La designazione di John Bolton [nella foto] ad ambasciatore Usa alle Nazioni Unite continua a suscitare polemiche. L’ultima iniziativa contro la nomina del ‘falco’ neoconservatore a rappresentare gli Stati Uniti al Palazzo di vetro viene da un gruppo di 59 ex diplomatici che si e’ rivolto al Congresso perche’ non ratifichi la scelta della Casa Bianca. “Vi chiediamo di respingere la nomina” scrivono tra gli altri Gerald Helman, Roger Kirk e Priceton Lyman, ambasciatori sotto Nixon, Ford, Carter e Reagan, “i suoi trascorsi indicano senza ombra di dubbio che si tratta dell’uomo sbagliato per quell’incarico”. Gli ex ambasciatori citano come ragioni per il loro ‘no’ a Bolton il lungo elenco di dichiarazioni pesantemente critiche nei confronti delle Nazioni Unite e i suoi rapporti con Taiwan, che l’attuale sottosegretario di Stato con delega al controllo delle armi considera “uno stato sovrano”.
Pubblichiamo: un ritratto del neoambasciatore Usa all’Onu, riprendendolo da Aprile; e un’analisi di Mike Whitney apparsa su Dissident Voice e tradotta da Patrizia Messinese per PeaceLink.
John Bolton, un gatto nel parlamento dei topi
Ritratto di un funzionario in carriera. Disse che ”le Nazioni Unite non esistono”. Ora rappresenta gli Usa al Palazzo di Vetro
di Stefano Rizzo
[da Aprile]
Solo due settimane fa il presidente degli Stati Uniti ha compiuto un viaggio diplomatico di tre giorni in Europa nel corso del quale si è incontrato con i vari leader europei, Chirac, Blair, Schroeder e anche, per una ventina di minuti, Berlusconi. La maggior parte dei media italiani ha salutato l’evento come il segno di una importante svolta nella politica estera americana, una svolta annunciata e preparata dalla precedente visita del Segretario di Stato Condoleezza Rice, in direzione di una nuova politica di “dialogo invece di monologo” (come aveva detto la stessa Rice), di ascolto con gli alleati europei e di collaborazione con gli organismi internazionali.
Questo giornale aveva espresso qualche riserva sulla effettività di tale svolta che, nonostante gli altisonanti richiami alla democrazia, alla libertà e alla ritrovata concordia, sembrava più di facciata che di sostanza, come peraltro aveva evidenziato anche il duro scontro (un vero e proprio attrito tra masse freatiche) con il presidente russo Vladimir Putin. Non pensavamo che a distanza di pochi giorni l’amministrazione americana desse torto ai suoi entusiasti ammiratori e confermasse il nostro inveterato scetticismo.
Non ci riferiamo all’aggressività delle reiterate ingiunzioni alla Siria di lasciare il Libano: dopo l’imponente manifestazione dei partiti pro-siriani, la situazione in quel paese si è rivelata leggermente più complessa di quanto la propaganda su “il Libano ai libanesi” vorrebbe far credere; in realtà, con la sua arroganza e il sostegno a una parte contro l’altra, l’amministrazione americana rischia di precipitare il paese in una nuova guerra civile.
Non ci riferiamo neppure alle minacce che continuano a essere rivolte nei confronti dell’Iran per la sua supposta politica di riarmo atomico. Due fatti di questi giorni, una relazione ufficiale della CIA al congresso e un rapporto dell’Agenzia atomica internazionale, hanno chiarito, da un lato, l’inconsistenza delle presunte prove sbandierate dal governo Bush contro il regime di Teheran e, dall’altro, che “al momento attuale”, come dice l’AIEA, “non esiste alcun elemento per affermare che l’Iran stia dotandosi o intenda dotarsi di armi di distruzione di massa.”
No, la conferma più chiara che la grande svolta di politica estera del governo americano non era altro che un’operazione mediatica a uso e consumo delle platee televisive, è data dalla nomina, avvenuta lunedì scorso, di John Bolton ad ambasciatore presso le Nazioni Unite.
Chi è John Bolton? E’ un funzionario di carriera, da 25 anni al Dipartimento di Stato, che ha avuto vari incarichi nei precedenti governi, tra cui, da ultimo quello di negoziare il trattato di non-proliferazione nucleare con la Russia che ha lasciato agli Stati Uniti la porta aperta per il progetto di difesa missilistica a suo tempo denominato “guerre stellari”. Un negoziatore duro, si dice, e efficace; un allievo del senatore ultrareazionario della Carolina del Nord, Jesse Helms, un fedele seguace del conservatorismo più estremo, che pochi mesi fa ebbe a dichiarare: “Se dal palazzo delle Nazioni Unite si togliessero dieci piani non ci sarebbe una grande differenza: in realtà le Nazioni Unite non esistono.”
