di Valerio Evangelisti

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1. Viene detto “di sinistra” chi ponga al centro del proprio discorso e della propria azione i lavoratori e le classi subalterne, con l’obiettivo di ampliarne il peso sociale, la libertà oggettiva, l’incidenza politica e di sottrarli a un mercato che li usa quali merci, indifferente alla loro sfera umana di desideri e bisogni.
2. La “sinistra” è dunque continuatrice degli ideali della rivoluzione francese di libertà, eguaglianza e fraternità, che aggiorna con una visione moderna delle motivazioni anzitutto economiche che ledono quei principi, senza tuttavia rinunciare a nessuno di essi.
3. Chiunque si dica “di sinistra” è contrario alla guerra soprattutto per un motivo: perché in essa i lavoratori e le classi subalterne di ogni parte belligerante divengono ancor di più “oggetti”, sia che siano spinti al reciproco massacro, sia che restino vittime delle distruzioni e degli eccidi che accompagnano un conflitto.


4. Possono esistere eccezioni a questo atteggiamento solo in pochi casi: quando la guerra è ormai scatenata ed è ispirata a motivi di conquista territoriale, tali da “reificare” interi popoli o intere etnie, generando guerre ulteriori; o quando si è in presenza di una guerra civile in cui una parte si batte per i principi elencati sopra, che l’altra le nega.
5. In tutti gli altri casi la guerra, quale negazione dell’ideale di fraternità, è puramente e semplicemente respinta da chiunque voglia dirsi “di sinistra”.
6. La recente guerra all’Iraq, che ha condotto alla distruzione delle strutture portanti di quel paese e ha causato un numero incalcolabile di vittime, per lo più innocenti, è stata scatenata con pretesti menzogneri: possesso di armi di distruzione di massa, lotta al terrorismo, lotta alla minaccia dell’integralismo islamico, ecc. In realtà, come oggi è evidente a tutti, era causata da motivazioni geopolitiche ed economiche.
7. Il motivo non era, e non poteva essere, la liberazione del popolo iracheno dalle sofferenze di una dittatura. Se così fosse stato, chi ha preso l’iniziativa del conflitto, e cioè i governi di Stati Uniti e Gran Bretagna, non avrebbe scelto quella specifica dittatura tra le molte altre a lui gradite o da lui tollerate, né si sarebbe scatenato contro la popolazione civile da “liberare”.
8. Comunque, per chi si voglia di “sinistra”, anche una guerra “per la democrazia” è intollerabile. Sa che le strutture portanti di una guerra, dagli eserciti alle forme di controllo del territorio conquistato, sono per loro natura autoritarie. Generano altre guerre, regimi semicoloniali oppure divisioni difficilmente sanabili, dagli esiti tragici.
9. In linea di massima, è “di sinistra” ciò che unisce gli oppressi, non ciò che li divide. Ciò che diffonde il potere e le forme di autodeterminazione dal basso, non ciò che sostituisce un potere più forte a un altro più debole.
10. In nome dei principi che determinano la sua identità, la sinistra non confiderà nelle Nazioni Unite e in altri organismi sovrannazionali se non nella misura in cui questi assecondano i suoi ideali di fondo. Non sosterrà l’idea di “patria” o “nazione” se non sotto il peso di una minaccia, o quale rivendicazione della propria autonomia. Sostenere tali concetti in senso aggressivo significa disconoscere il principio di fraternità.
11. La sinistra, a differenza del campo liberale, sa che il suffragio universale, per il quale si è storicamente battuta più di ogni altra forza, non può essere esercitato che in condizioni di libertà e di uguaglianza. Esso è privo di valore in un contesto di soggezione militare o di regime coloniale.
12. La sinistra, facendosi qui erede di un pensiero liberale che i liberali tendono a dimenticare, è per l’assoluta laicità degli ordinamenti civili. Pertanto non riconoscerà forze politiche direttamente ispirate a un pensiero religioso, siano esse governative o di opposizione, vedendo in esse un fattore di divisione contrario all’ideale di unione tra gli oppressi che la ispira e la fonda.
13. Se messa a confronto con un’impresa bellica in contrasto con gli ideali cui si richiama, la sinistra risponderà semplicemente “no”, senza ricorrere a tergiversazioni strumentali.
14. Nel caso dell’Iraq, prima preoccupazione della sinistra dovrebbe essere quella di dissociarsi dalla macchina di morte allestita dal governo degli Stati Uniti e dai suoi complici, visto che a due anni dall’invasione seguita a generare sempre maggiori lutti e divisioni. Soluzioni in chiave anticoloniale per restituire l’Iraq agli iracheni, e le ricchezze oggi rubate ai loro proprietari, potranno essere pensate solo dopo che gli Usa avranno manifestato la volontà netta di riparare il “vulnus” inflitto a un popolo, a una regione del mondo, al concetto stesso di democrazia nel senso etimologico del termine.
15. Chi non si riconosce nelle quattordici tesi precedenti non è necessariamente di destra, ma sicuramente non è di sinistra.

Postilla dell’autore. Sono ben consapevole che ciò che ho detto qui sopra può suscitare ironia. “E’ roba vecchia”, “Siamo nel XXI secolo”, “La realtà è cambiata”, “Non è più tempo di idealismi”. La mia risposta è: “Non mi fottete più, banda di stronzi. Se il vostro programma non somiglia almeno un poco a quello qui sopra, col cazzo che vi voto. Ne ho abbastanza del vostro cinismo, del vostro abbandono di ogni principio etico. Se volete combattere Berlusconi, vedete di non somigliargli. La realpolitik di cui vi compiacete (spinta al punto di rimpiangere Craxi!) non solo è una stronzata capace di logorare il lieve vantaggio di cui godete. E’ un insulto a 150 anni di storia del movimento operaio italiano. Pensateci bene. Quanti milioni erano, due anni fa, a manifestare contro la guerra in Iraq? E quante decine sono a leggere Il Riformista? Badate che sono voti!”