Romanzo di Fabio Ciabatti e Luca Nutarelli
Le foto di Emilio Periglio sono di Tito Kurtz
Qui tutte le puntate
4. Il Portale dell’Amore, ovvero il lavoro affettivo
Mi sembra di navigare in un mare di cazzi ad alto tasso di acidità. Del resto la metafora genitale oramai mi rappresenta adeguatamente. Capirai, con il lavoro che ho fatto in questi ultimi mesi! Addetto al costumer sentimental care del Portale dell’Amore. Che strano, a pensarci bene le mie vicende lavorative non mi sembrano casuali. E pensare che quando ho litigato con Enrico mi appariva tutto così insensato. Ero incazzato nero. Sembrava un bonaccione e invece… Anche lui apparteneva al vecchio mondo, gerarchico e disciplinare. Anche lui non aveva capito l’importanza dell’attività cooperante e solidale: “Non stiamo mica giocando qui! Io devo mandare avanti la baracca. E senza commesse finiamo tutti col culo per terra. Pretendi spiegazioni e sputi sentenze. Se non ti sta bene te ne puoi pure andare. Anzi, sai che ti dico… Mi hai davvero rotto i coglioni. Vattene e non farti più vedere!” Ero davvero deluso, amareggiato. Mi sembrava che tutto questo mio agitarmi fosse senza senso. E invece … è come se ci fosse una rigorosa logica sistemica che regge tutto quanto.
Se credessi alla Provvidenza, direi quasi che c’è tutto un piano. All’Arcobaleno il potere costituente era ancora inibito dalla bruta materialità della produzione industriale. Nella produzione analitico-simbolica invece il potere socializzante del linguaggio e del general intellect poteva esprimersi senza vincoli. Finalmente si poteva cooperare con tutti. Sì… anche con il Pentagono. Beh, che centra? Il problema non stava nella cooperazione, ma nella parzialità del medium. Ecco, l’ho pure scritto, qui nella tesi:
Il pericolo intrinseco al general intellect è che esso rischia di ridursi a un’astrazione, come se la nuova potenza del lavoro fosse declinabile soltanto in termini intellettuali e non corporei. Non ci sarebbe alcun surplus se la produzione non fosse animata dalle configurazioni affettive che pervadono i rapporti e le articolazioni dell’essere sociale.
Insomma, è evidente: un general intellect che non sia anche general love diventa astratto, indifferente alle sue applicazioni. E magari anche pericoloso e bellicista. Ma adesso basta! Amore, militanza biopolitica, militanza come prassi d’amore, come riproduzione della vita e costruzione di rapporti e di relazioni sociali. Come secoli fa Francesco d’Assisi, oggi noi tutti dobbiamo rifiutare ogni mortificazione della carne in nome di una vita gioiosa che comprenda tutte le creature e tutta la natura: gli animali, sorella luna, fratello sole, gli uccelli dei campi, i topi di fogna, gli uomini sfruttati e i poveri, tutti insieme contro la volontà di potere e la corruzione. La vera militanza può essere soltanto lavoro affettivo. La mia vita e il mio lavoro inestricabilmente intrecciati. Di più, irreversibilmente fusi. Non è così Ottavia? Vedo ancora la tua immagine digitale in fondo agli occhiali virtuali. No, quell’immagine non ti nasconde, ma rivela la tua seconda intima natura. Quella più vera. Quella che hai scelto tu.
