di Lenka Staníčková

Flamenco1.jpg
A chi non piacerebbe… Quando a qualcuno dite la Spagna, forse in ogni angolo del mondo a tutti vengono in mente subito due parole — due simboli che la rappresentano per forza: la corrida e il flamenco. Per ora la corrida la possiamo lasciare stare. Da questo tipo di cultura spagnola il nostro paese è davvero molto lontano. E non solo per la mancanza delle relative arene o dei tori.
E il flamenco? A chi non piacerebbe l’affascinante ballo spagnolo. La bellezza, l’eleganza, il ritmo, l’energia, l’attrazione, la sensualità, la grazia, la fierezza e soprattutto la passione… Tutto questo il flamenco vi offre, tutto questo caratterizza il flamenco. Il flamenco è come un fuoco. Ha il suo potere e la sua forza di riscaldare anche i cuori freddi. Fa bollire il sangue dentro non solo ai ballerini sul palcoscenico ma anche agli spettatori nella sala.

Il flamenco è una cultura musico-ballabile, la cui culla e anche il centro attuale è l’Andalusia nel sud della Spagna. La storia del flamenco viene fatta risalire al XVIII secolo, anche se le sue radici sono rintracciabili già nel secolo XV, in cui l’originale folclore andaluso si era collegato al folclore degli zingari spagnoli meridionali. Il flamenco fu influenzato da molte altre culture: indiana, ebrea, araba… etc. Dalla sua nascita attraversò molte modifiche, combinò i suoi elementi con elementi di altri stili musicali. Passò periodi di popolarità, di seguito alcuni anni di decadenza artistica, poi nuovamente di popolarità che perdura fino ad oggi. Il flamenco comprende una serie di balli, per esempio Alegría, Bulería, Tango, Soleá… Le sue discipline principali sono il canto (cante), il ballo (baile), il suonare la chitarra (toque) e un accompagnamento ritmico (jaleo), quali sono il battimano (palmas) e il suonare la cassa di legno (cajón).
Grazie alla sua popolarità immensa il flamenco si è diffuso nel mondo intero. In molti paesi nascono nuove scuole e si aprono nuovi corsi. E così è arrivato anche nella Repubblica Ceca.
Possiamo essere felici di non doverci sottoporre a un lungo viaggio fino alla Spagna, in bus o in aereo. Ci basta solo prendere la metropolitana. Scendere alla prima stazione dal centro di Praga, voltare a destra, fare una bella passeggiata lungo la strada principale e arrivare quasi fino al fondo.
Flamenco2.jpg
Nella fila dei soliti palazzi una grande porta bruna di legno, dietro cui un passaggio coperto vi porta al piccolo cortile. Già nel passaggio risuona da lontano un rumore di scarpe e si possono sentire parole spagnole: “…uno, dos, tres, cuatroplanta, tacón, planta, tacón, golpe…” Nessuno si aspetterebbe di trovarvi un vero centro di cultura spagnola, lo studio Zambra. Un’antisala carina, nei colori arancione e rosso, arredata con oggetti ispanico-orientali. La sala è ovviamente con parquette e uno dei muri è coperto da uno specchio in tutta la sua larghezza. Lo spogliatoio piccolo, ragazze quasi pigiate, ma che aspettano con molta impazienza ed entusiasmo la lezione. Niente di lusso, nessun circolo culturale o sala da ginnastica, forse un preesistente garage più grande. Ma a nessuno dà fastidio, perché questo vi fa dimenticare sicuramente l’incantevole, molto simpatica e spiritosa maestra, Jana Drdácká (nelle due foto sopra, www.flamencheco.cz). La migliore ballerina ceca, che con la sua passione e il grande amore per il flamenco è capace di trasportarvi pienamente nel vortice del ballo. Ha studiato il flamenco negli Stati Uniti e in Spagna dai seguenti professori: Rafaela Carrasco, Manolo Marín e Juan Polvillo (Sevilla, Spagna), Javier Latorre (Córdoba, Spagna), José Molina (New York, Oregon, USA), La Tani (Barcelona, Spagna), Alejandro Granados, La Chiqui, Ana Maria Lopez e Matilde Coral (Jerez de la Frontera, Andalusia, Spagna). Si dedica al flamenco da più di sette anni. Organizza diversi corsi a tutti i livelli durante tutto l’anno. I corsi sono trimestrali, ma anche più brevi, per un weekend o solo giornalieri. Ci vengono donne, uomini e bambini. Ci viene gente di diversa età, dai sei ai sessanta anni. Di diversa nazionalità, perché la maestra sa parlare molto bene inglese, francese e ovviamente spagnolo. Non è necessario neanche avere addosso abiti da flamenco, bastano solo le scarpe almeno un po’ idonee o chi vuole, può comprarne nell’adiacente negozio Flamenkín. L’unico negozio specializzato nella Repubblica Ceca, molto piccolo, ma vi trovate proprio tutti gli articoli da flamenco che vi servono e tutti originali spagnoli.
Possiamo essere proprio fieri di avere tale rappresentanza del flamenco: il gruppo ceco Arsa y Toma (Jana Drdácká e Petra Šťastná-baile e palmas, Daniel Gája-toque, Zdeněk Žorna-cante, Michael Cába-cajón), i cui due fondatori, Jana Drdácká e Daniel Gája, il migliore chitarrista ceco di flamenco, mi sono permessa d’intervistare:

