di Wu Ming, tratto da Giap n.5, VIa serie, 7 marzo 2005
Reduci dalla visione del primo episodio de Il cuore nel pozzo, ne scriviamo.
Ci siamo sorbiti gli “italiani brava gente” che sembrano capitati lì per caso, il repubblichino buono e “pacifista” , i partigiani sadici e vampireschi, il solito prete, l’uso dei bambini come “scudi umani” mentre si fa bieca propaganda…
Non una parola sull’italianizzazione forzata, sul razzismo anti-slavo, sui massacri compiuti dai nazifascisti fino a pochi giorni prima. Tra questi ultimi non poteva non esserci il personaggio interpretato da Beppe Fiorello. Ci viene presentato quasi come uno sfollato post-Armistizio, ma qui non siamo nel ’43, siamo nella primavera del ’45. Quindi è un repubblichino. Quando parla dei suoi compagni morti in azione, a quale azione si riferisce? Rappresaglie? Rastrellamenti? Incendi di villaggi?
E i pochi slavi “buoni”? Le classiche eccezioni che confermano la regola: buoni benché slavi, ma soprattutto: buoni perché sufficientemente italianizzati (cioè, anche se nella fiction non viene mai detto, collaborazionisti: una è la fidanzata del repubblichino di cui sopra!).
Da questi ultimi, oltreché dal prete, tocca sorbirsi implausibili pistolotti antirazzisti, come se in quelle terre (nel frattempo annesse al Reich) nazionalismo e razzismo avessero fatto capolino con la Resistenza…
I timori degli antifascisti istriani e delle comunità slovene di qua e di là dal confine erano pienamente giustificati. Non lo erano invece i timori di certi figuri della destra, per i quali “Il cuore nel pozzo” non era abbastanza schierato ed era addirittura eufemistico nel denunciare i crimini dei partigiani. Costoro non si preoccupino, lo sceneggiato risponde pienamente alle loro esigenze.
[Il regista Alberto Negrin, qualche anno fa, aveva diretto la fiction su Giorgio Perlasca. Alla luce di quanto ci ammannisce ora, sospettiamo che l’intento fosse accendere i riflettori sull’occasionale fascista buono, uno che imboscava i deportandi anziché aiutare a metterli sui treni, così da aprire la strada a nuove, interessanti riletture. Si veda la recente dichiarazione del camerata Gramazio, secondo cui persino Giorgio Almirante – capo-redattore della rivista “La difesa della razza” – era un salvatore di ebrei.]
Le foibe, è palese, vengono usate come “diversivo” da parte della destra al governo, e per giunta diversivo pre-elettorale, come se a guidare la GAD o la FED o come cazzo si chiama non ci fosse Prodi bensì Josip Broz detto “Tito”.
Madornali idiozie vengono scritte e ripetute in modo ossessionante, come quella del “silenzio” su quegli eventi. Accade lo stesso per i fatti successi più a Ovest, il “Triangolo rosso” etc. Ogni volta si ricomincia da capo. Complice il Pansa di turno, par sempre di assistere a una scoperta nuova, anche al trecentesimo libro (scientifico o sensazionalistico che sia), al cinquantamillesimo scoop, alla miliardesima puttanata detta in tv.
Tutto questo fingere che a Trieste e in Istria non sia successo nulla prima del ’45 fa venir voglia di rispondere con lo humour nero, come qualche anno fa Mladina, la rivista satirica slovena.
Estate 2000: “Mladina” mette on line un videogame modellato sul Tetris, solo che l’ambientazione è l’orlo di una cavità carsica e i mattoncini da far scendere sono – a scelta – cadaveri di domobranci (miliziani filo-nazisti) o di partigiani titini.
Già questa ironica forma di “par condicio” (in realtà aderente alla realtà storica, dato che nelle foibe furono gettati prima sloveni e antifascisti e poi nazi e collaborazionisti) dovrebbe far drizzare le orecchie, ma gli italiani che passano di là – su imbeccata di qualche fascistone giuliano – non sanno lo sloveno né conoscono la storia. La parola “domobranci” è per loro un mistero.
Il gioco viene scambiato per un attacco all’Italia, all’Italianità e chi più ne ha più ne metta, anche se in Fojba 2000 non figurano italiani: le vittime virtuali – di destra e di sinistra – sono tutte slave.
A rigore, uno che non sappia chi erano i domobranci non dovrebbe avere il diritto di aprir bocca sulle foibe, tantomeno di scandalizzarsi per quanto avvenne in quelle zone. Ma questo fa parte del problema: nessuno sa un cazzo, e chi più apre bocca per darle aria è proprio chi meno sa.
Per farla breve, scoppia un grande scandalo al di qua del confine, e il bello è che dalla messa on line sono già passati diversi anni. Come sempre è tutto un cadere dalle nuvole, un finto rimanere a bocca aperta, un artificioso indignarsi. Il ministro per l’innovazione tecnologica Lucio Stanca chiede alla Farnesina di “attivare i canali diplomatici affinché venga posta alle autorità slovene l’esigenza di oscurare subito l’offensivo e vergognoso gioco”. Le autorità slovene, giustamente, se ne fottono.
A sfuggire è il contesto. “Mladina”, con pazienza, lo spiega:
“Il gioco rifletteva il clima politico dell’estate del 2000, quando un esecutivo di centrodestra aveva sostituito il governo di Janez Drnovsek. Il premier era Andrej Bajuk, sloveno ritornato in patria dall’Argentina, che non ha mai nascosto le sue simpatie per i domobranci e l’ostilita’ per tutto cio’ che ricordava l’epoca di Tito. Il suo governo duro’ solo sei mesi, nell’ottobre del 2000 fu sconfitto dalla coalizione di centrosinistra che riporto’ al governo Drnovsek. Nella presentazione ci si riferiva, infatti, alle elezioni imminenti. ‘Offriamo ai lettori di Mladina un singolare attrezzo di fitness per un allenamento preelettorale'”
Il gioco è qui (per giocare cliccate su “Torej”).
Se invece di giocare on line lo volete scaricare, cliccate qui.
Per chi invece non predilige lo humour nero, oppure a integrazione di quest’ultimo, c’è il bel libro di Claudia Cernigoi, uscito nel 1997 per le edizioni Kappa Vu di Udine, oggi disponibile gratis on line per iniziativa dell’editore e dell’autrice. Si chiama Operazione foibe a Trieste: come si mistifica la storia
Cernigoi smonta, col metodo e gli strumenti dello storiografo serio, le leggende, esagerazioni e falsità della propaganda di destra su questo tema.
Chi non ha molto tempo a disposizione può rivolgersi a un testo più breve (in pdf), un articolo di Federico Vincenti apparso su “Patria Indipendente” (la rivista ufficiale dell’ANPI) nel settembre 2004.
Non possiamo competere con la potenza di fuoco di uno sceneggiato trasmesso in prime time da Rai1. Ma la guerra non è soltanto potenza di fuoco, men che meno la guerra culturale.