Il joy stick è lo scettro del potere costituente che non sovrappone la volontà di comando ad un’altra volontà. È il potere di costruire insieme il nostro mondo, le nostre relazioni affettive. Virtuali o reali che importanza può avere? Forse che possiamo ancora fare questa triste distinzione? No. Non possiamo. Non vogliamo. No. Non è solo un videogioco on line. È il gioco della vita che fluisce in presa diretta. L’immagine di due persone che si avvolgono nel cratere di un vulcano. Cazzo, la scelta dello scenario è sublime. Non mi era mai capitato. Fin qui sempre isole tropicali, tramonti romantici, laghetti con cascatine imbelli. Dentro di te passione incandescente. Ma oramai non c’è più un fuori. Tutto quello che sta dentro è il nostro ambiente. Lo scegliamo noi. Anzi l’hai scelto tu. Tu sei la cliente, tu sei la sovranità del consumatore di piacere. Ma ha senso ancora pensare che tu sei la cliente e io il fornitore di piacere? No, non è solo un rapporto di lavoro, è una relazione tra due monadi della moltitudine desiderante. Tu, dietro gli occhiali virtuali, avvolta dai dermosensori. Io che lavoro affettivamente nel chiuso della mia postazione. Mi sei apparsa come una statuaria donna africana. Il corpo dipinto di ideogrammi misteriosi. Gli occhi rossi. Demoniaca. È l’ibridazione, il meticciato all’ennesima potenza. Come sei vestita? Sei nuda nella solitudine della tua stanza? Ti stai masturbando? Io vorrei farlo. Non posso. È poco professionale. Ma la foglia di fico della professionalità sta per saltare. Non durerà a lungo. La professionalità non è l’abito buono per andare in ufficio. È la potenza produttiva della nostra mente. Che idea! Sì, un bagno nella lava bollente. I nostri corpi bruciano ma non è doloroso. È il fuoco eracliteo e clitorideo che anima la moltitudine. Il fuoco non si può fermare. Oramai incendia la prateria. Per questo non hai voluto decidere per me. Come dovevo apparire. Perché sai che la potenza del lavoro affettivo non vuole comando esterno, trascendente. Ti ho riconosciuta sai? Anche l’altra volta non avevi voluto impormi un’immagine non mia. Non perché la nostra immagine debba rimanere fissa. Anzi. Ma ognuno deve sceglierla liberamente. E allora mi sono presentato così come sono… ho tolto solo un po’ di pancia.
– Ora ti voglio cospargere di cenere. Tutto il corpo. Anche il viso. La tua voce viene da un microfono lontano, chissà quanto. Ma è come se tu fossi qui.
– Sì, cenere eravamo e cenere torneremo, ma l’orrenda favola del mondo come corruzione e distruzione è l’illusione di un mondo immobile, di un essere privato di amore. L’essere è come l’araba fenice. Eternamente risorge dalle sue ceneri.
Non parli più? Spero di non aver rovinato la magia di questo momento. Continui a cospargermi di cenere, eh?
– Mi piace quello che dici. Mi eccita molto. Continua, ti prego.
– L’essere non potrà più tendere verso la morte quando è stato generato e la generazione vale per l’eternità.
– Sì, per l’eternità di un piacere senza confini e senza limiti. La paura non deve più fermarci. Il dolore non vivrà più nei nostri corpi.
Che fa adesso? Prende un tizzone ardente. Si taglia il corpo. Esce sangue, ma è trasparente. Le mie parole sgorgano dal suo corpo.
– Il nulla, la morte sono prima dell’amore, prima dell’esperienza della generazione dell’essere.
Le nostre immagini si sono invertite. Lei è me. Io sono lei. L’ibridazione assoluta. Non c’è amore solitario: l’amore costruisce, nel comune, utensili, linguaggi, poetiche dell’essere. Lei si sta masturbando nel mio corpo. No. Sono io che mi masturbo. Io e lei, non c’è più separazione, non c’è più distinzione.
– È da una moltitudine di esistenze singolari che l’essere comune è generato, e l’eternità del comune è un cielo stellato di singolarità. L’amore accende continuamente le stelle di questo cielo comune. E accende il mio desiderio, il mio piacere. Cristo, com’è bello!
– È bellissimo voglio sentirti venire.
– Sì, ancora, continua. Genera per l’eternità l’essere del mio piacere, si generalo ancora, ancora.
Sì. sì, siiiiiiii. E nooo!
