apertura della Chiesa cattolica alle relazioni con l’universo delle grandi tradizioni spirituali e culturali della Cina, dell’India, del Giappone, delle Filippine, un orizzonte cruciale per il futuro dell’umanità. Baricentro demografico del pianeta, lo scenario asiatico dominato dai nuovi protagonisti della globalizzazione economica coincide anche con una presenza assolutamente microscopica del cattolicesimo, che tuttavia registra proprio in Asia il più alto tasso di aumento, vicino al 180% in più di proseliti. Implicita nell’opzione di un papato asiatico sarebbe l’adozione di un programma che rilanci la teologia del dialogo fra le grandi religioni mondiali, avviando a soluzione quei nodi che avevano rallentato l’espansione dell’impegno interreligioso di Giovanni Paolo II.
Ivan Dias, un cardinale dalla lontana India
Il tentativo dei vescovi indiani di risagomare le verità cristologiche nel linguaggio spirituale indiano è stato stroncato dalla Congregazione per la Dottrina e fu proprio il cardinale Dias a dare una mano a Ratzinger per domare le più spericolate impazienze dei teologi indiani dell’inculturazione. Diplomatico di carriera, discepolo spirituale di Madre Teresa di Calcutta, Dias ha posto la premura per i poveri e la carità in cima alla sua missione di rappresentante pontificio in Costa d’Avorio prima e poi di primo nunzio apostolico nell’Albania del dopo Muro. Consacrato arcivescovo nel 1982, egli ha ricostruito la Chiesa cattolica in Albania, intervenendo con spirito ecumenico a sedare i conflitti etnici.
Nella sua figura quindi si potrebbero riconoscere tanto le esigenze che accentuano il polo dell’unità gerarchica della Chiesa sotto l’autorità del papa, quanto le spinte universalistiche e missionarie ai nuovi mondi, mediante l’accettazione di una opzione non eurocentrica della missione della Chiesa e lo sviluppo del dialogo fra le religioni su basi di chiarezza dogmatica. Per la prima volta il papato andrebbe fuori dell’Occidente, e non solo per uno spiazzamento geopolitico o solo simbolico: seguirebbe a distanza di millenni le orme di una evangelizzazione di origine apostolica.
È innegabile tuttavia che la soluzione latinoamericana e quella asiatica sono considerate ancora premature da coloro per i quali la cosa più necessaria è un papa che sappia far atterrare la Chiesa, dopo il lungo “stato di eccezione” carismatico e volante di “Karol il Grande”, sulla pista dei problemi istituzionali critici, lasciati da parte da troppo tempo, e porti l’aereo nell’hangar per una attenta verifica delle ali e dei motori. Se questa visione dovesse prevalere, il Conclave potrebbe orientarsi, come soluzione di compromesso, verso un esperto capo-officina, più che su un altro gigante carismatico. L’identikit di questa candidatura includerebbe esperienza pastorale, capacità di governo, conoscenza delle pratiche scottanti, temperamento di mediazione per recuperare sulle questioni critiche il metodo del dialogo tra principi immutabili e concreta realtà storica e ripristinare la comunicazione bilaterale tra la curia romana e le Chiese locali. Questo identikit sembra adattarsi a personaggi del sistema, disposti a prudenti aperture.
Gli italiani «prudenti»: Re e Tettamanzi
Uno dei candidati in questa linea è Giovanni Battista Re, prefetto della Congregazione dei Vescovi, noto per essere stato fra gli uomini di fiducia del papa slavo. Originario di Brescia, la diocesi di Paolo VI – del quale ha esaltato la dottrina del dialogo – un’età relativamente giovane (1934) e una carriera in Segreteria di Stato, Re potrebbe catalizzare i consensi degli elettori interessati più a un papa di soglio che a un papa carismatico, a un uomo capace di riparare le fratture interne ereditate dal wojtylismo, di mettere le mani sulla riforma della Curia e sulla rianimazione della collegialità nel governo centrale e di restituire alle Chiese locali quello che la politica centralista ha loro tolto negli anni 90.
Quanto all’età, l’alternanza tra un papato lungo e uno corto, senza essere assoluta, continua a godere di una certa razionalità statistica: i cardinali infatti, dopo il lungo regno di Wojtyla, sarebbero meglio disposti a valutare i vantaggi di un pontificato breve, di riassestamento e di riequilibrio, orientandosi dunque per un cardinale anziano, purché valido. Era accaduto nel 1958 con la scelta del “vecchio” cardinale Angelo Roncalli, per un “papato di transizione”, dopo i 19 anni di Pacelli.
Il nome che ricorre più frequentemente nelle liste dei papabili è quello del cardinale Dionigi Tettamanzi, successore di Carlo Maria Martini a Milano. Ritenuto adatto a una soluzione mediana, capace di realizzare una convergenza sia dal campo riformista che da quello moderato, questo prelato milanese del 1934 non gode del fascino cosmopolita di un Wojtyla e non ha la sua sterminata conoscenza delle lingue. Tuttavia la sua finezza intellettuale si è applicata a far evolvere la teologia morale, il suo campo di specializzazione, nel quale ha messo in evidenza le sue capacità di prudente apertura in tempi di massimalismo.
