di Vittorio Curtoni
[Premessa di Valerio Evangelisti. Avevo già segnalato, su Carmilla On Line, l’uscita in Francia di uno straordinario romanzo di Enzo Fileno Carabba, che personalmente considero tra i migliori scrittori italiani in assoluto, come ho avuto modo di ripetere più volte. Ora Pessimi segnali è uscito presso Marsilio Black (190 pp., € 12,00), e l’evento merita particolare rilievo: pochi romanzi, tra quelli che hanno visto la luce negli ultimi mesi, gli stanno alla pari per intelligenza, ironia, poesia, freschezza, capacità di stupire. Chi non abbia letto Pessimi segnali continuerà a borbottare che in Italia il romanzo è morto, che nessuno sa più scrivere, che per la letteratura sono tempi grami. Chi lo abbia letto porgerà a costui la cuffia da notte e lo scaldino, frenando la tentazione di tirargli un calcio in culo.]
Esiste un Philip Dick italiano? L’interrogativo svolazza da tempo nell’aere, farfalla elusiva, troppo sgargiante e colorata dopo l’assunzione del mio amato Phil all’empireo dei Grandi. Tutti vorrebbero essere come lui, geniali e maledetti. Capaci di leggere nel futuro con la sfera di cristallo di chi sa prevedere a lungo termine. Anche se, suppongo, non necessariamente in continua bolletta in vita per poi essere indorato di fama postuma.
A mio modesto giudizio, un candidato al titolo potrebbe essere Enzo Fileno Carabba, quello di Jakob Pesciolini (Premio Calvino 1991), di diversi altri romanzi pubblicati da Einaudi, e oggi di Pessimi segnali, ospitato nella collana “Marsilioblack”, diretta da Jacopo De Michelis.
Carabba, uno che sa scrivere in un italiano talmente fluido, sapido e sagace da poter persino provocare indigestioni verbali al lettore fettoloso, possiede, come Dick, la capacità di trasfigurare il reale facendolo diventare altro: un altro che ha il fascino ipnotico degli occhi del serpente, ma non manca mai di strappare risate e sogghigni per gli accostamenti tra ironico e surreale che propone a raffica. L’umorismo nero è di casa in queste pagine, anche nelle situazioni più tragiche. Niente si salva, nessuna icona di santità e sanità mentale è al sicuro.
Da una situazione di base normale, quotidiana, come quella di un obiettore di coscienza che viene destinato al servizio civile nel presidio della Croce Rossa di un paesino della Valdarno, emerge un quadro che ha poco di rassicurante. I volontari passano il tempo a guardare cassette porno e sono palesemente eccitati dal sangue. C’è un bambino in coma per un incidente poco chiaro con un’altalena. Conigli neri scorrazzano tra i boschi e non promettono niente di buono. Tutte le suore del locale convento hanno i baffi. Si vocifera di antichi riti segreti…
Vi sembra folle e anarchico? Lo è. Della follia lucida, però, che garantisce divertimento al lettore che voglia misurarsi con un occhio, una sensibilità diversi. Ad esempio, coi molteplici ritratti di personaggi che si aggirano nel romanzo, non di rado buzzurri integrali elevati alla dignità del sublime becero; con alcune scene epiche che trasfigurano la realtà e la portano a un livello di trascendenza tra il pauroso e il grottesco: la grandinata fine-del-mondo che coglie il protagonista in viaggio e il suo rifugio nella Coop del paese sono capitoli che valgono, da soli, un intero libro.
E poi c’è tutto il resto. Che è tanto, garantisco. Carabba non porta avanti il gioco speculativo di Dick sulla tecnologia, e nemmeno parla del futuro, si situa nel qui e ora; ma con lo sguardo sapientememente allucinato di chi, nel contesto quotidiano dei segnali più o meno pessimi che ci bombardano, sa scrutare di traverso, leggere dietro, aprire il tubo catodico per sbirciare le immagini prima che si materializzino sullo schermo. Esattamente quel che faceva Phil, mutatis mutandis.
Hai detto un prospero.