Il primo orgasmo costituente. Ecco cos’è stato il mio. Altro che eiaculazioni posticce! O forse non me ne sono mai accorto, ma in ogni momento nel mondo si consumano innumerevoli atti di ibridazione sessuale. Sì, deve essere proprio così. Per forza! Anche questa è declinazione corporale della nuova potenza del lavoro. Me ne rendo conto soltanto adesso. Le configurazioni affettive non si limitano a pervadere l’essere sociale. Lo penetrano! E allora … e allora vediamo di penetrare fino in fondo questa storia della tesi. Richiamo la segretaria di redazione di Ketteposse. Adesso Monti sarà tornato.
– Ketteposse, sono Valeria.
– Ciao Valeria, sono Emilio. Ho chiamato stamattina.
– Sì, mi ricordo.
– C’è il professor Monti?
– No, non c’è.
– Va bene, allora posso venire là per concludere i nostri affari. Così saremo soli!
– Senti, non è proprio il caso in questo momento di scherzare!
– Ok, ok, non volevo. Ma è successo qualcosa? Ti sento agitata.
– No non è successo niente, almeno credo?
– Che vuol dire “almeno credo”?
– Vuol dire che il professore doveva passare qui per i biglietti e invece non si è presentato. Oramai ha perso l’aereo. Non so proprio che fine abbia fatto.
– E non hai provato a chiamarlo a casa, o che so, sul cellulare?
– Credi che sia scema? Certo che l’ho fatto, non risponde né a casa né sul cellulare. Comunque non so perché sto dicendo queste cose a te. Non credo proprio che ti riguardi.
– Dai, avevi solo bisogno di sfogarti. Non ti preoccupare. Prima o poi Monti rispunta fuori. Magari se la sta spassando con qualche giovane allieva. Comunque riproverò più tardi, o domani. Ciao, ci sentiamo.
– Ciao.
Porca mignotta, porca mignotta, porca la mignotta! Monti non risponde né a casa né sul cellulare. Concentrazione: allora, Hunt mi ruba gli appunti del convegno e finisce in sala rianimazione. Anche Monti li ha letti, li ha utilizzati insieme ad Hunt per scrivere alcune parti di Imperium e adesso è irrintracciabile. Sembrano maledetti ‘sti appunti… ma che cazzo avrò mai scritto?! In quei fogli era riassunta per sommi capi la prima parte della mia tesi. Cioè i vari tipi di lavoro postmoderno: lavoro industriale informatizzato, lavoro anal-simbolico e lavoro affettivo , “anal-” o meno che sia. E poi? E poi basta. Dicevo che avrei continuato la ricerca illustrando come mandare in tilt il Regno, la struttura politica mondiale che domina quel tipo di produzione. Insomma, quello che occhio e croce Monti e Hunt chiamano suggestivamente Imperium, cioè in italiano Impero, quindi, cazzo, chiamiamolo così e basta. Insomma, c’era scritto solo quello, cioè niente, perché al tempo non sapevo proprio dove mettere le mani a tal proposito. Invece negli ultimi tempi ho rivisto la nuova versione di Guerre Stellari e qualche ideuzza mi è venuta. Comunque, la seconda parte della tesi è stato proprio un parto cesareo. È stato un lavoraccio inventarsi qualcosa su come distruggere il Regno, cioè l’Imperium, porcaccia la troia ho detto di chiamarlo Impero che se no con tutti questi sinonimi finisco di rincoglionirmi! Come distruggere l’Impero, il tallone d’Achille dell’Impero, Il tallone dell’Impero — Seconda parte… bah, come titolista ho talento, ma questa mi sembra il versante meno convincente di tutte le mie fatiche accademiche.
Cazzo! Ho lasciato il cellulare acceso. Dove? Eccolo.
– Lo vogliamo spegnere questo cellulare?
– Scusate, l’avevo dimenticato. Esco subito.
