di Giuseppe Genna
Mentre scrivo il Papa è grave.
Siccome scrivo da sempre, il Papa è grave da sempre? No. La Chiesa è grave, il Papa si è aggravato soltanto negli ultimi anni. Da giorni, settimane e mesi è un rincorrersi di bollettini, di speciali, di CNN news, di reportage condotti grazie ai depositi storici del profluvio di immagini con cui questo Pontefice ha identificato il proprio mandato.
Prescindo, perciò, proprio in ragione di questa identificazione religiosa di sé e della Chiesa con le immagini di sé e della Chiesa, da una valutazione geriatrica di quanto accade a questo pover’uomo, devastato da un male che conosco bene e che non auguro a nessuno. Prescindo altresì dalle valutazioni storiche (il Papa che sconfigge il comunismo, il Papa che se la piglia poi col capitalismo), materia di altro tipo di geriatri, che sono gli storiografi tutti.
Affronto invece un tema metafisico, che è fisico: il dono del corpo e l’esito di questo dono – cioè il martirio mediatizzato a cui il Papa si è sottoposto nel dare un lungo congedo alla sua storia e a quella di tutti noi.
Se si resta alla cronaca mediatica, archi voltaici scattano tra tre protagonisti dei tg di questi giorni. L’uno è Wojtyla. L’altra è Terri Schiavo. Il terzo è Ranieri di Monaco.
Un’attenzione costante, che potrebbe facilmente confondersi con la morbosità, ha accompagnato queste vicende in corso, tra le quali una si è conclusa proprio oggi – e si tratta del viaggio terrestre di questa poveraccia italoamericana in coma da 15 anni, attorno alla quale si è eretto un ridicolo e brancaleonico circo di reazionari cristiani a ogni titolo, di cariche giurisprudenziali e politiche, di coniugi presidenziali, di legulei biopolitici. Come si diceva, un’attenzione ossessiva, che poteva sconfinare in morbosità: e, puntualmente, è sconfinata in morbosità. Il punto che vorrei qui evidenziare è proprio questo passaggio dalla potenza all’atto, tramite pubblica immagine.
Non serve scomodare il comparto ormai masticatissimo dell’antropologia mediatica, dell’ermeneutica del segno satellitare, della fenomenologia televisiva. Ogni analisi è lecita e, per quanto si è letto in questi giorni un po’ ovunque, anche piuttosto scontata. Tuttavia varrà, almeno per il caso Schiavo, meditare su una differenza specifica e significativa.
Terri Schiavo non ha rilasciato alcuna pubblica immagine. Priva di coscienza, ma non di vita biologica, non ha potuto patteggiare alcun compromesso con la malizia preternaturale che ha proiettato il suo corpo distorto e idiotizzato per tutto l’etere planetario. La reiterazione compulsiva di quella patetica scena, in cui la madre della giovane (Terri per gli amici e per tutti i giornalisti, cingalesi neozelandesi o di Carugate) la solleva causandole un gorgoglio gutturale osceno, ha tempestato i video con la medesima frequenza delle immagini di Lady D, di Gianni Agnelli per i mesi successivi alla sua morte, di Padre Pio e di quant’altri. Quant’altri che pubblicamente si esposero mentre disponevano della coscienza di farlo. L’esposizione di Terri Schiavo allo sguardo esorcistico dei media è stata invece una violenza che dovrebbe pesare nel dibattito sulla differenza tra coscienza di veglia e vita biologica. Il che non è accaduto.
Isolo questo elemento della volontà di essere un simbolo perché è importante in una prospettiva metafisica, sulla quale si compie un ulteriore passo esaminando i toni e le significazioni dei bollettini medici che stanno scandendo gli ultimi giorni di vita di Ranieri, il regnante di Monaco. “Sua Serenissima Eccellenza”, come viene continuamente ripetuto. E si tratta di una degna appendice a quell’ostensione di croci massoniche e parasavoiarde che il reggente di Montecarlo mostrava sulle pagine di Gente e di Oggi, fotografato a party per corredare poi servizi sulle avventure erotiche e coniugali della figlia minore. Convocato con le sue onorificienze indecrittabili in un’operetta gossip che prese avvio dalle tristi e grottesche vicende della consorte diva, Ranieri appariva caricaturalmente un monarca ottocentesco quando reggeva in realtà un modernissimo portofranco fiscale, un crocicchio di avventurieri finanziari e agenti dei servizi di ogni nazione, un luogo mortale per personalità non altrettanto “Serenissime”, come il banchiere Edmond Safra, morto assassinato nel bagno del suo attico, una panic room che non ha frenato le fiamme di un incendio doloso non ancora chiarito nelle dinamiche e nei dolenti che lo hanno scatenato. C’è volontà e volontà, come c’è simbolo e simbolo. Forse sono ben altri e più sotterranei i simboli con cui il monarca monegasco desiderava essere identificato e in qualche modo ricordato.
