L’opera narrativa di James G. Ballard
di Roberto Sturm
Fiction is a branch of neurology:
the scenarios of nerve and blood vessel are
the written mythologies of memory and desire.
J. G. Ballard
La produzione letteraria di Ballard, che abbraccia ormai più di mezzo secolo, rappresenta un’ideale chiave di lettura delle trasformazioni politico-sociali e tecnologiche avvenute in questo periodo. Durante le epoche e i modelli ideologici che si sono succeduti, lo scrittore inglese si è sempre mantenuto un punto di riferimento per analizzare le ricadute sociali che tali trasformazioni hanno prodotto.
Ballard afferma che il futuro, più del passato, è la chiave d’accesso per codificare il presente.
Non ci sono né navi spaziali e né alieni nella fantascienza di Ballard. Già nel 1962 su New World scrive: “I maggiori progressi dell’immediato futuro non avranno luogo sulla Luna o su Marte, ma sulla Terra; è lo spazio interno — e non quello esterno — che necessita di essere esplorato. L’unico pianeta veramente straniero è la terra”. Il breve saggio da cui è estrapolata la citazione, dal titolo Qual è la strada per lo spazio interiore, scuote le fondamenta di un mondo della fantascienza allora sonnacchioso e obsoleto e sarà il manifesto di alcuni autori che formeranno una nuova corrente letteraria, la New Wave, che si distaccherà decisamente dai canoni statunitensi che facevano tendenza in quegli anni.
L’autore inglese, sempre coerente con le sue prese di posizione, ha perseguito per tutta la carriera la strada della sperimentazione e della ricerca di nuovi linguaggi e nuove tematiche. La psiche dei suoi personaggi, che si trovano immersi, come nella realtà, in un mondo sempre più mediatico che estromette progressivamente le funzioni naturali dell’uomo, è la vera protagonista dei suoi scritti. Dal 1962 al 1966, oltre a una vasta produzione di racconti — fortunatamente recentemente riproposti, vista la difficoltà del loro reperimento, dalla Fanucci -, vengono pubblicati i romanzi che formano la famosa tetralogia degli elementi. Il vento dal nulla, Deserto d’acqua, Terra bruciata e Foresta di cristallo concretizzano in maniera cristallina l’inner space, lo spazio interno, teorizzato dallo stesso autore. La catastrofe è — apparentemente — il filo conduttore di questi testi. Tema popolare della fantascienza inglese dell’epoca di cui però Ballard sconvolge la struttura e il punto di vista, trasformando la catastrofe in uno strumento per sondare le trasformazioni psichiche dei personaggi. I protagonisti, infatti, si trovano espropriati dai ruoli attribuitigli dalla società esistente a causa di una sorta di ribellione degli elementi della natura. La psiche dei protagonisti si rimodella al paesaggio esterno, che ritorna climaticamente ad ere primordiali, risalendo percorsi evolutivi che li riporta a un passato ancestrale. Come se liberandosi dagli stimoli esterni, l’istinto possa avere la meglio sulla manipolazione che i modelli sociali impongono. Il nostro passato biologico e psichico vive dentro di noi — sembra voler dire Ballard -, ma noi non lo percepiamo a causa dell’invadenza dei fattori esterni. Eliminandoli, torniamo a vivere in maniera naturale.
Ballard nasce a Shanghai nel 1930, da una famiglia benestante. La sua spensierata e agiata adolescenza all’interno della Concessione britannica della città viene interrotta nel dicembre del 1941 dall’attacco di Peal Harbor. E’ la globalizzazione del secondo conflitto mondiale.
In una Cina sconvolta dall’invasione nipponica, il piccolo James conosce la parte più abietta e povera della città e dopo qualche settimana si ritrova internato in un campo di prigionia. L’impero del sole, romanzo autobiografico in cui Ballard racconta questo periodo della sua vita e opera portata sul grande schermo da Spielberg, è uno strumento ideale per capire, a posteriori, quali esperienze sono alla base di molte opere dello scrittore inglese.