– Ecco, vediamo di fare in fretta.
Maledetti internauti imbalsamati! Ma che non vi piace la musichetta di Capitan Harlock? L’ho scelta con tanto amore postfordista tra le 1.754,33 suonerie disponibili. Va bene, va bene. Adesso rispondo.
– Ciao, Lucia. Che piacere sentirti. Come stai?
– Benone grazie, anche se un po’ incasinata, ma oramai ci sono abituata, non ci faccio più caso.
– Ti sento davvero pimpante. Sono contento.
– Beh, la vita ha cominciato a girare per il verso giusto. Sai, sono successe delle cose … ma forse non è il caso di parlarne.
– E dai, è da tanto tempo che ci conosciamo, una volta tanto ti potresti pure sbottonare, no?
– Va bene, hai ragione. Ho troncato la mia triste e lunga storia. È stata una liberazione. Come tornare a vivere di nuovo, dopo tanto tempo. Ho cominciato a rivedere un po’ di cose della mia vita, anche il rapporto un po’ ossessivo con la politica.
– Ma non mi dire, mi crolla un mito …
– Lascia perdere i miti e poi … basta parlare di me. Tu come te la passi?
– Oggi non è che stia proprio al massimo. Neuroni, ormoni, enzimi e vitamine A, B e C uniti nella lotta. Contro di me. Praticamente un’aggressione costante.
– Ah, a proposito di aggressioni. Sai che ieri ho avuto un’incontro poco amichevole con i fasci?
– Cosa! Ti hanno aggredito i fascisti!
– … ma per fortuna non mi sono fatta niente. Solo un po’ di spavento. Sono riuscita a scappare. Quegli infami sono riusciti soltanto a fregarmi la borsa. Una bella rottura. C’erano le chiavi di casa, ma non i documenti. Stanotte ho messo il catenaccio alla porta, ma mi toccherà cambiare la serratura. Sai, se mi seguono, poi mi fanno un bello scherzetto.
– Guai a chi tocca la Santa Chiara del sindacalismo di base! Le moltitudini gliela faranno pagare cara!
– Dai Emilio, sei sempre il solito. Tu e Spinoza. Pensa che nella borsa c’era anche la bozza della tua tesi. Sai, quel giorno avevo voglia di leggere un testo umoristico!
– Altro che umorismo! La mia tesi è talmente preziosa che te l’hanno voluta rubare!
– Scherza, scherza… Comunque non ti ho chiamato per fare la martire. Volevo solo saper se ci sarai stasera. Mi farebbe piacere rivederti. Basta che non porti Spinoza.
– Perché che c’è stasera?
– Ma come non lo sai? C’è una manifestazione-concerto di autofinanziamento per i Cobas: “Techno per i diritti sociali”.
– Ah, sì ho letto qualcosa su Indymedia.
– Allora vieni? Mica rimaniamo tutta la serata lì.
– Come sarebbe a dire? Diserti?
– No, nessuna diserzione, devo sbrigare alcune cose che posso fare solo io, ma poi volevo andare ad un’altra festa. Mi hanno invitato degli amici.
– Ma chi l’avrebbe mai detto, il riflusso è arrivato pure dalle tue parti.
– No, niente riflusso. La politica dà un senso alla mia vita. Non ne potrei fare a meno. Semplicemente ho realizzato, anche se con un po’ di ritardo, che non posso caricarmi sulle spalle tutte le disgrazie dell’umanità. Ne lascio democraticamente un po’ anche agli altri. E poi, spesso, ci si butta a fare tante cose per non pensare ai propri problemi. Ma i problemi non scompaiono. I rapporti umani sono troppo complicati per risolverli con un paio di slogan. Anche a questo dovrebbe servire la rivoluzione. Ma in tempi come questi bisogna scavarsi delle nicchie di sopravvivenza personale. Mantenendo la tensione verso qualcosa di diverso, di migliore.