A fronte di tutto ciò, quanto meno volgare e più metafisico appare il martirio eviscerato davanti a tutti – occhi fisici e meccanici – dal Papa che ha trascinato la Chiesa cattolica nel terzo millennio! Però forse bisogna registrare i termini: questo martirio è sicuramente meno volgare degli altri due, ma non è affatto detto che sia più metafisico.
Questo, precisamente questo, è il punto di crisi, il perno di un’altra e superiore morte, che affligge la Chiesa, non il Papa: si tratta dell’incomprensione del metafisico.
Forti sospetti dovrebbero attanagliare in merito i sociologi e i teologi vaticani. Osserviamo l’esito pubblico dell’apparizione martirizzata del Pontefice. Connotando come pubblico questo esito, altro non faccio che sottolineare la pervicacia lessicale con cui i giornalisti italiani hanno certificato definitivamente la trasformazione della Catholica: da Ecumene a Pubblico. Il Papa si è mostrato al pubblico, in pubblico, il pubblico ha reagito con emozione. Ovunque interviste ai fedeli in piazza che si sono emozionati per avere visto il vicario cristico tentare di parlare e rochire indistintamente. In tutti i contenitori giornalistici è andata in onda questa barzelletta tragica che testimonia della verità spettacolare a cui si è ridotta oggidì l’azione della Chiesa nel mondo. Si tratta certo di un’analisi trita e ritrita, ma approfondendo emerge uno scandalo con cui siamo certi nessun Messia si sarebbe augurato di avere a che fare. E lo scandalo è questo: non c’è più corrente di vita naturale nell’immane apparato simbolico che ormai fa da valva fossile alla Chiesa. L’ictus che il morente Pontefice ha causato, in trent’anni quasi di sovraesposizione mediatica, è in linea con i tempi laici che desiderava frenare. Il simbolo è svuotato perché è diventato un canale di comunicazione. L’ondata emotiva che ha cominciato a montare, e che raggiungerà culmini mai registrati quando il Papa sarà deceduto, è la coerente fotografia di uno stato di fatto: l’emozione è ormai l’unica sfera di azione con cui la gerarchia cattolica intrattiene un rapporto con la realtà. Essa suscita emozione. L’Amore, a dispetto di duemila anni di consapevolezza esoterica cristiana, diventa amore. Struggente evaporazione di ogni ambizione realizzativa, di ogni operazione su se stessi, questa rivoluzione copernicana della Chiesa cattolica appare già, agli occhi di chi studia le colossali storie delle religioni, quale un segno del coma che da tempo ha preso possesso della coscienza cattolica.
Non ci sarà differenza, se non quantitativa, tra l’emozione suscitata dalla morte del papa e quella sollevata dal decesso di Agnelli.
Recentemente, disquisendo nel corso di una trasmissione radiofonica con Massimo Introvigne, ero rimasto perplesso a fronte dell’analisi che l’eminente studioso di religioni compiva sugli ultimi trent’anni di vita cattolica. Egli osservava come fosse vero che la Chiesa, nell’immediatezza postconciliare, avesse completamente voltato le spalle al mistero e al fantastico, subendo un processo di laicizzazione che si era convertito in un violento impallidimento della ricezione delle verità religiose. Ultimamente però le indagini sociologiche, a cui faceva riferimento Introvigne, segnalavano una crescita di fedeli, una sorta di boom demografico del gregge. Non ho il minimo dubbio che registrino un incremento notevole i numeri dei visitatori del santuario pugliese di Padre Pio. E’ che questa, una volta ancora, è una maniera distorsiva di osservare l’incipienza dei sintomi mortuari sul Corpus Ecclesiae. Che differenza c’è, per un fedele cattolico, tra Padre Pio, il Papa e Cristo? Che differenza o similarità esiste tra il Papa, Terri Schiavo e Ranieri? Qual è, in termini metafisici, la strada che il cristiano percorre? E’ su questa inconsapevolezza, su questa incapacità a risultare magistrali e non a pronunciare ma a essere quella verità, che si misura il coma cattolico.