Sulla questione più importante che dovrà affrontare nel corso del suo mandato, la riforma del Consiglio di sicurezza, Bolton ha dichiarato che dovrebbe essere composto da “un solo membro permanente con diritto di veto: gli Stati Uniti.” Tra le altre perle della sua finezza diplomatica possiamo segnalare quelle che riguardano il Tribunale penale internazionale: “Un organismo basato su istanze emotive e su ideali astratti e senza alcun nesso con la realtà e i principi della risoluzione dei conflitti internazionali”; sui rapporti con la Cina: “Il riconoscimento immediato dell’indipendenza di Taiwan sarebbe l’azione giusta per dimostrare la leadership degli Stati Uniti, e l’ipotesi che la Cina possa rispondere con la forza è una pura fantasia”; sul cospicuo debito nei confronti delle Nazioni Unite: “Si tratta di una questione politica; i trattati internazionali costituiscono un vincolo solo per la politica interna degli Stati Uniti, non hanno alcun effetto sulle sue relazioni internazionali”.
Questo campione del diritto internazionale, del multilateralismo e della prudente diplomazia è il nuovo ambasciatore americano alle Nazioni Unite, l’incarico diplomatico più importante e visibile dopo quello di segretario di stato. La sua nomina dovrà però ricevere la conferma del Senato in cui i democratici si sono già dichiarati contrari e anche qualche repubblicano ha espresso perplessità, e potrebbe essere a rischio. Sarà certo interessante vedere come il nuovo ambasciatore (che prende il posto di quell’altro campione della diritto internazionale, John D. Negroponte) saprà conciliare le sue posizioni passate con le proclamazioni multilateraliste di queste settimane del suo segretario di stato e del suo presidente. Chiedeva sarcasticamente il New York Times in un editoriale dell’altro ieri: quale sarà la prossima nomina di George W. Bush? Verrà dato l’incarico a Donald Rumsfeld di negoziare un uovo pacchetto di convenzioni di Ginevra, e a Martha Steward (appena uscita di galera per frode azionaria e fiscale) di dirigere la commissione di controllo sulla Borsa?
A noi più semplicemente questo signore tarchiato di 56 anni, con una faccia larga e due baffoni grigi che gli coprono la bocca, ha ricordato il gattone, sornione e violento, di Alice nel paese delle meraviglie. Anche Grandville, il disegnatore satirico dell’ottocento, l’avrebbe probabilmente ritratto così: un gatto nel parlamento dei topi.
John Bolton e la strada per Teheran
Con la nomina del nuovo rappresentante statunitense all’ONU, la prospettiva di una soluzione diplomatica con l’Iran appare sempre più improbabile
di Mike Whitney
[da Dissident Voice]
La nomina di John Bolton la dice lunga. Non ci sarà pace nel Medio Oriente e non ci sarà pace all’ interno dell’ ONU. Gli accordi di pace non fanno neanche parte del suo curriculum. Il motivo per cui è stato inviato all’ ONU è uno, ed uno solo: preparare la strada ad un possibile attacco americano all’ Iran. Punto. E basta. Con la sua nomina si è voluto mettere un aggressivo lealista di Bush all’ epicentro della diplomazia internazionale, da dove potrà combattere le battaglie retoriche che precederanno l’ appuntamento di giugno, a Teheran. Mettiamo pure da parte la stupida idea che Bush abbia cambiato pelle e sia diventano più accomodante. Con Bolton al Consiglio di Sicurezza possiamo stare certi che la strategia pazzoide dei neocon procederà spedita, senza la possibilità di essere distratta da appelli per la pace.
Bolton, tra i radicali di Washington, sarebbe il più ideologico, il più strambo della compagnia. Il disprezzo per le istituzioni internazionali ed il multilateralismo è ciò che maggiormente lo contraddistingue, almeno quanto i suoi baffetti ispidi alla Nietzche. E’ per questo che il suo amico e collega Dick Cheney lo ha scelto: è il mastino di Cheney, pronto ad azzannare alla gola chiunque abbia voglia di imbrigliare le ambizioni del governo di Washington. Ci si aspetta che sia in grado di arginare e manipolare sia pacifisti che l’ ONU e di imporre la forza agli insurrezionalisti. Per usare la terminologia mafiosa, Bolton sarebbe “il riscossore”, quello che fa pagare i conti, il pugno di ferro dell’ amministrazione. Combattivo e dogmatico, la sua dedizione totale è per un’ unica causa: la supremazia indiscussa della potenza americana.