LS: Che cosa il flamenco significa per lei? Eventualmente che cosa le ha dato e cosa invece le ha preso?

Jana Drdácká: Attualmente il flamenco significa per me, senza esagerazione, più o meno tutto: è la mia professione, il mio pane diurno, il mio hobby, la mia passione, la mia espressione e il trattamento di tutte le mie emozioni e esperienze della vita. Sembra che sia anche il mio destino, il flamenco insomma ha scelto me. Mi dà la gioia, ma anche la forza di superare i momenti difficili nella vita. Mi ha preso tutto il tempo libero.

LS: Quando e com’è nata l’idea di creare qua il gruppo di flamenco Arsa y Toma e condurre i corsi di ballo, per i cechi non proprio molto tipico, in altre parole “fare attività commerciale del flamenco”? Eppure il popolo ceco non è così a sangue caldo quanto quelli spagnolo, italiano, oppure i popoli latinoamericani….come molti stranieri pensano per sbaglio sempre di noi. E poi la Repubblica Ceca si sta ancora riequilibrando dopo il cambio veloce del sistema politico ed economico. Molti cechi si lanciano a corpo morto e troppo velocemente nelle attività imprenditoriali e dopo un breve periodo purtroppo finiscono male. Credo, che col flamenco qua allora sia stato un po’ rischioso.

JD: Fare attività commerciale nel campo di qualsiasi tipo d’arte è rischioso, e non sono sicura che la possiamo chiamare proprio “attività commerciale“. Sul mercato del ballo ovviamente funzionano l’offerta e la domanda, però sottostanno ai cambi veloci e imprevedibili del gusto della clientela: un momento è popolare la salsa, in un altro il flamenco…. Io non vi ho pensato né quando ho cominciato a insegnare, né quando stavamo creando con Daniel Gája il gruppo Arsa y Toma. Sono convinta che uno non può fare quello che è popolare, ma quello senza cui non può vivere. Il gruppo Arsa y Toma si è presentato al pubblico praghese per la prima volta nel marzo 2001 in occasione dell’apertura dei corsi di flamenco. Ci siamo cominciati a formare nell’estate 2000, allora solo in quattro, senza un canto. Noi tutti abbiamo sentito il bisogno personale di dedicarci al flamenco intensivamente e contemporaneamente far conoscere al pubblico ceco questa cultura affascinante e ricca della Spagna meridionale. Fino alla nascita del nostro gruppo non esisteva in Boemia nessun gruppo di flamenco e i cechi conoscevano il flamenco forse solo dai film di Carlo Saura. Fino ad oggi esistono molte congetture sbagliate su questa musica e ballo, e cosi nel gruppo ci sforziamo di agire anche culturalmente….
Flamenco3.jpg
LS: Ho visto alcuni spettacoli del vostro gruppo Arsa y Toma nei teatri, frequento i corsi sia suoi che di Petra Šťastná, (nella foto a destra), anche una ballerina bravissima e la sua compagna di gruppo… I teatri erano pienissimi, dopo gli spettacoli ogni volta un applauso impetuoso. Lo stesso si potrebbe dire dei corsi, la capacità della sala da ballo non basta più, quasi ogni anno s’iscrive ai corsi una quantità di ragazze più alta, per principianti deve aprire qualche corso in più fuori del programma già fissato. Le ragazze ceche escono dalle lezioni molto entusiaste… Dal mio punto di vista, in quanto spettatrice e allieva, io direi che ha di sicuro un gran successo. Come lo vede e sente lei in quanto ballerina e maestra di ballo?

