Roberto Bolaño è uno scrittore cileno, coltissimo e piuttosto borgesiano per certi versi, eppure l’ho capito subito. Credo che anche lui faccia parte dell’Accolita. L’Accolita degli Scrittori Fuori Posto, degli scrittori che non hanno belle case, automobili e donne delle pulizie (alcuni di loro forse è capitato pure che l’avessero, come un accidente che gli è piombato addosso, ma per nostra fortuna di lettori era come se vivessero sempre in un monolocale sfigato, in un hotel putrido). Per fare parte del’Accolita credo sia necessario sentire e manifestare nei propri romanzi, nei racconti e nelle poesie qualcosa che in modo sbrigativo potremmo definire empatia, senso di fratellanza e amore per tutti gli sbandati, per tutti quelli che si lanciano in imprese impossibili e che hanno il cervello e il cuore persi in certi mondi paralleli.
Per chi non ce la fa e deve scappare e lasciare quello che ha, per chi non sa continuare a vivere e fare le cose di tutti i giorni come se niente fosse, e non ha una bella cera, e nemmeno una bella macchina magari neanche una casa dove vivere. È una specie di corrente o forse di legame sottile che avverti subito in uno scrittore, apri la prima pagina, cominci a leggere e ti dici sì, è uno di loro, è uno di noi. Fa parte della Confraternita dei Devoti ai Perdenti.
“L’amore è così, l’argot è così, le strade sono così, i sonetti sono così, il cielo delle cinque della mattina è così. L’amicizia invece, non è così. Nell’amicizia non si è mai soli.” I protagonisti dei suoi libri sono spesso soli: poeti senza patria che si muovono nel mondo degli esuli, in Sud America, Spagna o Francia con le loro vite tutte piene di libri e sogni e cose lette e scritte che li accompagnano nel loro passaggio terrestre, perché la letteratura è anche fuga e capacità di sopravvivenza e resistenza. Era uno di loro Roberto Bolaño? Jorge Herralde, il suo editore spagnolo, ha detto che Bolaño era un poeta e un cane romantico, rabbioso e bastonato (Los perros romanticos è il titolo di un suo libro di poesie).
Era nato a Santiago del Cile nel 1953. A quindici anni, nel 1968 si traferisce a Città del Messico con i genitori dove per cinque anni vive libero e scapigliato frequentando artisti ribelli sognatori e fuggitivi. Esseri lontani e pieni di antipatia per i letterati ufficiali. Simpatizza col Mir (il Movimento della sinistra rivoluzionaria), scrive poesie. Nel 1973 un breve ritorno in patria giusto per piombare in quell’11 settembre, nella sanguinosa caduta di Allende, e nell’ascesa di Pinochet. E per partecipare alle manifestazioni che esplodono per strada, per essere arrestato (cavandosela per fortuna con pochi giorni di carcere). A questo punto, quando torture e sparizioni diventano la quotidianità del Cile, l’unica via possibile è la fuga. Passaggio a Città del Messico e arrivo in Spagna, Barcellona. “In qualche misura tutto quello che ho scritto è una lettera d’amore e un saluto alla mia generazione, a quelli che hanno scelto la militanza e la lotta e che hanno dato quel poco che avevano, e quel molto che avevano, la giovinezza, a una causa che per noi era la più generosa del mondo (…) l’intera America Latina è seminata con le ossa di questi giovani dimenticati”.
In Spagna però non è come in Messico, né come in Cile, Roberto Bolaño non trova i suoi poeti sballati e sognatori, vive un conflitto fra il tentativo di legarsi e l’insofferenza verso la comunità dei sudamericani esuli. Poi ci sono i bisogni legati alla sopravvivenza e così lavora come cameriere, vigilante notturno, spazzino, portuale. Ecco una delle molte cose bizzarre di quest’uomo, che si sentiva soprattutto poeta, e invece esordisce a quarant’anni nella prosa, e in dieci anni, dal ’93 al 2003 scrive dieci libri, tutti quanti geniali, bizzarri, importanti. I detective selvaggi, Chiamate Telefoniche, Notturno cileno, La letteratura nazista in America Latina, Stella distante… Diventa in fretta uno degli scrittori in lingua spagnola più letti, più influenti, riconosciuto come maestro indiscusso da scrittori quasi coetanei. Poi, di colpo, a soli cinquant’anni, nel 2003, ci ha lasciati qui soli. È morto mentre aspettava un trapianto di fegato in un ospedale di Barcellona.
In Italia mi sembra che Bolaño non abbia raggiunto ancora molti lettori, così vi invito a scoprirlo. Potete iniziare per esempio dai racconti usciti da poco, Le puttane assassine (tutta l’opera di Bolaño è edita da Sellerio, a parte un’uscita mondadoriana), una serie di incontri frantumati che possono toccare a un fuggiasco della vita. Poi se vi va di tuffarvi senza rete in un Grande Romanzo Scarmigliato, in un labirinto pieno di storie e trame e avventure picaresche e surreali, se volete conoscere (fra gli altri) due giovani poeti cileni di un’improbabile avanguardia pura e dura detta “realvisceralismo”, dediti a sbandate alcoliche e sessuali e a volte molto sentimentali, allora lanciatevi nelle 840 pagine dei Detective selvaggi.
Li riconoscerete subito? Dipende, di certo è che tutti i sognatori un po’ accidiosi si fiutano fra di loro. E quando si sono riconosciuti sono fratelli e sorelle per sempre.
da Liberazione del 22-1-2005