Si parte. Direzione Iran.
La presenza di Bolton all’ ONU coincide con alcuni importanti sviluppi che stanno avendo luogo in Iran ed in Siria. La presunta “offerta generosa” di Bush, il suo proporre all’ Europa di lavorare insieme ed insieme proporre all’ Iran incentivi economici (compresa l’entrata nel WTO) in cambio della loro promessa di abbandonare i loro progetti di arricchimento dell’ uranio, è assolutamente senza senso. L’ Iran ha già rifiutato l’ offerta, ritenendola inaccettabile.
“Mi fa piacere che noi ed i nostri amici europei parliamo adesso con una sola voce”, ha detto Bush alla folla, a Shreveport, in Luisiana.
L’offerta di Bush è stata accolta dalla stampa in generale come un “cambiamento radicale di strategia politica”.
Ma non è così. Anzi, l’amministrazione non ha mai cambiato la propria politica nei confronti dell’ Iran. Fin dall’ inizio il team di Bush aveva fatto capire chiaramente che loro avrebbero sostenuto un cambiamento di regime e sono adesso più che mai intenzionati nel mettere in atto quella linea politica. Gli “incentivi economici” sono stati solo una trovata pubblicitaria, che doveva servire a dare l’ impressione che Bush stesse lavorando con gli alleati su obbiettivi comuni. Non era un’ offerta seria. Non era stata ancora annunciata, che già i Mullah la liquidavano definendola “ridicola”.
I Mullah avevano dichiarato ripetutamente che non avrebbero messo sull’ altare il loro diritto di arricchire l’uranio (in linea con gli accordi del Trattato di Non Proliferazione) e la grande maggioranza degli iraniani è d’accodo con quella decisione. In Iran, lo sviluppo del nucleare ha galvanizzato la cittadinanza ed è diventato una questione di orgoglio nazionale. Perchè mai loro dovrebbero essere deprivati dei loro diritti quando ad ogni altro firmatario del Trattato viene permesso di arricchire l’ uranio per scopi pacifici?
“Sarebbero forse gli Stati Uniti disposti a rinunciare alla propria produzione di energia nucleare, in cambio di una spedizione di containers di pistacchi?” ha chiesto Cyrus Naseri.
La domanda di Naseri è ben posta. L’ Iran ha giocato secondo le regole e non sarebbe logico venisse intimidita dagli U.S.A. Prima di tutto, l’ Iran ha permesso le ispezioni intrusive richieste dall’ A.I.E.A. (Agenzia Internazionale per l’ Energia Atomica), permettendo ai loro rappresentanti di andare ovunque, in cerca di violazioni. Violazioni delle quali sarebbe compito dell’ Agenzia fare rapporto direttamente al Consiglio di Sicurezza dell’ ONU.. Fino ad oggi questo non si è mai reso necessario, perchè non esiste alcuna prova che l’ Iran stia nascondendo o facendo qualcosa di illegale. Anzi, si sono dimostrati disponibili ad accettare la contromisura con la quale si richiedeva di sospendere “temporaneamente” il processo di arricchimento dell’ uranio. Un’ ulteriore aggiunta alla lunga lista di requisiti richiesti dall’ A.I.E.A.
D’ altra parte, non esistono garanzie che il piegarsi alle richieste degli USA
li risparmierà dalla loro ostilità. Guardate cosa è successo all’ Iraq. Il fatto che fossero innocenti (relativamente al possesso di armi di distruzione di massa) non ha fatto la minima differenza alla fine dei conti. L’ esercito ha già inviato aerei da ricognizione sul cielo dell’ Iran, mentre da più parti si dichiara che corpi speciali statunitensi stiano già effettuando operazioni clandestine a terra. Inoltre, uno dei più attendibilii analisti della guerra in Iraq , Scott Ritter, ha dichiarato che “Bush ha già messo la firma al progetto di bombardare l’ Iran a giugno”. Informazione che lui dice provenire da “fonte sicura”.
E, allora, perchè dovrebbero cooperare?
Sicuramente i consiglieri politici iraniani avranno notato come i mezzi di informazione statunitensi abbiano già manipolato la verità sulle “presunte” attività nucleari dell’ Iran: lo stesso schema usato nella campagna di disinformazione che ha preceduto la guerra in Iraq. Sulla stampa americana appaiono quasi quotidianamente accuse in base alle quali l’ Iran starebbe sviluppando segretamente un programma per gli armamenti nucleari, senza che MAI venga portato uno straccio di prova a corroborare tali accuse, e chi di competenza difficilmente si prende la briga di verificare i fatti. La notizia che appare più preoccupante è comunque quella relativa a tre portaerei statunitensi che sarebbero dirette verso il Mediterraneo. Un segnale inquietante, che dimostra le intenzioni di Washington: passare all’ azione, in un prossimo futuro.
