di Vittorio Curtoni
[prefazione a Il grande cinema di fantascienza: aspettando il monolito nero (1902-1967), di Roberto Chiavini, Gian Filippo Pizzo, Michele Tetro, pubblicato da Gremese Editore]
Signori, questa volta si viaggia a ritroso: nel volume precedente gli autori ci trasportavano dal 1968 all’oggi, adesso invece ci accompagnano fino alle origini stesse del cinema fantascientifico. Un percorso ispido di incontri pericolosi, con creature che grondano sangue e voglia di distruzione: siamo spesso Sul sentiero dei mostri, per citare un antico esemplare di cinema giurassico. Anche se, ovviamente, non di sole creatures si nutrono tanti anni di filmografia. Un dato interessante è che diversi dei film più significativi dei decenni trattati in queste pagine provengono dalla fantascienza scritta: è il caso ad esempio di Il pianeta proibito, La guerra dei mondi, Il dottor Stranamore, e molti altri.
I collegamenti diretti con la carta stampata hanno subito una brusca inversione di tendenza, sempre a partire dal fatidico 1968 e dall’epocale 2001 di Kubrick: vero è che il regista si ispirò a un raccontino di Clarke, La sentinella, però ne prese solo il nucleo essenziale, il monolito che indica il contatto con una razza superiore (o con Dio?), e vi costruì attorno tutto ciò che sappiamo. Con l’aiuto di Clarke, certo, però guarda caso fu poi lo scrittore inglese a creare un romanzo tratto dal film, dando la stura alla moda delle novelizations che ha avuto la sua stagione di fortuna.
Dai Settanta in poi, il cinema tende a inventare da sé le proprie mitologie fantascientifiche: a parte l’ampio saccheggio di Philip Dick, qualche tentativo per lo meno discutibile di portare Robert Heinlein sullo schermo, e una manciata di altre pellicole ispirate a romanzi o racconti, il film di sf è un ente autonomo a partire dal soggetto. Se penso alle pagine di grandi visionari come Alfred Bester o A. E. van Vogt, alle straordinarie catastrofi del primo Ballard, all’ampiezza di disegno della Fondazione asimoviana e a un mucchio di altre cose, mi viene da sospettare che se ne potrebbero ricavare film notevoli. E’ che, non mi stancherò mai di ripeterlo, sono arrivati gli enfant prodige di Hollywood, George Lucas e Steven Spielberg, i quali vogliono girare il tipo di storie che sognavano di vedere sul grande schermo da bambini; e, salvo le rare eccezioni, hanno provveduto a tutto in proprio. Lo scollamento tra fantascienza scritta e fantascienza cinematografica è ormai enorme, a tutto detrimento della prima, che non versa nelle migliori condizioni di salute della propria storia, mentre il film “funziona” ancora, attira spettatori. Peccato, perché di materiale da sfruttare ce ne sarebbe in abbondanza.
Tra le varie tipologie di pellicole delineate nel volume, due in particolare godono del mio più incondizionato amore: quelle imperniate sui mostri, e il filone della cosiddetta fantapolitica. I mostri, siano mutazioni come le formiche di Assalto alla Terra o creature preistoriche risorte come il mitico Godzilla o perfidi alieni che di noi si vogliono impossessare come quelli di L’invasione degli ultracorpi, nel loro procedere non di rado ballonzolante e approssimativo, nella precarietà di trame e personaggi, negli improbabili finali coi salmi che tendono a chiudersi in gloria, hanno un fascino che mi conquista. Negli anni Cinquanta e nei primi Sessanta, quando quei film circolavano nei cinematografi, l’America di per sé era una terra lontana, un mito irraggiungibile, un po’ un altro pianeta; e i tipici paesaggi del genere, il deserto assolato e la piccola cittadina chiusa in se stessa a microcosmo, con l’elemento alieno che arriva di colpo a scombussolare l’ordine, appartenevano a un ordine di realtà molto diverso da quello dell’esperienza quotidiana mia e suppongo di tanti spettatori allora giovani, e probabilmente avidi lettori di “Urania”. Un enigma all’interno del quale si inseriva un secondo enigma, in un gioco di fascinazione che oggi, in era di villaggio globale, non è sperabile ripetere. Sì, sappiamo tutti che baccelloni e tarantoloni vari sono stati letti come metafore del “pericolo rosso”, l’odiato comunista, e non credo ci sia molto da obiettare a questa interpretazione; però la valenza simbolica, atmosferica, onirica delle creature scatenate in tanti film andava ben oltre la semplice metafora politica. Che magari veniva percepita da un adulto, ma cosa poteva importare dell’URSS e della minaccia che incarnava ai bimbetti che divoravano a occhi sgranati le immagini mostruose? A me sono rimaste nel cuore, non me ne libererò più, e se devo scegliere tra una mantide gigantesca obiettivamente ridicola e il più sgargiante degli effetti speciali di oggi, chiedo scusa, ma ridatemi la mantide!
La fantapolitica, invece, ha affondato i denti direttamente nella realtà, facendo discorsi sullo stato del mondo improntati a un generale pessimismo. I titoli migliori (Stranamore, L’ultima spiaggia, A prova d’errore, Sette giorni a maggio) erano ritratti coerenti della situazione del nostro pianeta, dei conflitti (o dei golpe) che potevano nascere se un generale fosse impazzito o si fosse verificato un semplice errore nella macchina politico-militare, magari. Rigoroso bianco e nero, atmosfere cupe, sensazioni da fine del mondo; con l’inevitabile eccezione di Kubrick, che ci racconta il gioco del massacro col ghigno sulle labbra.
Per fortuna nostra, gli immediati futuri che quei film immaginavano non si sono verificati. Il mondo di oggi è altro da ciò che si poteva temere, senza dubbio non il migliore dei mondi possibili, però Cortina e Muro sono caduti, la guerra fredda è finita. Siamo passati allo spettro del terrorismo internazionale, e gli incubi della fantapolitica risuonano, mutatis mutandis, soprattutto in pellicole d’azione ad alto tasso d’adrenalina. Ancora una volta la fantascienza ha raccontato futuri che veri non sono, che erano solo potenzialmente veri e nel campo delle probabilità irrealizzate sono rimasti. Niente di grave: il compito concreto della science fiction non è essere profezia esatta, ma monito, lettura trasversale del presente per coglierne umori, tensioni, tendenze; e in questo quei film sono stati formidabili.
E poi… Mi è capitato più di una volta di rivedere, in videocassetta o in dvd, una di queste pellicole, Stranamore in particolare, con amici molto più giovani di me, ragazzi che non hanno vissuto sulla propria pelle la guerra fredda, l’equilibrio del terrore, la minaccia atomica, la crisi dei missili cubani del 1962; e diversi di loro, alla fine, mi hanno detto: “Ma il mondo era davvero così? La situazione era quella? Incredibile.” Per un sublime paradosso, la fantascienza, oltre a inventare un futuro immaginario per l’epoca, diventa oggi documento di un passato che alle nuove generazioni appare altrettanto irreale, fittizio, perché del tutto estraneo all’esperienza.
E’ probabile, peraltro, che anche un film come Ladri di biciclette possa fare lo stesso effetto ed essere percepito ai nostri giorni come pura invenzione di una realtà mai esistita. La magia del cinema, gentili lettori: fantastico, irreale quando inventa tutto di sana pianta ma anche, in retrospettiva, quando è ritratto più o meno fedele del presente. Che si brucia subito, diventa passato, e dopo un numero sufficiente di anni assume gli stessi contorni nebulosi dei molti futuri che queste pagine ci narrano.