Nel 1946, a fine conflitto, Ballard torna in patria con i genitori, in una Inghilterra a lui perfettamente sconosciuta. Alle soglie degli anni cinquanta comincia i suoi studi a Cambridge, dove inizia a coltivare la sua passione per il cinema, si entusiasma per la psicoanalisi e rimane letteralmente affascinato dai quadri dei pittori surrealisti che tanto ispireranno la sua narrativa. Comincia a frequentare medicina, — studi che non porterà mai a termine — orientandosi verso la psichiatria, si arruola nella RAF e inizia la sua carriera di scrittore. Tutte esperienze che lo porteranno a diventare uno degli autori più completi e rappresentativi del secolo scorso, oltre che uno dei più visionari, provocatori ed estremi.
In La mostra delle atrocità (1970) e Crash (1973) Ballard sembra toccare l’apice delle sue prerogative letterarie. Ignorati dagli editori italiani fino agli anni novanta per la crudezza di alcune scene e la potenzialità eversiva dei testi, Crash viene successivamente portato sul grande schermo da Cronenberg nel 1996. L’impatto sul mondo della cultura ufficiale è terrificante. In Inghilterra il Ministro della Cultura si adopera per evitare la distribuzione del film, in USA posticipano la sua uscita nelle sale di sei mesi e in Italia parecchi critici, Irene Bignardi in testa, si schierano per il ritiro della pellicola dal circuito. “Accolto come un capolavoro eversivo da un’ala della critica e come un film morboso e pericoloso da un’altra (tra cui mi iscrivo anch’io, con l’aggiunta che lo considero anche noioso e fasullo)” — scrive in quel periodo la Bignardi — “è un erotismo, come sa chi ha letto il romanzo di J.G. Ballard da cui il film è tratto e chi segue le cronache cinematografiche, legato agli incidenti d’auto, allo stato di pericolo e di orrore generato dal rischio automobilistico.”
La Bignardi, come molti altri, non è riuscita a cogliere la vera essenza di Crash, romanzo o film che sia.
Curioso che anche organizzazioni che con il cinema dovrebbero avere poco o nulla a che fare prendino posizioni quantomeno singolari. Una per tutti, Legambiente. Il suo esponente Angelo Scudieri dichiara: “E’ un serio pericolo per gli spettatori. Conosco qualche scena, poi dopo Cannes ha letto la recensione di Irene Bignardi su Repubblica.”
Richiamarsi alla censura come forma di difesa per il pubblico mi sembra un concetto alquanto meschino, degno di regimi totalitari.
Il film rispecchia moltissimo il romanzo, che non si basa su una trama vera e propria ma sulla messa in scena di personaggi che da una condizione di assoluta insensibilità ricercano, in modo estremo e ossessionante, la via per riprovare emozioni.
Seppure scritto nel 1973, Crash si pone perfettamente in un’era tecnologica che ha prodotto la spersonalizzazione dell’essere umano. Anticipando tematiche cyberpunk Ballard crea una protesi meccanica, un prolungamento del corpo umano — l’automobile -, elevandola a metafora appunto dell’era tecnologica. Ci troviamo immersi in un’atmosfera in cui i protagonisti hanno bisogno di uno stimolo esterno — meccanico — per tentare di riappropriarsi delle proprie emozioni. Per questo mettono in atto una serie di eventi estremi — incidenti stradali — per rimettere in moto le loro sensibilità sopite. L’esasperazione delle scene sessuali, mai fini a se stesse, non è altro che la metodica e ripetitiva ricerca di sensazioni e sentimenti, la messa in scena di una ossessione. Non c’è mai, nel testo come nel film, alcun accenno alla retorica, ulteriore prova di professionalità e coerenza degli autori. E se la mancanza di un giudizio etico è visto negativamente da molta parte della critica ufficiale, forse una scusa per mascherare una crociata puritana d’altri tempi, ciò deve essere valutato, secondo me, come un gesto di estremo rispetto per le capacità valutative del pubblico.
