di Sara Nelson
[dal New York Observer]
C’è sempre un alone di mistero attorno a un «piccolo» romanzo che diventa un bestseller. Chi sa, per esempio, come ha fatto un libro di memorie, alquanto strappalacrime, di un giornalista sportivo di nome Mitch Albom — Tuesdays with Morrie (I martedì con Morrie) ad avere così tanto successo? Oppure come è riuscita l’originale storia scritta da una memorialista poco nota, Alice Sebold, a trasformarsi nel fenomenale Amabili resti? O ancora, chi avrebbe potuto prevedere che Dan Brown — autore di parecchi romanzi da centro classifica — avrebbe sfondato con Il codice Da Vinci? I romantici direbbero che si tratta semplicemente di bei libri, o quantomeno di libri che possiedono un grande fascino: i più razionali attribuiscono successi come questi agli importanti editori che li hanno pubblicati (Doubleday; Little, Browne; e ancora Doubleday), ricchi di esperienza e di dollari da spendere in pubblicità. Ma il libro del momento, Gli Schwartz, un sorprendente e originale romanzo di formazione scritto da Matthew Sharpe (Einaudi Stile Libero, traduzione di Matteo Colombo, € 14.80), che narra di due adolescenti il cui padre si è da poco risvegliato dal coma, non ha nessuna delle suddette caratteristiche.
Respinto da oltre venti tra le più importanti case editrici, il terzo libro di Sharpe — i primi due Stories from the Tube (Storie di Televisione) e Nothing Is Terrible (Niente di terribile) — furono pubblicati da Villard, che gli ha rifiutato l’ultimo — è stato acquistato dalla piccola Soft Skull Press, di Brooklyn, e l’anticipo versato all’autore ammontava a ben 1000 dollari. L’editore, affiancato da cinque collaboratori part time con diversi tipi di contratto, non ha né la possibilità di farsi pubblictà, né un budget da destinare al marketing. E, oltretutto, l’edizione è in paperback — e i paperback di solito non trovano spazio nelle recensioni. Ciò nonostante, Gli Schwartz ha conquistato lodi sperticate e a tutta pagina nella New York Times Book Review — comparendo per ben quattro settimane nell’agognata rubrica “And bear in mind” (E ricordate) — e anche una menzione sul Times, dalla scrittrice Anne Tyler. Susan Isaacs l’ha inserito in Today, il programma dedicato ai migliori libri del mese, e non più tardi della scorsa settimana il libro è arrivato alla terza ristampa, totalizzando circa 40.000 copie vendute.
Un successo simile non si verifica quasi mai nell’editoria contemporanea. Mentre molti paperback — quelli della Downtown Press, per esempio, che pubblica “chick-lit” – vendono abbastanza, me ne vengono in mente solo due che hanno davvero sbancato: Le mille luci di New York, di Jay McInerney, che ha aperto la strada a un nuovo genere letterario; e la raccolta di racconti dell’esordiente Jhumpa Lahiri L’interprete dei malanni, vincitrice del Premio Pulitzer. E anche se i piccoli editori talvolta riescono a pubblicare un best seller come La ragazza con l’orecchino di perla, o The Time Traveler’s Wife, la maggior parte dei libri di cui si parla provengono dalle solite, vecchie, grandi case editrici di New York.
Per questo Gli Schwartz è un caso interessante — specialmente se si considera che fino alla fine del 2001, la Soft Skull era nota — se mai lo è stata davvero, intendo — per aver ripubblicato la biografia scandalo di George W. Bush Figlio fortunato. Perché, allora, Gli Schwartz ha fatto tanto rumore?
Naturalmente la risposta è complessa quanto il libro, e coinvolge altrettanti personaggi. C’è l’infaticabile agente, Leslie Falk, grande sostenitrice delle precedenti, e sottovalutate, opere di Sharpe, che ha rappresentato il libro insieme al suo capo, David McCormick; ci sono gli occhi-di-falco dei giornalisti Chip McGrath, caporedattore uscente della New York Times Book Review, e del suo direttore, Alida Becker, che, a detta di McGrath, «ha notato subito» il romanzo di Sharpe. C’è l’irlandese Richard Nash, ex regista teatrale, ora editore, che alla fine del 2001 è approdato alla Soft Skull per rimetterne in sesto le finanze disastrose, assumendo, «per abbandono» la guida della casa editrice. E, ovviamente, c’è Matthew Sharpe che, in fondo, ha scritto il «libro perfetto» acquistato da Nash.
Ma c’è anche una morale, in questa storia, che in parte ricorda Davide e Golia. Anche se Sharpe si è affrettato a ringraziare l’editore Bruce Tracy, a capo della Villard — che, dice, gli ha mandato un biglietto dopo che Gli Schwartz era stato scelto per Today — per «avermi lanciato», alla base di tanta gratitudine deve esserci quantomeno un pizzico di soddisfazione al pensiero che il manoscritto rifiutato da Tracy è stato l’unico ad aver fatto centro. (Tracy non ha voluto commentare.) «Detesto parlare con il senno di poi» ha dichiarato un romanziere piuttosto noto, grande fan dell’ultima fatica di Sharpe, «ma gli editori dovrebbero coltivare i propri autori, non disfarsene dopo un paio di libri». Oppure, per dirla con le parole di Nash, la storia della pubblicazione degli Schwartz è ormai una vera e propria leggenda. «L’opera va in cerca di una grande casa editrice, cioè del Sacro Graal» ha spiegato. «Ma in questo caso viene fuori che il Graal è di bronzo». Alla fine ci è voluto un piccolo editore per ridare lustro al romanzo di Sharpe.
[traduzione di Gaja Cenciarelli]