– Ti capisco Lucia, ma oggi è diverso. La militanza è fondamentalmente prassi d’amore. Con il lavoro affettivo non c’è più differenza tra lavoro, vita, politica. Il vero modello del militante oggi è San Francesco.
– Adesso ci mancava solo San Francesco. E poi tra un po’ si scopre che il vero militonto sei tu. Almeno in teoria. Tu se vuoi vai a parlare con gli uccelli e con i lupi, io stasera me ne vado a ballare. Allora tu che fai?
– Non lo so. Stasera ho un impegno. Se riesco a liberarmi… altrimenti ti chiamo e ci vediamo un’altra volta.
– Ok. Vedi tu. Ciao.
Ormai ho sublimato la vecchia passione per Lucia in una forma di tenerezza accondiscendente. Sicuramente mi ha aiutato anche la storia con Ottavia. Con lei non si sublima. Diritti sociali, lavoro, lotta di classe… bah, il mondo di Lucia non mi ha mai convinto. Ti pare che adesso possiamo metterci a protestare se un padrone qualsiasi decide di cacciarci senza giusta causa? Siamo noi che ce andiamo, altro che! E ci portiamo via anche i mezzi di produzione, cioè noi stessi, e tutta la nostra potenza produttiva. E poi non piangete capitalistucoli da quattro soldi. Dovete meritarci, dovete ringraziarci se ancora vi permettiamo di esistere malgrado la vostra inutilità! E poi devo andare al Pink slip party. Non sarebbe una cattiva idea, se non fosse dedicato a me, questa volta. Certo, se ci vado in questo stato non ci faccio certo una bella figura! Sono stanco, confuso, frastornato da questo enigma di Hunt e Monti. Però devo andare, è un occasione per restare sul mercato, e poi ho anche invitato molti amici. Non mi ricordo più quali, ma li ho invitati. Mi avrebbe fatto piacere dirlo anche Lucia. Ma non ho avuto il coraggio. Lei odia queste forme innovative di autopromozione. Il fatto che sia impegnata con la manifestazione-concerto e poi con la sua festa danzante quasi mi solleva.
Invece, tutto il resto mi… ho un sospetto. Un atroce sospetto. Telefono.
– Scusi se la disturbo ancora Professore, ma è per una cosa brevissima…
– Con chi parlo?
– Sono Periglio, Professore.
– Ah, buonasera, dica pure.
– Sa, non vorrei che con quello che è accaduto oggi fosse andata dispersa la mia tesi.
– Purtroppo ha ragione. Le volevo telefonare. Ma sa, con questo casino mi è passato di mente. I ladri hanno rubato poche cose, ma fra quelle hanno portato via il computer portatile. Roba da archeologia industriale. Ci faranno poche lire … cioè euro. Scusi, sto divagando. Sul portatile avevo scaricato la seconda parte della sua tesi. Credo che dovrà rinviarmela.
– Va bene. Domani mattina gliela invio di nuovo. Buonasera.
– Buonasera.