Petrolio, alla nausea.
Il prezzo del petrolio ormai alle stelle e l’ ammissione dello stesso governo di un “picco di quantità massima di petrolio”, (secondo un rapporto di Robert Hirsch del S.A.I.C., Science Aplications International Corporation, diffuso la settimana scorsa e disponibile su Al Jazeera) suggeriscono l’ ipotesi che lo scopo dell’ amministrazione potrebbe essere ben diverso da quello apertamente professato di tenere le armi nucleari fuori dalla portata dell’ Iran. Nel rapporto si afferma che “il governo degli Stati Uniti basa la propria politica sull’ idea che la produzione globale di petrolio potrebbe avere imboccato definitivamente la via del declino”. Non c’è bisogno di scendere in dettagli, ma le conseugenze a breve termine per l’ Iran appaiono chiare. Il controllo del petrolio non solo deteminerebbe la configurazione del potere globale, ma rappresenterebbe una minaccia all’ esistenza stessa degli Stati Uniti. La sopravvivenza della nostra economia dipende dall’ accesso al petrolio a buon mercato (è stato questo l’argomento usato per convincere i senatori e parlamentari riluttanti a dare il via alla guerra in Iraq?) Nonostante i media abbiano cercato pervicacemente di ignorarne l’ importanza, il petrolio ha avuto una parte fondamentale nel conflitto in corso. L’ Amministrazione non sacrificherà la supremazia economica degll’ America per lasciare nelle mani di potenze straniere il controllo della risorsa strategicamente più importante del mondo.
Qualunque sia il loro piano, Bush & Co. non hanno mai rinunciato allo scopo primario, quello di porre il petrolio iraniano sotto il controllo a stelle e strisce.
E’ passata solo una settimana da quando Dick Cheney ha dichiarato: “se gli Iraniani non ottempereranno ai loro obblighi ed agli impegni internazionali per abbandonare il pogramma nucleare, dovremo passare ad un’ azione più concreta”. Un’ altra dichiarazione di guerra unilaterale.
Il commento di Cheney arriva al seguito di altre minacce ancora più inquietanti da parte di Israele e riportate dal “Times” di Londra. Uzi Mahnaimi afferma in un suo articolo che “Israele sta progettando segretamente un attacco combinato via aria e via terra su obiettivi iraniani, nel caso la diplomazia dovesse fallire nel tentativo di mettere fine al programma nucleare dell’ Iran”. I più stretti collaboratori di Ariel Sharon avrebbero dato una “prima autorizzazione per un attacco, durante un incontro privato, tenutosi il mese scorso nel suo ranch, nel deserto del Negev”. Israele sta progettando l’uso combinato di “unità scelte Shaldag e aerei da combattimento F-15 dello Squadrone 69 e l’uso di bombe anti-rifugio per penetrare nei sotterranei” (13 marzo 2005).
La possibilità che l’assalto di Israele si possa poi trasformare in un conflitto su vasta scala, esteso a tutta la regione, è una possibilità reale. Qualsiasi tipo di rappresaglia da parte delll’ Iran procurerebbe agli Stati Uniti la copertura necessaria per distruggere almeno “tre dozzine” di potenziali (convenzionali) depositi di armi. Questo coinciderebbe con i piani dell’amministrazione di “rendere innocuo” il regime ed eliminare l’Iran come potenza in quella determinata area. Si darà probabilmente luogo anche un tentativo di destabilizzare o, forse, “decapitare” il regime. Difficile saperlo. Non dovremmo però aspettarci un duplicato del copione dell’ invasione in Iraq. Gli U.S.A. non hanno abbastanza truppe e abbastanza voglia di affrontare un altro fiasco del genere.
La volatilità del mercato petrolifero ed il dollaro debole stanno costringendo Washington a mettere in atto il piano prima del previsto. Mentre l’economia statunitense si va facendo sempre più inconsistente e i tassi d’ interesse cominciano a puntare verso l’alto, l’amministrazione non si farà senz’altro sfuggire l’ ultima possibilità di assestare un colpo all’ Iran prima che la situazione a casa cominci ad appianarsi.
Attenzione alle prime bombe. Nel mese di giugno.
18 marzo 2005
Note
Tradotto da Patrizia Messinese per PeaceLink.
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Articolo originale: http://www.dissidentvoice.org/Mar05/Whitney0315.htm