JD: Il successo è una categoria con la quale si valuta qualsiasi sforzo dal di fuori. Dal di dentro è importante soprattutto la propria sensazione di lavoro ben eseguito: godo del bel tempo e dell’ambiente piacevole che domina durante i miei corsi, apprezzo molto ogni dimostrazione dell’eco positiva del mio insegnamento e questo vale anche per le mie presentazioni sul palcoscenico. In tutte e due le sfere è importante per me la reazione: critica, recensioni, commenti della gente esperta e anche inesperta e soprattutto buoni consigli. Il mio lavoro durante le lezioni e lo spettacolo è letteralmente dare alla gente un pezzo di me stessa, sul palcoscenico vado con la mia pelle e le mie emozioni – questo ballo e la mia presentazione non devono piacere a tutti, ma non dovrebbero lasciare freddi gli spettatori, mi sforzo di colpirli con la loro sincerità e purezza; alle lezioni mi sforzo di dare agli studenti il massimo di quello che io sola conosco, e anche l’amore per questa arte.

LS: Circa il ballo stesso: Molta gente inesperta guardando il flamenco concentra la propria attenzione forse soprattutto sulle gambe. Apprezzano più l’arte dei piedi, l’arte di “calpestare”, perché non solo si vede, ma si sente anche molto. La maggioranza crede che “battere i piedi” sia forse l’elemento più faticoso del flamenco. Lo pensavo anch’io fino a poco fa. Però ora mi sono fatta l’opinione che forse ancora più difficile è imparare i movimenti delle mani. Non mi viene in mente un altro ballo in cui si eseguano movimenti così complicati quanto nel flamenco, dove spesso viene voltato tutto il braccio da una parte e contemporaneamente il polso dall’altra, non contando poi le gambe che dovrebbero “camminare” in direzione totalmente diversa. (sorrido) So che lei prima di cominciare col flamenco, ha provato molti tipi di balli. La conoscenza di quei balli avrebbe dovuto così facilitarle lo studio del flamenco. Oppure no? Quale è stata la maggior difficoltà per lei agli inizi? E cosa trova più difficile adesso, dopo quasi sette anni di pratica?

JD: In ogni fase era difficile sempre un’altra cosa: all’inizio lo era davvero la tecnica delle gambe, che anche la gente inesperta ammira e considera per sbaglio la più difficile. Poi la coordinazione dei movimenti di tutto il corpo e la continuità e la naturalezza dei movimenti. Oggi lo è quello di trovare il proprio stile e cosi anche la via su cui il mio ballo dovrebbe indirizzarsi nel futuro.

LS: Vista la quantità dei corsi che organizza, praticamente ogni giorno della settimana, ha ancora il tempo per l’allenamento e il riposo? Quanto spesso si allena e in che modo si rilassa?

JD: Per i miei allenamenti non mi resta tanto tempo quanto io desiderei. Negli ultimi tempi mi alleno da sola oppure con il gruppo piuttosto irregolarmente prima degli spettacoli. Neanche di tempo per il relax ce n’è troppo, però il corpo e il cervello ogni tanto lo dicono da soli e poi non si può fare niente. Nei mesi d’inverno mi piace sciare e andare in sauna, nei mesi estivi mi rilasso andando in bicicletta, nel bosco oppure nei pressi di uno stagno. In Spagna mi sento molto bene al mare, però la natura nel nostro paese è per me un paradiso!

LS: Molte ragazze vanno ai corsi di flamenco anche solo per “aggiustarlo”, sgranchirsi, rilassarsi dalla famiglia, o solo per adempire un sogno “sentire il flamenco sulla propria pelle”, provare a battere i tacchi… Ciò sicuramente non si può dire dei corsi di chitarra — andare ad aggiustare o solo provare gli accordi di flamenco. È probabile che lo frequentino solo quelli con un serio interesse, quelli già decisi di diventare eventualmente un chitarrista di flamenco. Quale è allora la situazione da noi circa questi corsi? Vi sono qui molti interessati alle lezioni? Ma si svolgono nel nostro paese questi corsi o si deve andare direttamente fino alla Spagna? Dove esercita lei di persona?