Cristo! Qui le cose strane iniziano ad essere troppe. Il furto da Cermugnati. L’aggressione a Lucia. L’incidente ad Hunt. Monti scomparso. Che cazzo sta succedendo? Non è che scherzando con Lucia ho finito per centrare il bersaglio? Io facevo per dire, era la parte più incasinata della tesi. Erano illazioni. Che dico? Non riesco più ad interpretare i miei pensieri. Però mi sembra chiaro. Forse l’Impero nella sua policentricità non ha un imperatore, ma ha sicuramente servizi di sicurezza efficienti e spietati. C’è qualcuno che vuole togliere dalla circolazione tutte le copie della seconda parte della mia tesi e forse fare fuori chiunque l’abbia letta. E ovviamente anche chi l’ha scritta. Cioè, fino a prova contraria, proprio il sottoscritto. Ma dai, non è possibile. Questo è solo un brutto film. Ma chi ha letto la seconda parte della tesi? Nessuno a parte me, Cermugnati … e Ottavia. Sì, Ottavia. Lo stomaco, cazzo! Si contrae come un mantice a propulsione bionucleare. No, non è fame. Il concetto di mordadella+melanzanine adesso mi provoca il vomito. È amore, è passione, è terrore che le succeda qualcosa. Sono passate appena due settimane da quando l’ho conosciuta lavorando alla consolle. Lei è l’unica persona che sappia veramente apprezzare il mio impegno teorico. E se anche vita e lavoro coincidono, qui siamo oltre. Avevo paura d’incontrarla. Per i soliti motivi. In rete si ha un’identità diversa dalla bruta fenomenicità quotidiana. La politica del Portale rispetto alla frequentazione off line dei clienti non mi era chiara. E adesso ci sono dei pazzi in giro che vogliono farci fuori. No, non è possibile. Sono in preda alla paranoia. Sono solo coincidenze, pure coincidenze. Sì, ma allora perché rubare un portatile vecchio come mio nonno a Cermugnati? Quanto mai ci potevano ricavare? Vabbè, ora non esageriamo. Un ladro mica è un esperto di informatica. E poi Lucia non aveva la seconda parte della tesi. D’accordo però anche il servizio segreto più efficiente non può sapere tutto. Sapevano che gli avevo dato la mia tesi, mica potevano aver visto il numero delle pagine! E però … e chi cazzo è quello che mi sta guardando? È un tipo barbuto che stava da Bibli. Che avrà da guardare. Mi sta forse pedinando? Ecco. Adesso si è voltato. Se ne sta andando. Gira l’angolo. Si è accorto che l’ho individuato. Oddio, ma che sto pensando? Sto per impazzire? Non lo so. Meglio non correre rischi. La chiamo al cellulare. Ecco qua. Menù. Phone book. Select. Search. Name. OTTAVIA. Ok. Call. Ma perché ho i comandi del cellulare in inglese? Ma che ne so! Cazzo, cazzo! La segreteria. E adesso che faccio?
– Ottavia, sono Emilio, ti prego chiamami subito, è molto urgente!
Magari sta a casa e ha spento il telefonino. No è inutile. Mi ha detto che nel pomeriggio sarebbe stata fuori. Ottavia dove cazzo sei? Non so neanche dove andarla a cercare. È stata evasiva. Sembrava non mi volesse dire dove andava. Che ore sono? Le otto, la festa del Portale dell’Amore inizia alle dieci. ‘Sti cazzi, io vado subito, intanto il locale sarà già aperto. È tutto il giorno che sto qui a Trastevere tra il Bar San Callisto, la libreria Bibli e alcuni chili di merda di cane. Una sigaretta, ci vuole una sigaretta. Dove cazzo ho messo il tabacco? Calma Emilio, il tabacco sta dove è sempre stato, nella tasca dei pantaloni.
Sì, una bella sigaretta. Sono tre ore che sto attaccato alla consolle. Una piccola pausa per tirare il fiato e per un paio di boccate di fumo.
– Emilio, dove sei?
– Nella sala degli appestati fumatori. Sto in pausa, che vuoi?
– Ti vuole Giovanni. È meglio che ti sbrighi.
– Va bene, vado.
Ma che palle, manco la pausa in pace. Qui non ci si ferma mai. Ma che non lo sapete che la moltitudine è spontaneamente produttiva? Che bisogno c’è di rompere così le palle? Che strano non c’è nulla di più opprimente di un open space. Giovanna. Simona. Antonio. Sembrano tutti delle api laboriose nelle loro celle. A guardarli da fuori sembrano pazzi. Si agitano come fossero marionette mosse da fili invisibili. E invece sono loro che decidono, nessuno gli impone un comando esterno. Però visti così non si direbbe. Deve essere colpa di questa architettonica fordista. La forma materiale non si è ancora adeguata al contenuto immateriale del lavoro. Come la stanza di Giovanni. Trasparente, ma separata. La trasparenza è già un primo tentativo di abolizione della separatezza. Ma ancora insufficiente. Come il suo abbigliamento da manager: informale, ma differente da quello degli operatori alla consolle. Come il suo pizzetto rosso ruggine, intonato con la montatura degli occhiali.