Evocare il termine magistrale a proposito di Chiesa è una provocazione. Penso alla magistralità dei Maestri orientali, degli sciamani, dei talmudici – non alla magistralità secondo madre Chiesa. L’ondulatoria consistenza e aggressività della magistralità incarnata dai rappresentanti di Roma, si sa, è ben assodata, e lo è grazie alle infinite e sanguinose peripezie della vicenda politica in cui tutta la piramide ecclesiastica si è lanciata da due millenni a oggi. Questa magistralità è anch’essa un sintomo. Il noto argomento per cui in nessuna confessione religiosa esiste l’infallibile verticismo con cui si è principescamente, imperialmente strutturata la Chiesa cattolica, è ancora utile. Non così utile, tuttavia, come l’osservazione che da molto tempo (diciamo da diciassette secoli) il simbolo è per la Chiesa non un canale realizzativo, bensì un discrimine di importanza: qualcosa è più magistrale di altro, qualcosa è più importante di altro. Una simile protervia del modulo della differenza diventato ragione di supremazia si pone all’origine di tragici errori storici, compiuti con indifferenza e per i quali successivamente (molto tempo dopo averli commessi) si è domandato scusa davanti alle telecamere.
Tutto ciò conduce a riflettere sull’effettività metafisica dell’operazione mediatica condotta dal Papa fino alla fine. E’ indubbiamente commovente, ma la metafisica ha ben poco a che fare con la commozione. Con la commozione ha invece a che fare la religione, la quale predispone per l’appunto una retorica, cioè un’arte della persuasione e della commozione, di cui i simboli religiosi diventano stilemi, elementi particellari di un linguaggio indurito. In pratica: l’abiura del divenire come forza metafisica. Il paradosso è questo: nel momento in cui il Papa mostra tutto a tutti, mostra eroicamente la vita corrosa da una morte che viene predicata come non definitiva (ma soltanto in una logica mediatica; non c’è nulla di eroico nel morire), egli mostra la carne e non mostra lo spirito. Il Papa sta mostrando il mostrabile, non lo spirituale. Lo spirito non è volontà. L’essenza è, non è volontà. Se c’è l’essere, l’essere c’è; se non c’è l’essere, la volontà non può essere. E’ una specola tomistica, che qui adotto, ma mi pare una lente semprevalida per guardare a fatti di metafisica.
Si sta testimoniando in queste ore ciò che un’infinitudine di eretici (eretici un giorno; passano cinque secoli e non sono più eretici) hanno supplicato ai vertici della loro confessione: concentrarsi sul nucleo metafisico, non su quello religioso né su quello politico. Concentrarsi sulla concentrazione.
La Chiesa cattolica sta perdendo il suo grande Papa contemporaneo. Ha già perduto da molto il proprio oggetto: questo è un dramma ben più devastante e grave per molti umani.
Alcuni estratti non simbolici dalla vicenda in tempo reale
00:09 Unione: “Qualcuno fermi Porta a porta”
“Qualcuno fermi Porta a porta. In una serata così drammatica, con le televisioni di tutto il mondo in edizione speciale in apprensione per le condizioni di salute del Santo Padre, la trasmissione di Vespa, la trasmissione di punta dell’informazione sta andando in onda con l’intervista a Berlusconi fatta questo pomeriggio”. E’ quanto affermano Giorgio Merlo (Margherita), Valerio Calzolaio (Ds), Gianfranco Pagliarulo (PDCI). “Dopo mezz’ora di trasmissione – spiegano – è apparsa una sovrimpressione che si limita ad avvertire del fatto che la trasmissione è registrata”.
00:01 Cnn: “Impartita l’estrema unzione”
La Cnn ha appena dato la notizia che al Papa sarebbe stata impartita l’estrema unzione. La più grande televisione “all news” del mondo si inserisce dunque nel ‘giallo’, che al momento non trova una conferma ufficiale, ma che stando alla rete televisiva con sede ad Atlanta sarebbe stata confermata da fonti del Vaticano.
23:58 L’urologo: “Può servire catetere. Necessario se non funzionano antibiotici”
“In presenza di infezione alle vie urinarie, se non basta la terapia antibiotica, può essere nececessario l’inserimento di un catetere, per sbloccare la paralisi dei muscoli vescicali”. Lo afferma il primario urologo dell’Istituto Regina Elena di Roma, Michele Gallucci. “Il catatere – spiegaGallucci – può essere inserito senza bisogno di ricovero in ospedale, come già è stato inserito al Papa il sondino naso-gastrico per alimentarlo”.
Per Gallucci, “la febbre causata dall’infezione può avere conseguenze pesanti per un organismo debilitato come quello del Pontefice”.
23:55 I giornali di tutto il mondo parlano della salute del Papa
La notizia del peggioramento delle condizioni di salute del Papa sta facendo il giro del mondo ed è stata immediatamente ripresa dai principali mass media internazionali. Tra i primi quotidiani a riportare la notizia, il “New York Times”, che cita un funzionario del Vaticano coperto dall’anonimato secondo cui le condizioni di salute del pontefice erano “stabili fino a poche ore fa”. Il ‘New York Times’ riporta inoltre le dichiarazioni di Marc Siegel, specialista di medicina interna presso il centro medico dell’Università di New York, stando al quale “l’infezione urinaria può produrre febbre e un calo della pressione sanguigna”.