Egli non ha mancato di dimostrare la considerazione in cui tiene il ruolo dell’Opus Dei e ha messo nel suo programma l’operazione di un recupero del controllo di Cl, nel quadro di un riequilibrio generale della situazione interna della Chiesa, sbilanciata dall’eccesso di spazi attribuiti ai movimenti negli ultimi decenni. Ha esperienza pastorale, come arcivescovo di Ancona, prima, di Genova poi. Ha fatto pratica di governo centrale, come segretario della Conferenza episcopale italiana e collaboratore (e moderatore) delle encicliche morali del papa,fino al suo trasferimento a Genova nel 95 . Si è lanciato sul piano internazionale con un intervento riformista nel Sinodo europeo del 99 quando ottenne, nelle votazioni per la segreteria generale, il primo posto fra gli italiani eletti. La sua lettura positiva della crisi della cristianità e la convinzione che il primato dello spirituale esige un nuovo ciclo riformista nella Chiesa lo hanno avvicinato alle posizioni di Martini.
Emerge anche uno schieramento sull’obiettivo di prolungare la politica di Wojtyla in un rafforzamento di stile gregoriano della potenza etico-politica della Chiesa romana, come era accaduto nell’anno Mille dopo il pontificato di Silvestro II, il papa francese che aveva aperto la via a Gregorio VII. Questa alleanza potrebbe contare sulla convergenza delle lobbies dei Movimenti, in particolare dell’Opus Dei, dei Focolari e di Cl, da un lato, e dell’ala tradizionalista sia lefebvriana che legalitaria dall’altro. La loro consistenza sarebbe sufficiente a bloccare il terzo dei voti all’inizio per poter impedire l’elezione di un candidato non omogeneo nei primi tre giorni di scrutini, per i quali vige la maggioranza qualificata dei due terzi, in modo da ottenere il voto sull’abbassamento del quorum alla metà più uno dei voti e portare il loro uomo sul trono, sia pure dopo almeno tredici giorni di Conclave e a prezzo di lacerazioni.
I «grandi elettori» di Curia: Ratzinger e Sodano
Uno schieramento del genere si dirige verso una personalità pragmatica, di tendenza conservatrice, opportuna nelle situazioni di estrema urgenza. In questo scenario non è consigliabile trascurare il peso elettorale di una possibile coalizione tra grandi elettori di curia, come Josef Ratzinger e Angelo Sodano, e l’ala integralista rappresentata dai cardinali latino-americani con incarichi in curia. La prospettiva latino-americana sarebbe allora recuperata in funzione del programma conservatore. E nella stessa direzione sarebbe disponibile, alla confluenza fra i settori più tradizionali della curia e i ceti di cardinali africani e asiatici più sensibili al vento romano, il prefetto della “Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli” cardinale Crescenzio Sepe, proveniente dai ranghi della Segreteria di Stato ai tempi in cui era costretto a mordere il freno sotto il sostituto Giovanni Benelli.
Il Patriarca di Venezia Angelo Scola, che proviene dal movimento di Comunione e Liberazione, potrebbe costituire fra gli italiani una possibile alternativa a Tettamanzi, se il Conclave si orientasse per la continuità sostanziale degli stili di Wojtyla, con in più il minimo di aggiustamenti strutturali indispensabili a rafforzare il ruolo politico della Chiesa. L’aggregazione di lobbies varata dall’Opus Dei potrebbe avere allora un peso ingente nel portare al successo la candidatura di questo fine teologo, cresciuto fra le braccia di Urs von Balthasar e arricchito dall’esperienza pastorale in diocesi, dalla pratica del governo centrale da un posto privilegiato come l’ufficio di rettore dell’Università del Laterano e dalla collaborazione alla redazione di importanti documenti pontifici.
Due outsider: Schonborn e Antonelli
Meno lacerante sarebbe la candidatura del cardinale Christoph Schonborn, il brillante domenicano arcivescovo di Vienna, redattore del Nuovo Catechismo della Chiesa cattolica, il quale, senza le asprezze identitarie di Biffi, e il rigore metallico del suo sponsor Ratzinger, anzi aperto al dialogo, assicurerebbe un’interpretazione suggestiva alle aspettative dell’ala intransigente e della più ampia cerchia del conservatorismo cattolico.
Una soluzione mediana potrebbe invece apprezzare anche candidature di profilo più spirituale e pastorale, sia pure organiche ad alcuni movimenti, però da posizioni distinte. Questo orientamento troverebbe la sua espressione portando al papato l’arcivescovo di Firenze, il cardinale Ennio Antonelli (1936), vicino al Movimento dei Focolari di Chiara Lubich.
Attraverso questa mappa di tendenze che si affrontano per il dopo-Wojtyla si profila all’orizzonte un Conclave di capitale importanza per gli equilibri futuri della Chiesa e per la sua presenza nella società intera. Il criterio fondamentale nella scelta degli elettori sarà il modello di Chiesa da proporre per risolvere la crisi che la erode dall’interno e per rispondere ai bisogni spirituali dell’umanità.
Gli elettori sceglieranno il modello spirituale o l’opzione politica? Si può prevedere che i conservatori perderanno ancora terreno. Il successore di Giovanni Paolo II verrà probabilmente dalla corrente dei cardinali moderati. Tuttavia, considerando le resistenze e le alleanze che si muovono nell’apparato ecclesiastico – oltre all’abile attivismo e all’influenza di alcuni esponenti dell’establishment vaticano, come il cardinale Ratzinger – è difficile immaginare che possa accedere al magistero supremo un vero continuatore di Giovanni XXIII,deciso ad aprire alla Chiesa le porte dell’avvenire.