– Permesso, posso entrare?
– Mettiti comodo, Emilio. Ti devo dire due cose. Una non molto buona.
– Allora incominciamo da quell’altra.
– Come preferisci. Ecco sei stato richiesto per una prestazione off line.
– Di che si tratta?
– Si tratta di uscire con una cliente.
– Ah capisco.
– No, non fraintendere. Per queste cose c’è un codice etico da rispettare. Dovrai fare dei colloqui con i nostri psicologi, per vedere se sei idoneo. La cosa è un po’ delicata. Lo sappiamo. Sei già stato messo informalmente in osservazione durante la giornata di oggi. Il giudizio preliminare è stato positivo. Per cui se sei interessato… sappi che il compenso è abbastanza generoso. E poi non è che ci devi venire a raccontare tutto quello che fai. Per ciò che ci riguarda si tratta solo di un incontro amichevole.
– Amichevole quanto?
– Queste sono cose che devi decidere tu.
– Senti. Se proprio devo decidere io …a dirla tutta in questo momento non è che abbia proprio voglia. Vabbè che vita e lavoro coincidono, ma proprio per questo certe cose o uno le fa volentieri o è meglio che lascia perdere. Non ti pare?
– Come preferisci. Non ti voglio forzare. Considera però il lato economico e anche il fatto che una tua disponibilità sarebbe un buon biglietto da visita per il prossimo futuro. Sai oramai sei nel nostro database. Per cui, appena la situazione del mercato cambierà, sarai tra i primi che terremo in considerazione.
– Cosa mi vuoi dire?
– Inutile girarci attorno Emilio. Mi dispiace, ma adesso non possiamo rinnovarti il contratto. I consumi sono fermi, la borsa è quello che è, ma contiamo…
– Capisco. È sempre la stessa storia.
– No, non è così Emilio. Ti sbagli. Noi non siamo come tutti gli altri che gettano sulla strada i loro collaboratori e chissenefrega. Per questo volevo personalmente invitarti al nostro prossimo Pink slip party.
– Pink slip party?
– La festa di fine contratto, se preferisci. Non sei l’unico che non verrà rinnovato Noi ci teniamo a mantenere buoni rapporti con i nostri ex collaboratori. Anche perché, te l’ho già detto, questa potrebbe essere solo una situazione temporanea. E poi considera che in queste feste ci sono sempre manager di altre società partner. È anche un modo per crearsi nuovi contatti. Poi, come si dice, da cosa nasce cosa. È già accaduto a molti dei nostri ex collaboratori, non ti credere.
Eccolo l’invito che mi ha dato Giovanni. Pensavo di averlo lasciato a casa. Via Giotto n. 1. “È un locale molto informale. Davvero carino. Era un garage, credo”. Odio la parola “informale”. Mi fa incazzare, come quando vai a comprare qualche vestito e la commessa lobotomizzata ti dice “questo è molto giovane”. Ma che cazzo, e se io volessi essere vecchio? Un’altra sigaretta. Sì, è quello che ci vuole. Un’altra sigaretta. Cristo, non riesco a rollare. Mi tremano le mani. Fanculo la sigaretta. Un bicchierino e passa tutto. Un bar, sono salvo.
– Un Campari per favore.
– Campari-campari o Campari Soda?
– Come ti pare … ma fallo doppio.
Du Campari is megl che one. Anche se il Campari non è biopolitico come l’Amaro Averna, lo bevo lo stesso.
– Ecco un Campari doppio.