Daniel Gája: Ha ragione, non si possono fare dei confronti tra l’interesse per la chitarra e l’interesse per il ballo. A quanto io so, nella Repubblica Ceca non si svolge nessun corso regolare di chitarra di flamenco, e questo stile non s’insegna neanche nelle scuole elementari di arti o nei licei musicali. Negli ultimi anni ho avuto pochi allievi (l’interesse non è molto grande), quindi dalla mia (povera) esperienza in quanto maestro: Un serio interesse è naturalmente necessario, però non c’è sempre bisogno della decisione di diventare chitarrista di flamenco. La chitarra di flamenco è per i chitarristi di altri stili musicali enormemente interessante dal punto di vista della tecnica di suonare, e allora succede, che solo così “si allargano i loro orizzonti“. E il piccolo interesse è ancora causato da un’altra cosa: La chitarra di flamenco è uno strumento molto faticoso e richiede un po’ di tempo per almeno riuscire a calpire un tono. E il flamenco è per i nostri una musica ritmicamente abbastanza complicata, non c’è molta gente che sia capace di sentirla. Quindi per lo studio è necessario un certo fervore, un entusiasmo, ma anche una dose di pazienza e di fermezza per le situazioni in cui la musica che studiate è difficile per il sentire e contemporaneamente non la sentite ogni giorno o non avete la possibilità di sentirla e soprattutto condividerla riccamente con altri cosi come succede in Spagna. La pazienza e la costanza mancano alla maggioranza e gli allievi se ne vanno, perché non imparano cosi velocemente come avevano immaginato.
Personalmente mi esercito a casa, oggi ci sono a disposizione molti manuali (note, cd, video). E poi partecipo ai corsi estivi in Spagna, dove uno in interazione con altra gente “entra nel feeling del flamenco“ benissimo.

LS: Il nostro paese lo hanno visitato anche le star spagnole — chitarristi di flamenco quali Paco de Lucía, Paco Peňa, Tomatito, Oscar Guzmán…Chi le è piaciuto di più, chi l’ha impressionato e come?

DG: Penso che le vere star tra quelle sopraccitate siano solo Paco de Lucía e Tomatito. Se chiede la mia opinione, chi mi piace di più è Paco de Lucía, che la maggior parte degli altri chitarristi considera il proprio “maestro“. Però è difficile fare dei confronti, anche il concerto di Tomatito è stato un grande evento. Paco de Lucía lo ammirano forse tutti i giovani chitarristi e lo considerano il rivoluzionario del flamenco e lo stile di suonare di Tomatito è sicuramente influenzato da De Lucía. Se rimaniamo nel campo delle definizioni artificiose, poi Tomatito è la star e Paco de Lucia è anche la leggenda. E soprattutto per questo ho indicato il suo nome.

LS: L’ultimo citato, Oscar Guzmán, che aveva nel nostro paese un gran successo, teneva qui anche lezioni private, a cui lei stesso partecipava. Si dedica al flamenco già da più di dieci anni, in altre parole un periodo abbastanza lungo. Le ha fatto conoscere qualcosa di nuovo, con cui non si è ancora imbattuto nel flamenco durante questi anni? Le ha insegnato qualcosa, le ha dato qualche istruzione, l’ha sorpreso con qualcosa?

DG: Il livello del corso è stato adeguato al livello medio dei partecipanti. Mi dedico al flamenco da dieci anni. Se mi domanda, se io di persona ho conosciuto qualcosa di totalmente nuovo, allora no, solo ho imparato alcune nuove falsetas. Però per gli altri partecipanti è stato di sicuro molto utile da ogni punto di vista, tutti hanno lodato molto il corso. E a me va sempre molto bene vedere da vicino qualcuno esperto e così potere direttamente chiarirmi alcune cose. A causa del fatto che il flamenco è un folclore, non esiste solo un unico modo giusto di suonare la chitarra di flamenco. Ogni chitarrista è un’individualità e ognuno suona e sente a modo suo. E anche per questo è sempre interessante incontrare nuova e nuova gente. E in più, l’incontro con Oscar Guzmán e con il suo collega José Manuel Tudela è stato molto piacevole, poiché tutti e due sono persone gentilissime e modestissime.

LS: Vi ringrazio molto dell’intervista.

(Dati principali sul flamenco forniti dal sito di Jana Drdácká, di cui è autore lo stesso Daniel Gája, chitarrista del gruppo Arsa y Toma).