Dalla metà degli anni ottanta Ballard lascia progressivamente la fantascienza, che comincia a perdere molte delle sue peculiarità a fronte di uno sviluppo tecnologico esponenziale e di eventi politico-sociali ed economici fino a qualche anno prima impensabili, per approdare definitivamente a una letteratura di confine, speculativa e ricca di contaminazioni. Ma Ballard non lascia il suo obiettivo di perseguire i mutamenti della psiche e della percezione umana rispetto all’ambiente circostante, e tutti i suoi testi successivi alla metà degli anni ottanta non sembrano altro, sempre a posteriori, che tappe di avvicinamento agli ultimi due testi pubblicati da Ballard nel nuovo millennio.
Super-Cannes, pubblicato anche in Italia nel 2000 da Feltrinelli, ci porta all’interno di Eden-Olympia, un complesso residenziale in Costa Azzurra dove lavorano migliaia di persone. Paul Sinclair vi arriva insieme alla sua giovane moglie perché lei ha accettato il posto di pedriata (nonostante ad Eden-Olympia non vi siano bambini) lasciato vacante da un suo ex collega ed ex amante che si è macchiato di una serie di delitti prima di essere a sua volta ucciso. Questo gesto apparentemente insano all’interno di un ambiente in cui tutto è pianificato alla perfezione, sembra non aver turbato più di tanto le abitudini degli abitanti del Centro tecnologico ma incuriosisce Paul Sinclair che comincia un’indagine che lo porterà a sciogliere il nodo del mistero. Dentro una realtà in cui la tecnologia ha preso il posto dei rapporti interpersonali e il lavoro quello del divertimento, lo psichiatra del Centro, il dottor Wilder Penrose, non ha trovato altra soluzione che somministrare psicopatia a dosi sempre più elevate per mantenere un livello psichico accettabile negli abitanti di Eden-Olympia. E l’epilogo non è altro che la logica fine di una storia che deraglia verso il crimine puro, e chi lo compie non trova altra giustificazione che l’esigenza di trovare sfogo ad una esistenza troppo ordinata e pianificata.
In cui materialmente, però, non manca niente.
In Millenniun People Ballard si immerge in un ambiente urbano, Chelsea Marina, quartiere residenziale di Londra.
Gli abitanti, liberi professionisti, manager e impiegati appartenenti alla middle class, si rivoltano nel momento in cui le spese per mantenere le proprie prestigiose abitazioni subiscono un incremento che mette in forse la loro permanenza nell’enclave. Una rivolta sui generis, che non parte da ceti deboli per conquistare diritti fondamentali ma da neo-borghesi che vedono minacciati i propri privilegi. Ma tutto ciò non è che la punta dell’iceberg. Personaggi inquietanti alimentano la rivolta per sanare insoddisfazioni personali, manie e interrogativi esistenziali.
Ballard mantiene intatte le sue capacità letterarie eversive mettendo in piedi una storia con una forza d’impatto dirompente. Proprio come la bomba che scoppia all’aeroporto di Heatrow, all’inizio della vicenda. Un attentato terroristico senza rivendicazione a cui ne seguiranno altri, sempre più pericolosi.
E’ lo psicologo David Markham — che perde la ex moglie nell’attentato — a mettersi sulle tracce dei colpevoli. In questo suo viaggio — più interiore che di indagine vera e propria, si imbatte in altri personaggi tutti più o meno invischiati nella vicenda per motivi diversi.
Gli attentati e la rivolta di Chelsea Marina hanno una matrice unica, lo stesso gruppo di persone capeggiati da Richard Gould, pediatra che segue bambini malati allo stadio terminale.
Le diverse storie dei protagonisti convivono e si intrecciano continuamente, in un crescendo di disagio sociale e psicologico che Ballard mette in scena da maestro. C’è tanto Ballard in Millennium People. Un Ballard lucidissimo che continua a fare propria l’arma della provocazione e della visionarietà contro una società che punta senza tentennamenti alla globalizzazione, all’omologazione, all’uniformità e che produce incertezza e induce falsi bisogni per controllare costantemente le masse.
“Più invecchio e più divento di sinistra,” ha affermato Ballard. E lo si vede anche dai suoi scritti, veri e propri atti d’accusa verso i modelli ideologici ed economici — consumismo, materialismo e neo liberismo in testa, che lo scorso secolo ha prodotto, consolidato e consacrato.