E ora il trangugione. A garganella come Gargamella… blah, non me lo ricordavo così amaro. Cazzo! Un bicchiere. È cascato. Ma guarda tu, mo’ me lo faranno pure pagare. E ogni tanto potete pure toglierli i bicchieri sporchi da questo bancone di merda! La mano. Uffa! Un fazzolettino. È tutta sporca. Ma che è questo liquido schifoso. Madonna che puzza. Oddio! Un conato. No, non posso vomitare qui davanti a tutti. Che merda è … succo di frutta … pesca. Pesca di merda. O Madonna, la testa. No, devo restare in piedi. “Avviserò il suo relatore che lei manda in giro dei ridicoli pezzi di carta con interi brani…” Chi è che parla? Chi è stato? “Lei è un piccolo, ridicolo impostore”. Dove sei? Perché ce l’hai con me? Che ti ho fatto? Io…
– … non ho fatto niente.
– Ehi, non c’è bisogno di agitarsi tanto. Hai solo rovesciato un bicchiere. Mica te lo faccio pagare!
– Ma come? Prima mi dai dell’impostore e poi mi dici che non è successo niente?
– Aoh, ma chi t’ha detto niente! Ma che hai fumato? I Campari li offro io, ma tu te ne vai. E pure in fretta.
Cristo mi controllano. Hanno assoldato anche i baristi di Trastevere. Meglio tagliare la corda. Devo fuggire. Mi stanno cercando. Devo andare in un posto sicuro. Alla festa del Portale. Sì, la festa sarà affollata. Mi conoscono in tanti. Non mi potranno fare niente. Ci sono troppi testimoni. E lì potrò riordinare le idee. Meglio accelerare il passo. Dove sono arrivato? Madonna sto camminando in trance. Porta Portese. Ragioniamo. La via più breve. Devo fare la via più breve e quella più affollata. Per sicurezza. Verso ponte Sublicio, avanti. È la strada migliore. Povero gattino! Lo deve aver preso una macchina. È tutto sfragnato. Le macchine, devo stare attento. Potrebbero cercare di mettermi sotto. Un incidente. Per caso. Ed è tutto risolto. E io faccio la fine di quel gatto. Maledette mosche, andate a ronzare da un’altra parte. Abbiate un po’ di rispetto. Povero gattino! Bisognerebbe fare qualcosa per tutti questi gatti. Proteggerli. Dargli da mangiare. E invece Roma è una città cinica: “non c’è trippa per gatti”, ecco cosa dicono. E invece per i cani c’è più compassione: “ha l’aria di un cane bastonato”. Perché non di un gatto? Perché queste discriminazioni? Io odio i cani. Io voglio bene solo ai gatti. Loro non vanno in giro a cacare per tutta la città. Loro cacano sempre sul loro terriccio. La mia Venusia è bravissima. Non s’è mai sognata di cacarmi sul letto. O sul lampadario. Anche se potrebbe farlo. Fa certi salti la mia Venusia! Non ti preoccupare gattina. Zio Emilio torna a casa e ti dà da mangiare. Non stare in pensiero. Devo stare attento. Adesso c’è il ponte. Potrebbero cercare di buttarmi di sotto. Passo veloce e deciso. Senza correre. Darei troppo nell’occhio. Potrebbe sembrare che ho paura. Non bisogna mostrare paura con l’Impero. Come con i cani. Chi sono questi due? Sembrano due barboni. Ecco appunto, sembrano. Perché portano la giacca con questo caldo? Cosa nascondete sotto i vestiti? Pistole con il silenziatore? Bastardi! Ecco, uno si sta infilando la mano sotto la giacca. Adesso la tira fuori. Mi ammazza. È finita, nessuno saprà mai della vera storia dell’Impero. Sì, è giunta l’ora per … per una bella grattata. Cazzo, si stava solo grattando. Tutti i barboni si grattano in continuazione. Con tutta la mondezza che hanno addosso! Cristo, forse sto esagerando. Forse mi sto suggestionando troppo. In fondo la mia è solo una tesi. Mica una formula magica.